venerdì 29 novembre 2019 - Antonio Moscato

Ilva: la vergognosa trattativa con Mittal

Gli incontri tra un governo allo sbando e i padroni di quello che è certamente uno dei più grandi gruppi siderurgici mondiali non potranno portare nulla di buono non solo perché in gran parte informali e segreti, ma per lo scandaloso schieramento di mass media e forze politiche a favore delle “ragioni” del colosso franco-indiano.

È vero che dalla mole di informazioni che riempiono i grandi giornali tra le righe ne trapelano alcune che se messe al centro dell’attenzione spiegherebbero bene il vero progetto della multinazionale alla luce di quello che è accaduto in diversi dei sessanta paesi in cui Mittal ha acquistato grandi stabilimenti: c’è l’esempio della Polonia e del Sudafrica, da cui dopo aver ottenuto facilitazioni varie, se n’è andata via portandosi dietro tecnologia e legami con i clienti e i fornitori. E se questi sono paesi lontani di cui è difficile seguire le vicende industriali, si poteva almeno verificare che il gruppo Mittal era stato condannato anche in Italia, nel 2008, in primo e secondo grado, a ventiquattro milioni di euro per inadempimento contrattuale: aveva fatto saltare con pretesti vari l’acquisizione di Metalsider e Sidermed, due controllate di Finmasi Group di Modena, per impossessarsi della loro fetta di mercato. La notizia era apparsa in un articolo di Alessandro Barbera su “la Stampa” del 22 novembre, e altre analoghe sono apparse anche nei giorni successivi, ma erano seminascoste tra tante dichiarazioni di esponenti del padronato come Andrea Illy e dell’intera banda delle madamine SITAV, o dei partigiani del MOSE, che ogni giorno ribadivano in coro: “Chi investirebbe con la paura di avere perdite, o di subire condanne e multe?”

Il rifiuto di concedere lo scudo legale è stato considerato “suicida” e quindi inammissibile da tutti i partiti rappresentati in parlamento, tranne LEU e il M5S, che però ha oscillato e si è diviso sotto la pressione enorme del resto del governo, e anche di un’opposizione compatta nel combattere qualsiasi mezza velleità di sinistra dei grillini nella certezza di poter ricavare qualcosa dalla sua possibile esplosione. La questione dello scudo legale è stata anche derubricata a elemento secondario, mentre l’esperienza della condanna per l’operazione di Modena fa pensare che i manager della Mittal la pretendono veramente, soprattutto perché sanno bene di essersi mossi sul filo dell’illegalità: infatti fin da settembre i manager avevano cominciato un pericolosissimo rallentamento dell’alimentazione degli altiforni riducendo gli arrivi delle navi rispetto al normale, per esercitare un brutale ricatto da far pesare nella trattativa con il governo italiano. Un’azione che potrebbe danneggiare gravemente gli impianti a ciclo continuo durante le fasi delicatissime dello spegnimento e della riaccensione. E che si chiarisce meglio alla luce del blocco dei pagamenti alle imprese dell’indotto, molte delle quali svolgono compiti interni la cui sospensione può arrecare danni gravi agli impianti. Ecco perché è importante ottenere una zona franca impenetrabile dai giudici!

Intanto di nazionalizzazione (o meglio di recupero senza indennizzo da parte dello Stato) non se ne parla più per niente, anzi si dà per scontato che lo Stato deve intervenire solo per puntellare l’Arcelor Mittal, invogliandola a restare in Italia con uno sconto sull’affitto degli impianti e riducendo il costo della manodopera con una quota aggiuntiva di Cassa Integrazione. L’aiuto economico dello Stato, in realtà, lascerebbe lo stabilimento nelle mani di Arcelor Mittel, utilizzando la solita Cassa depositi e prestiti che gestisce i risparmi postali, ma opera come una finanziaria privata da tirare in ballo nelle più svariate occasioni in cui si vuole soccorrere un imprenditore incapace o in fuga. Ne avevo parlato pochi giorni fa nell’articolo L’ex ILVA e gli F35 a cui rimando perché purtroppo non è cambiato niente se non in peggio.

I capitalisti non si toccano, insomma, e nemmeno si criticano verbalmente: basti pensare allo spudorato appoggio bipartisan dei grandi organi di stampa alla pretesa dei Benetton di rimanere nel giro dei grandi lavori nonostante la verifica clamorosa che i mancati controlli al Ponte Morandi e a tante altre strutture analoghe erano deliberati e finalizzati al profitto.

Tra le poche eccezioni, vorrei segnalare il lavoro svolto da una benemerita rivista mensile come Nigrizia, che smonta la campagna ipocrita della destra sul tema “aiutiamoli a casa loro” spiegando che proprio molti grandi gruppi capitalisti italiani sono stati coinvolti nello sfruttamento dell’Africa attraverso una corruzione di interi gruppi dirigenti locali in vari paesi: vedi l’interessante Dossier sul ruolo di ENI, di Impregilo,della CMC (Cooperativa muratori e cementieri di Ravenna). Nigrizia ricostruisce anche la rete di protezione accordata dai governi nostrani ai manager pescati con la mani nel sacco in qualche paese lontano. Lo fa da un punto di osservazione particolare e concentrandosi sui reati di corruzione (che però implicano sempre anche evasione fiscale), ma non ha paura di scriverlo.

Altri coraggiosi hanno fatto altrettanto in siti WEB o in libri ben documentati, senza che un solo governo dei tanti che si sono succeduti negli ultimi decenni abbia mosso un dito per colpire i giganti dell’evasione, aiutandoli anzi ogni volta che lo chiedono per degnarsi di mantenere i loro affari nel nostro paese. Invece di giocare ai girotondi con le sardine, o di inseguire Salvini sul terreno degli insulti, chi vuole fronteggiare l’ondata di destra dovrebbe cercare di collegare tutti quelli che si battono contro l’imbarbarimento e la xenofobia con cui la destra demonizza gli immigrati che arrivano tra di noi, identificando e denunciando sistematicamente i veri responsabili del saccheggio dell’Africa e di gran parte del mondo ex coloniale: i capitalisti di ogni paese, compreso il nostro. (a.m.)

Foto: Andrea Donato Alemanno/Flickr




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