giovedì 28 novembre 2019 - Phastidio

Ilva e Alitalia: il carciofo del Bad Country

Cosa potrebbero avere in comune Ilva ed Alitalia, per i contribuenti italiani? Risposta banale: che sono altoforni di denaro pubblico e di una classe politica incapace di mettere degli stop loss alle perdite per i contribuenti. Ma oltre a ciò, emergono similitudini anche nella reiterazione dei modi per produrre perdite: la creazione di bad company, formali o sostanziali.

Certamente ciò è vero per Alitalia, passata attraverso la creazione di BadCo messe progressivamente in liquidazione, e che a questo giro potrebbe andare incontro ad un esito di spezzatino, con la società-volo ceduta a Lufthansa, mentre per quella manutenzione e quella handling occorrerebbe trovare delle collocazioni.

Anche se non si tratterebbe di una veste giuridica di BadCo, sarebbe comunque l’enucleazione della “polpa” dal “residuo”, per salvare quello che avrebbe, in astratto, valore di mercato. In alternativa, il governo italiano potrebbe decidere di mantenere una Alitalia una e trina, cioè come l’attuale, e “risanarla” tramite creazione di una BadCo, replicando quanto fatto in passato; miliardi di perdite inclusi.

Sarebbe la prova provata che perseverare, più che diabolico, è da stupidi. O da italiani, che in queste circostanze sta diventando sinonimo di stupidità ed autolesionismo. Perché, ad ogni giro di giostra, si enuclea una BadCo da una NewCo, che finisce ammalorata nel giro di poco tempo, e si torna al via.

E riguardo Ilva? Qui pare che governo italiano ed Arcelor Mittal possano convergere verso un ridimensionamento della capacità produttiva, per adeguarla ai mutati scenari globali del mercato dell’acciaio. Il che, pur in assenza di dettagli operativi, pare suggerire che lo Stato italiano si prenderà in carico alcune migliaia di lavoratori, magari impiegandoli in non meglio precisate operazioni di “bonifica”. Ma resta anche da capire se Arcelor Mittal Italia diverrà altro, cambiando ragione sociale, magari con ingresso nel suo capitale di partecipate pubbliche o di società creata ad hoc da Cassa Depositi e Prestiti.

Se le cose andranno in questi termini, avremo una società operativa dalla capacità produttiva ridimensionata, con intervento sulla struttura dei costi e conseguente riduzione del grado di leva operativa, che è quella cosa che ti uccide se i volumi prodotti scendono sotto il punto di pareggio. Per contro, la mano pubblica si troverà a gestire l’equivalente di una BadCo, pur camuffata da società di servizi per ambientalizzazione e bonifica.

Giunti a questo punto, pare molto facile giungere alla conclusione che avremmo una socializzazione delle perdite ed una privatizzazione dei profitti. La vera domanda da porsi, quindi, diventa: ne vale la pena?

La risposta è: dipende. Nel senso che, per Alitalia, potremmo ritenere che la risposta è affermativa considerando l’esigenza di avere un vettore nazionale. A me pare una considerazione non particolarmente razionale, ma quella è mia valutazione. Per Ilva potremmo ipotizzare che l’impatto sociale sui territori interessati e quello sul sistema produttivo del paese sarebbero tali da consigliare ai contribuenti italiani di bere l’amaro calice e permettere alla famiglia Mittal di fare soldi o almeno non perderne, in Italia.

L’alternativa? Nazionalizzare Ilva, nei limiti del legalmente possibile nella cornice europea. Ma sapete che accadrebbe? Che in quel caso la funzione di utilità per Ilva diverrebbe quasi certamente il livello occupazionale, e con altrettanta certezza finiremmo ad avere perdite per miliardi di euro.

Quindi, per tirare le somme: se saremo fortunati, proveremo a separare la polpa dagli scarti, per l’ennesima volta. Si tratta della logica del carciofo, con le spine sempre a conficcarsi nel solito posto, quello usato dai contribuenti italiani per sedersi. Sempre sperando che la soluzione adottata non determini, entro pochi anni, una reiterazione del problema.

Se invece decideremo che unica bussola deve essere il livello di occupazione, prepariamoci ad una devastazione finanziaria. Da una Bad Company all’altra, emerge il Bad Country. Comunque vada, possiamo dire che il famoso titolo “pagherete caro, pagherete tutto”, non era riferito ai Mittal bensì ai contribuenti italiani.

Foto di pkozmin da Pixabay 




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