giovedì 8 ottobre 2020 - YouTrend

Il voto di preferenza alle ultime elezioni regionali

In quali regioni e per quali liste l’uso del voto di preferenza è stato maggiore? La doppia preferenza di genere ha aumentato il numero di elette?

di Alessio Vernetti

In tutte le sei regioni a statuto ordinario in cui il 20 e il 21 settembre si è votato per il Presidente e per il Consiglio regionale, i cittadini hanno anche avuto l’opportunità di esprimere fino a due preferenze tra i candidati consiglieri accanto alla lista votata. L’analisi dei voti di preferenza permette dunque di capire quali liste abbiano beneficiato di un apporto da parte di alcuni “fuoriclasse delle preferenze” e quali invece siano state soggette ad un voto più legato alle ideologie o ai leader di partito.

Per condurre questa analisi non possiamo non basarci sul calcolo degli indici di preferenza, uno strumento che abbiamo già usato in passato (per esempio in occasione delle scorse elezioni europee): questo indice ci permette di capire quanti sono, in media, gli elettori di un partito che non si limitano a barrare il simbolo della lista, ma indicano anche una preferenza esplicita scrivendo il nome di uno o due candidati consiglieri.

 

Come si calcola l’indice di preferenza?

Per ogni lista, l’indice di preferenza non è altro che il rapporto in percentuale tra le preferenze espresse e le preferenze esprimibili in totale. In formula avremo quindi:

Indice di preferenza della lista Z = (voti di preferenza espressi per candidati della lista Z x 100) / voti di preferenza esprimibili in totale per la lista Z

Poiché in tutte le sei regioni al voto è ormai in vigore la doppia preferenza di genere (per Puglia e Liguria è stata introdotta proprio quest’estate), le preferenze esprimibili in totale per ogni lista – ossia il denominatore del rapporto – non sono altro che il doppio dei voti dati alla lista stessa:

Indice di preferenza della lista Z = (voti di preferenza espressi per candidati della lista Z x 100) / (voti alla lista Z x 2)

E quindi, semplificando:

Indice di preferenza della lista Z = (voti di preferenza espressi per candidati della lista Z x 50) / voti alla lista Z

L’indice di preferenza è dunque compreso tra 0 e 100: se è a 0, vuol dire che non sono state espresse preferenze per quella lista; se è a 50, significa che in media ogni elettore di quella lista ha espresso una preferenza; se è a 100, significa che tutti gli elettori hanno espresso due preferenze.

 

Gli indici di preferenza delle liste

In questo articolo abbiamo deciso di focalizzarci sulle forze principali: Forza Italia, Fratelli d’Italia, Italia Viva, Lega, Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e – con l’eccezione di Toscana e Marche dove non erano presenti – le liste “personali” dei presidenti rieletti (che in Puglia sono due, “Con Emiliano” e “Popolari con Emiliano”).

Dall’analisi emerge come il partito con l’indice di preferenza più basso risulti essere il Movimento 5 Stelle, col 18,3%. Il dato non deve stupire: già alle europee dell’anno scorso il suo indice di preferenza era il più basso (10%) tra i 5 partiti principali. Questo è dovuto principalmente al fatto che il Movimento riceve un voto di opinione e ideologico, basato sulle issues del partito piuttosto che su candidati in grado di raccogliere migliaia e migliaia di preferenze personali.

Seguono le liste “personali” dei presidenti, con un indice medio di preferenza pari al 26,7% nelle 4 regioni in cui i presidenti uscenti si sono ricandidati e hanno vinto. Tuttavia, il dato non è omogeneo, perché in Campania e Puglia sono state espresse molte più preferenze per i candidati delle liste “personali” di De Luca ed Emiliano rispetto a quanto non sia accaduto in Liguria e Veneto per le liste “Cambiamo con Toti Presidente” e “Zaia Presidente”. Questa discrepanza, come vedremo, è dovuta ad un uso maggiore del voto di preferenza nel Mezzogiorno rispetto al Nord.

Continuando a risalire la classifica degli indici di preferenza, troviamo la Lega al 28,8%, Fratelli d’Italia al 39,6%, il Partito Democratico al 42,9% e Forza Italia al 48,8%. Solo le liste di Italia Viva, però, superano il 50%: un indice di preferenza del 66,5% per le liste riconducibili al partito di Matteo Renzi indica che ci sono state più preferenze scritte che voti di lista (fatto possibile perché, come detto, le preferenze possono essere fino a due, mentre il voto di lista è uno solo).

 

Il Sud è il regno delle preferenze

Nel Mezzogiorno storicamente le preferenze sono sempre state più utilizzate rispetto al Nord. Per esempio, possiamo osservare come in Campania il tasso di preferenza si attesti al 68,7%: questo significa che ogni elettore campano di queste liste ha espresso, in media, più di una preferenza su due (1,4 per la precisione). Segue l’altra Regione del Sud, la Puglia, col 40,4%. Nelle due Regioni al voto nel Centro Italia le percentuali sono invece più contenute (25,2% nelle Marche e 28,9% in Toscana), e calano ulteriormente al Nord, col 21,5% in Liguria e il 16,7% in Veneto.

 

La doppia preferenza di genere aumenta il numero di elette?

In Campania e Toscana si era già votato nel 2015 con la doppia preferenza di genere: proprio 5 anni fa in queste due regioni la percentuale di elette in Consiglio regionale fu più alta (rispettivamente 24% e 27%) rispetto alle altre 4 regioni considerate, nelle quali non andò oltre il 20%. 5 anni fa sembrerebbe dunque essersi registrato un effettivo aumento della presenza femminile in quei Consigli regionali in cui era stata introdotta questa misura volta a favorire la parità di genere.

Prima del voto del 20-21 settembre, nel frattempo, la doppia preferenza di genere è stata introdotta anche in tutte le altre regioni al voto. Ma ha funzionato? Guardando i numeri, scopriamo come la percentuale di donne elette nei 6 nuovi Consigli regionali sia passata dal 19 al 24% (in termini assoluti, le elette sono aumentate da 49 a 61, su 256 consiglieri totali in queste 6 regioni): si è dunque assistito ad un effettivo aumento della rappresentanza femminile, anche se questo aumento non è stato così ingente e non è avvenuto in maniera omogenea nelle varie regioni al voto.

Le donne, infatti, continuano a rappresentare una percentuale sempre inferiore al 40% in tutti questi 6 Consigli regionali. Addirittura, in Campania e Liguria le elette sono calate rispettivamente di 3 e 2 unità rispetto al 2015, anche se in realtà, considerando solo le donne entrate in Consiglio col voto di preferenza, in Liguria si è passati da 1 a 3 elette (nel 2015 era presente il listino bloccato, oggi abolito, e 4 donne su 5 furono elette al Consiglio regionale della Liguria senza bisogno delle preferenze).

 




Lasciare un commento