sabato 4 aprile 2009 - Damiano Mazzotti

“Il viaggiatore solitario”: la vita e l’universo di Einstein

Nelle oltre 500 pagine che narrano la vita di Albert Einstein si può ripercorrere il vasto universo intellettuale e relazionale di uno degli scienziati più gentili e famosi (Einstein, Mondadori, 2008). L’autore del libro, Walter Isaacson è stato caporedattore del Time e amministratore delegato e presidente della Cnn. Ora è presidente dell’Aspen Institute (è nato nel 1952).

La grande intuizione di Albert Einstein (Ulm, 1879 - Princeton, 1955) derivò da un grande esperimento mentale: “la gravità, intuì, era una curvatura dello spazio e del tempo, e da qui trasse le equazioni che descrivono come la dinamica di tale curvatura deriva dall’interazione tra materia moto ed energia (la famosa formula “Energia = Massa x il Quadrato della Velocità della luce”). Ciò può essere illustrato immaginando di far rotolare una palla da bowling sulla superficie bidimensionale di un tappeto elastico. Poi facciamoci rotolare delle palle da biliardo. Queste si muoveranno verso la palla da bowling non perché essa eserciti qualche misteriosa attrazione ma a causa del modo in cui essa incurva la struttura del tappeto. Ora immaginiamo che ciò accada nella struttura gravitazionale quadrimensionale dello spazio e del tempo” (Isaacson, p. 9-10). La Teoria della Relatività Generale nasce dalla constatazione che la massa inerziale e gravitazionale di un corpo sono uguali anche se hanno due differenti definizioni: quindi “gli effetti che ascriviamo alla gravità e gli effetti che ascriviamo all’accelerazione sono entrambi prodotti da un’identica struttura” (p. 146). La gravità è la curvatura della struttura spazio-tempo: da una parte un campo gravitazionale agisce sulla materia, dicendole come muoversi. La materia, a sua volta, genera i campi gravitazionali nello spazio-tempo, dicendogli come incurvarsi (p. 193). E i buchi neri sono gli unici luoghi dove lo spazio e il tempo perdono la loro individualità e si fondono in una struttura quadridimensionale incurvata su se stessa in misura infinita.

Dopotutto l’Albert ragazzino fu molto colpito dagli scritti divulgativi di Aaron Bernstein, il quale affermava: “Poiché ogni tipo di luce risulta avere esattamente la medesima velocità, la legge della velocità della luce può ben essere definita la più generale di tutte le leggi di natura (p. 24). Inoltre, “dopo essere stato ipnotizzato dalla sudditanza dell’ago della bussola a un campo invisibile, Einstein avrebbe maturato una devozione destinata a durare tutta la vita per le teorie di campo come modo di descrivere la natura. Le teorie di campo utilizzano grandezze matematiche, quali numeri, vettori o tensori, per descrivere il modo in cui le condizioni esistenti in ciascun punto dello spazio influenzano la materia o un altro campo. Per esempio in un campo gravitazionale o elettromagnetico ci sono forze che potrebbero agire su una particella in qualsiasi punto, e le equazioni” dimostrano il modo in cui queste variano quando ci si sposta all’interno della regione. La teoria della relatività ristretta comincia con una considerazione con sugli effetti dei campi elettrici e magnetici; la teoria della relatività generale si basa su equazioni che descrivono un campo gravitazionale; e nell’ultimo periodo Einstein ancora scarabocchiava equazioni di campo della speranza di trovare una teoria del tutto (Isaacson, p. 19). Considerava incompleta la legge della meccanica statistica quantistica e voleva inserirla in una teoria unitaria dei campi: “Non ha senso attribuire alla materia e al campo qualità nettamente diverse… Non potremmo allora rinunciare al concetto di materia e edificare una fisica del puro campo?” (Einstein, p. 448).

Einstein riteneva “il concetto di campo come il massimo contributo allo spirito scientifico” (Gerald Holton, storico della scienza) e vinse il Nobel nel 1921 per gli studi del 1905, soprattutto per la teoria dell’effetto fotoelettrico (l’emissione di elettroni da una superficie metallica quando questa viene colpita dalle particelle di luce, i fotoni). E forse l’elettromagnetismo sarà il settore della fisica dove avverranno le scoperte scientifiche più produttive dei prossimi anni (dovrà quindi essere ripreso e approfondito l’enorme contributo di Nikola Tesla). Del resto la luce è la manifestazione visibile di un intero spettro di onde elettromagnetiche e il concetto di velocità della luce è riferito a tutte le onde elettromagnetiche. E sulla natura duale di onda-particella della luce Einstein ebbe a dire: “Tutti questi cinquant’anni di continuo almanaccare non hanno affatto avvicinato la risposta alla domanda: che cosa sono i quanti di luce?” (p. 101).

A quanto pare gli studi fatti da Albert ad Aarau in Svizzera e basati sulla pedagogia di Johann Heinrich Pestalozzi furono determinanti per la sua visione del mondo: l’intuizione visiva dei concetti è il mezzo essenziale o l’unico vero modo per insegnare a giudicare le cose correttamente e l’apprendimento dei numeri e della lingua deve essere senz’altro subordinato a essa (Pestalozzi, p. 31). Alcune teorie scientifiche si basano sull’induzione: viene analizzato un gran numero di dati sperimentali e poi si cercano teorie che spieghino le regolarità riscontrate. Altre teorie utilizzano la deduzione: si parte da principi fondamentali che non vengono messi in discussione. “Einstein aveva la notevole capacità di apprezzare le osservazioni sperimentali e si serviva di tale conoscenza per individuare alcuni punti fissi su cui poter costruire una teoria. Ma dava la massima importanza al processo deduttivo” (Isaacson, p. 117) e alle definizioni operative dei concetti. Inoltre il pensiero scientifico di Einstein era naturalmente predisposto a unificare diversi concetti di campi diversi della fisica: ad esempio alcuni concetti legati alla teoria cinetica e alla meccanica statistica vennero applicati ai gas, ai liquidi, ai solidi, alla conduzione elettrica e alle radiazioni.

Einstein però si rese conto che “una carriera accademica in cui si è costretti a produrre memorie scientifiche a profusione genera un pericolo di superficialità intellettuale” e le sue prime creazioni indipendenti dagli ambienti universitari sembrano dimostrare che la vera libertà intellettuale vive fuori dalle istituzioni accademiche (anche Leonardo da Vinci era uno studioso autodidatta). Per fortuna il caso lo fece approdare all’Ufficio brevetti svizzero che rafforzò il suo “gaio scetticismo su ciò che compariva sulle pagine che aveva davanti e un’indipendenza di giudizio che gli consentiva di mettere in discussione presupposti fondamentali. Tra gli analisti di brevetti non c’erano pressioni o incentivi a comportarsi altrimenti” (Isaacson, p. 81). Tra le altre cose, Albert fu un mattacchione che fondò un’accademia personale del libero pensiero che risultò meno infantile di quelle che dovette affrontare grazie alla sua celebrità. Conrad Habicht e Maurice Solovine furono i suoi compagni di accademia e i suoi amici per la vita (Solovine diventò il suo editore francese).

Einstein affermò che grazie all’approfondimento dello studio scientifico divenne un accesissimo sostenitore del libero pensiero e si creò “l’impressione che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente” (p. 24-25). Einstein nella sua sfrontatezza e indipendenza credeva che solo la valorizzazione dell’individualità potesse portare ai miglioramenti scientifici e sociali ed “era una di quelle personalità divise che sanno come proteggere, per mezzo di un’esteriorità spinosa, il regno delicato della loro intensa vita emotiva” (Hans Byland, compagno di scuola di Albert). “C’era sempre in lui una formidabile purezza a un tempo infantile e profondamente ostinata (J. Robert Oppenheimer, p. 491).

Le sue traversie sentimentali ricalcano invece il classico schema vetero-borghese: “Ho una pessima opinione di questa concezione del rapporto tra un uomo e sua moglie, perché rende la moglie distinguibile da una prostituta solo in quanto la prima è capace di assicurarsi un contratto a vita” (Albert che scrive alla compagna Mileva Maric’ della discussione avuta con i propri genitori, p. 55). Alla fine Einstein ebbe una figlia dalla Maric’ senza sposarsi. Cosa non così rara al tempo: il 10 per cento degli abitanti di Zurigo avevano figli fuori dal matrimonio e le suddite dell’Impero austro-ungarico avevano ben il 30 per cento di possibilità (la Maric’ veniva da Novi Sad, città serba nell’Ungheria di allora). Infine divorziò dalla Maric’, si sposò con la cugina Elsa nel 1919 e si trovò molte amanti. Forse sono le relazioni sentimentali ad essere pilotate dalle forze più indecifrabili della natura. Perlomeno Einstein era coerente, poiché affermava di non credere alla monogamia.

La spiritualità di Einstein non prevedeva il primitivo Dio dei premi e delle punizioni, della rabbia e delle vendetta, che rispecchiava il carattere violento dei primi padri padroni che scrissero e trascrissero la Bibbia, ma credeva in un Dio creatore della bellezza delle leggi della natura, un Dio determinista che non gioca a dadi e che non mise in discussione nemmeno alla luce delle nuove teorie probabilistiche della meccanica quantistica. Anche la vecchia mente del conservatore Max Planck, che insieme alla mente non più giovane del rivoluzionario Einstein aveva posto le basi della meccanica quantistica, si rifiutò di accettare questa nuova teoria che distruggeva le fondamenta di un universo determinista dotato di causalità e di certezza che era oggetto della venerazione del tempo. Ora siamo invece arrivati alla studio della forza Nucleare Debole, della forza Nucleare Forte, dell’Antimateria, della Teoria delle Stringhe e del concetto di Multiverso.

Comunque la cosa incredibile è che, a quanto mi risulta, l’energia atomica che viene utilizzata ancora oggi per produrre energia elettrica, viene in realtà utilizzata per trasformarla in vapore. Cioè viene riscaldata dell’acqua per azionare delle turbine a vapore! La mente umana è così attaccata alle tradizioni, sia religiose, che scientifiche, che non si è ancora riusciti a trovare un modo per riscaldare dell’acqua in maniera più naturale e meno pericolosa (ad esempio attraverso l’energia geotermica di profondità o la concentrazione ottica dell’energia solare).

Quindi il credo fondamentale di Einstein era questo: “Lo sviluppo della scienza e in generale delle attività creative dello spirito richiede una libertà che consiste nell’indipendenza del pensiero dalle limitazioni dei pregiudizi sociali e dell’autorità… nella lotta appassionata contro ogni sorta di dogma basato sull’autorità. Coltivare tale libertà dovrebbe essere il ruolo fondamentale del governo e il compito sacro dell’educazione” (p. 530-531). “L’educazione dell’individuo, oltre a incoraggiare le sue innate capacità, dovrebbe proporre di sviluppare in lui un senso di responsabilità verso i suoi simili anziché la glorificazione del potere e del successo, come avviene nella nostra società attuale” (p. 486).

E fra poco vi lascerò finalmente ai vostri affari quotidiani dopo aver però citato alcune delle sue famose sentenze: “Credo che l’amore sia un maestro migliore del senso del dovere, almeno per me”; “La vita è come una bicicletta. Per mantenere l’equilibrio bisogna continuare a muoversi”; “La cieca obbedienza all’autorità è il peggior nemico della verità”; A me piace pensare per il piacere di pensare, come per la musica; “Evviva la faccia tosta! È il mio angelo custode in questo mondo”; “Come un uomo intelligente possa aderire a un partito è per me un mistero” (forse all’epoca esistevano ancora politici intelligenti); “Così ora anch’io sono ufficialmente membro della corporazione delle prostitute” (aveva appena vinto la cattedra universitaria a Zurigo); “Non ho talenti particolari, sono solo appassionatamente curioso”; La gente non si rende conto della grande influenza avuta da Hendrik Lorentz sullo sviluppo della fisica (studioso di elettromagnetismo ed elettrodinamica); “La burocrazia imbriglia la mente come le mani di una mummia”; Le cose veramente originali si inventano solo da giovani. Poi si diventa esperti, famosi... e più stupidi; “L’immaginazione è più importante della conoscenza: la conoscenza è limitata, l’immaginazione racchiude il mondo”; “La gioventù americana ha la fortuna di non avere tradizioni sorpassate a ostacolare il suo sguardo sul futuro”; Battersi per la giustizia sociale è la cosa più importante nella vita; “Il nazionalismo è una malattia infantile, il morbillo del genere umano”; “Io non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma posso dire che cosa useranno nella quarta: pietre”; “Finché avrò una scelta, vivrò soltanto in un paese dove prevalgano la libertà civile, la tolleranza e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge” (www.nasonline.org, p. 579). E nei suoi ultimi giorni di vita disse: “È di cattivo gusto prolungare la vita artificialmente. Ho fatto la mia parte, è ora di andare. Lo farò con eleganza”. E in questo modo affrontò serenamente il suo ultimo viaggio da “viaggiatore solitario”. Così Einstein amava definirsi.

Questo è invece un mia aforisma paradossale: l’unica legge universale è che ogni legge comprende almeno una eccezione alle sue regole. E la domanda sorge spontanea: qual è il vero confine tra le leggi del micromondo e quelle del macromondo? E valgono entrambe le leggi per i processi mentali? Di sicuro la matematica è solo una mappa o un copione della realtà: non è la Natura.

Come affermato da Niels Bohr “è sbagliato pensare che il compito della fisica sia di scoprire com’è la natura. La fisica ha per oggetto ciò che possiamo dire sulla natura”. L’atto stesso di misurare qualcosa influenza l’osservazione (il principio di indeterminazione di Heisenberg). Comunque in una delle molte occasioni in cui Einstein dichiarò che Dio non giocava a dadi, fu Niels Bohr a dargli la famosa risposta: “Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare!” (p. 315). E forse è meglio che l’uomo non unisca quello che Dio ha separato (Wolfgang Pauli, amico di Albert).

 

P. S. La diceria riguardante le famigerate scarse capacità matematiche scolastiche di Albert sono una falsità inventata da qualche collega o giornalista invidioso. L’invidia è l’effetto collaterale che colpisce le persone di genio o con una forte indipendenza intellettuale: Einstein fu l’unico laureato nella sua sezione del Politecnico che non trovò un lavoro in zona.

Nota finale – Intorno al 1988 fu la lettura del carteggio tra Einstein e Freud sulla necessità di controllare la violenta psicologia maschile attraverso un governo mondiale per impedire le guerre, a farmi scegliere i miei studi di psicologia e i miei interessi culturali (Einstein seguiva un ideale di pacificazione realista e relativista: riteneva inevitabile la guerra per difendere la civiltà da Hitler).




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