mercoledì 29 maggio 2019 - UAAR - A ragion veduta

Il vero rischio è abortire lo Stato di diritto

I continui attacchi ai diritti riproduttivi delle donne ci dicono, o meglio ci confermano, che nessun traguardo su questi temi è mai veramente raggiunto una volta per tutte. E ci dicono anche un’altra cosa, forse altrettanto scontata ma troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione: che qualunque conquista in tema di diritti rischia di essere rimessa in discussione nel momento in cui le vele vengono gonfiate dai venti reazionari che arrivano da prua, soffiati da movimenti identitaristi e clericofascisti. Come attualmente in Italia, secondo i dati appena arrivati dai risultati elettorali.

Lo sanno bene gli americani che oggi, in piena era trumpista, vedono diversi Stati scommettere su una nuova sentenza che ribalti la storica Roe vs Wade e rimetta in discussione il principio secondo cui l’aborto è un diritto di tutte le americane. Ci scommettono perché vedono che la composizione della Corte Suprema è adesso favorevole, dopo la nomina del giudice Kavanaugh proprio da parte di Trump. Ci ha scommesso l’Alabama introducendo una legge, peraltro subito impugnata dall’associazione Planned Parenthood — ma è proprio quello che si aspettava il senato dell’Alabama — che mette al bando l’aborto anche in caso di stupro e incesto e prevede pene fino a 99 anni di reclusione. Subito dopo ci ha scommesso anche la Louisiana, che ha però optato per un emendamento costituzionale invece che una legge ordinaria, e che si è limitata a un divieto successivo al rilevamento di attività cardiaca nel feto.

Come loro decine di altri Stati americani, per lo più facenti parte della cosiddetta Bible Belt, avevano varato o hanno intenzione di varare provvedimenti restrittivi del ricorso all’aborto. Il che non è il solo problema, visto anche che comunque di leggi incostituzionali trattasi per il momento, ma è accompagnato da altri fenomeni non meno preoccupanti. A cominciare dall’impennata delle intimidazioni nei confronti dei medici che praticano aborti, dei picchettaggi in prossimità delle cliniche e in generale dell’aggressività dei gruppi antiabortisti, fino alle incursioni degli stessi gruppi nelle pubblicità offerte da Google allo scopo di sfruttarle indebitamente con messaggi fuorvianti. C’è perfino chi ipotizza una seconda guerra civile americana, che verrebbe causata proprio dalla forte contrapposizione sul tema tra intere regioni pro e contro l’aborto.

E in Europa? Dal punto di vista politico, le elezioni ci hanno appena consegnato un parlamento che tutto sommato è meno peggio di come sarebbe potuto essere. Intendiamoci, anche a livello continentale c’è stato un avanzamento dei gruppi sovranisti, ma non sufficiente per poter ambire alla Commissione europea. Sembra piuttosto profilarsi una nuova maggioranza di centro sinistra, seppur con una diversa e più ampia composizione, che non dovrebbe rappresentare un pericolo. I trascorsi non sono del tutto confortanti: sei anni fa veniva bocciata di misura, pare addirittura a causa di un errore di traduzione, la proposta dell’europarlamentare socialista portoghese Estrela che avrebbe impegnato gli Stati membri a fare di più sui diritti riproduttivi e sessuali; due anni dopo, nel 2015, veniva invece approvata la proposta del socialista italo-belga Tarabella, che afferma sì la necessità di agevolare l’accesso all’aborto ma alla fine, grazie a un emendamento popolare, lascia libertà ai singoli Stati sulle rispettive legislazioni. Insomma, dovreste farlo ma la decisione spetta a voi. In compenso l’Italia ha incassato una sonora bocciatura sul tema dal Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa, per giunta perché recidiva.

In generale l’Europa non è al momento messa malissimo, ma neanche benissimo. Quelli liberticidi sono in prevalenza i micro Stati, compresa naturalmente la Città del Vaticano ma non solo: Malta non consente l’interruzione volontaria della gravidanza mentre San Marino, Liechtenstein, Andorra e Irlanda del Nord pongono restrizioni severe. Appena un po’ più larghe le maglie in Finlandia, Polonia, Regno Unito, Islanda e Monaco. Nel resto del continente non esistono serie limitazioni, compresa l’Irlanda che lo ha legalizzato sette mesi fa e che sta vivendo una stagione di diritti di tutto rispetto (giusto nei giorni scorsi ha anche abbreviato con un referendum plebiscitario i tempi necessari per il divorzio). Laddove è legalizzato da tempo, inoltre, il ricorso all’aborto presenta in genere un trend discendente; emblematico il caso della Romania, che dopo l’era Ceausescu in cui a causa del divieto di aborto venivano sovraffollati gli orfanotrofi, con tutte le conseguenze del caso, ha avuto in primo luogo un boom nella percentuale delle Ivg seguito da un altrettanto forte ridimensionamento.

Se però dal piano della legislazione ci spostiamo a quello squisitamente sociale le cose cambiano. Anche l’Europa, e in particolare l’Italia, vivono al momento una sorta di revanscismo applicato al terreno dei diritti, analogamente a quello che abbiamo visto accadere negli Usa. I movimenti no-choice sono sempre più ag­guer­riti e so­prat­tutto rice­vono finan­zia­menti da parte di organizzazioni reazionarie statunitensi e russe. L’Italia non fa eccezione, anzi. Le campagne di CitizenGo sono sempre più presenti e nelle città vengono organizzate manifestazioni per chiedere l’abolizione della legge 194 alle quali si accodano anche gruppi neofascisti, e i cui partecipanti sono in genere di orientamento per così dire “spiccato”. C’è purtroppo tanto da fare e, soprattutto, non c’è da abbassare la guardia. Men che meno quando si tratta di elezioni di qualunque tipo.

Massimo Maiurana




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