giovedì 8 agosto - Damiano Mazzotti

Il tempo umano. La biblioteca rivoluzionaria di Olivetti

Chiara Faggiolani è una grande esperta di libri che ha decisono di indagare a fondo la figura intellettuale di Adriano Olivetti, in questo saggio: "Il problema del tempo umano. Le biblioteche di Adriano Olivetti: storia di un'idea rivoluzionaria" (www.edizionidicomunita.it, Roma, 2024, 425 pagine, euro 24).

Questo libro molto ricco, prende in esame sette questioni fondamentali: L'idea rivoluzionaria "che interpella il presente"; "Il problema del tempo" che riguarda "lo sviluppo umano"; "Più si creano macchine per gli uomini e più bisogna potenziare la cultura"; Il passaggio tra "qualcosa che non c'è più" a "qualcosa che non c'è ancora"; "Cosa farebbe oggi Adriano Olivetti?"; "La semplicità delle intenzioni" e del silenzio; L'idea del ruolo rivoluzionario della cultura (suggestioni e avvertenze iniziali).

Indubbiamente per Olivetti il libro è uno strumento fondamentale "della comunicazione propriamente culturale, non solo informativa, ma essenzialmente autoformativa e generatrice di autoconsapevolezza". Si tratta quindi del "mezzo fondamentale per il progresso dell'intelligenza umana, nel senso preciso del comprendere fino in fondo le situazioni e le varie esperienze dell'uomo e della donna nella società" di oggi (Ferrarotti, p. 7).

I vari centri culturali e comunitari, e le varie biblioteche, potrebbero aumentare la loro incisività culturale. Oggi "La comunicazione elettronica è essenzialmente auto-referenziale; comunica non più "con", bensì "a", cioè a tutti e a nessuno. Paradossalmente, crescono l'iperconnessione e la solitudine" (Ferrarotti, p. 8). In effetti non è per niente facile muoversi online in maniera appropriata, in un mondo incredibilmente vasto e sempre più vasto.

Come scrive il sociologo Franco Ferrarotti nella prefazione, esiste un legame misterioso "fra emarginazione e creatività. Si direbbe che la genialità innovativa, o addirittura l'intuizione profetica, sia il compenso di chi, rispetto al proprio tempo, dia prova di essere in grande anticipo e subisca per questo un pressoché totale isolamento". Purtroppo la vita di oggi è fatta in molti casi proprio così.

Si può aggiungere anche il pensiero molto saggio di un bibliotecario americano, che ci ricorda giustamente queste parole: "I bibliotecari che amano i libri per se stessi e dimenticano di amare i lettori dovrebbero essere esclusi dalla professione" o dal contatto con il pubblico. Soluzione molto semplice ma forse difficilmente applicabile in Italia.

Infine è curioso chiudere con una previsione olivettiana molto oculata. "L'esplosione in Italia, dell'interesse per la psicologia, se non fu immediata, come Adriano Olivetti pensava, ebbe però esattamente l'estensione da lui pronosticata". Poi prevalsero in Olivetti gli aspetti politico-sociali rispetto a quelli culturali e scientifici (Renzo Zorzi, 1982, p. 397). Molte persone hanno imparato molte cose da Olivetti. E continueranno a discutere a lungo, camminando a lungo sul vasto percorso culturale abilmente preparato.

 

Chiara Faggiolani insegna Biblioteconomia all'Università Sapienza di Roma. Qui dirige il Laboratorio di Biblioteconomia sociale e ricerca applicata alle biblioteche e il Master in Editoria, giornalismo e management culturale.

 

Nota aforistica - Non sono ancora abbastanza vecchio per sapere quasi tutte le cose più importanti e più utili (Amian Azzott); Il più grande potere dei media è quello di ignorarti (Malcolm X); Il bibliotecario aiuta gli uomini a liberarsi dalla schiavitù dell'ignoranza" (Ettore Fabietti, p. 336); Olivetti è morto in modo strano, facilitando le attività di alcune persone molto danarose e molto invidiose della creazione italiana del computer portatile (Amian Azzott; basta cercare portatile e www.storiaolivetti.it nel Web; oppure: https://olivettiana.it).

Nota finale - Lascio questo link relativo a un evento interessante: https://learningmorefestival.it (a Modena in ottobre). Poi chiudo così: "Le istituzioni umane non muoiono come gli organismi biologici. Frammenti di cultura continuano a vivere a lungo anche quando la società che dava loro nutrimento è sparita" (Mumford, p. 302).




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