mercoledì 16 ottobre 2019 - Salvo

Il supplizio di Maria Antonietta

Il 16 ottobre ricorre la morte di Maria Antonietta. La Regina, dal 2 agosto 1793, era stata trasferita presso il carcere della Concergerie separandola per sempre dai suoi famigliari: la cognata, madame Elisabetta, la figlia, Maria Teresa, e il figlio, Luigi Carlo. Intanto la Convenzione Nazionale cominciava a discutere della sorte della sovrana.

 Il 3 ottobre il deputato Billaud-Varennes aveva chiesto di avviare il processo. In realtà emetteva un giudizio inappellabile di condanna e ne chiedeva l’immediata esecuzione. Infatti, affermava: “Una donna, l’onta dell’umanità e del suo sesso, la vedova Capeto, deve alfine espiare le sue malefatte sul patibolo. Si dice per ogni dove che sia stata già giudicata segretamente e che il tribunale rivoluzionario l’abbia assolta; come se una donna che ha fatto colare il sangue di parecchie migliaia di francesi, potesse essere assolta da una giuria francese”.

La Convenzione, seduta stante, decretava l’avvio del procedimento del giudizio al Tribunale rivoluzionario. Il 12 ottobre la Regina doveva subire, nella sua cella alle Conciergerie, un interrogatorio segreto. Si presentava davanti agli accusatori una donna che aveva perso la sua naturale bellezza, vestita di nero, con una cuffia di pizzo, i capelli erano diventati bianchi, il suo aspetto appariva molto sofferente e il suo fisico emaciato.

Alla fine dell’interrogatorio il Tribunale decideva di assegnare due avvocati per la difesa, si trattava di Tronson-Ducondray e Chauveau-Lagarde. L’indomani gli veniva notificato l’atto di accusa, gli avvocati chiedevano un rinvio, vista la grossa mole di documenti, ma la Convezione non si sarebbe degnata di rispondere.

Il dibattito ufficiale sarebbe iniziato il 14 ottobre presso il Tribunale rivoluzionario, una vera macchina del terrore. Maria Antonietta per il Tribunale era la “vedova Capeto”. L’atto di accusa la bollava come “nemica irriducibile del popolo francese”, colpevole di aver influenzato il marito, di aver dilapidato le finanze dello Stato, di tradimento e cospirazione.

Ma il calvario di Maria Antonietta non era finito, doveva subire l’accusa più infamante e volgare di avere intrattenuto rapporti incestuosi con il figlio. Dopo le infamanti deposizioni di Hébert le parole dell’accusatore del Tribunale, Fouquier-Tinville, si può leggere: “Infine la vedova Capeto, immorale sotto ogni rapporto e quale nuova Agrippina, è tanto perversa e proclive a ogni delitto., che dimenticando la sua qualità di madre e certi limiti prescritti dalle stessi leggi naturali, non ha esitato ad abbandonarsi con Luigi Carlo Capeto, suo figlio, e per confessione di quest’ultimo, ad atti di tale indecenza la cui qualifica fa fremere di orrore”. Davanti a tale obbrobrio ella trovava tutta la dignità regale della sua persona, dopo aver scelto il silenzio e invitata a rispondere su tali accuse, ella diceva: “Se non ho risposto è perché la natura si rifiuta di rispondere a una simile accusa fatta a una madre. Me ne appello a tutte quelle che possono trovarsi qui”. 

Ma la tragedia continuava. Maria Antonietta era una credente e, tra le altre imputazioni, la si accusava proprio per la sua fede. Di nuovo il teste Hébert, il famoso direttore del famigerato Pere Duchesne e sostituto procuratore della Comune, dichiarava di “aver trovato presso l’imputata un’immagine rappresentante un cuore trafitto da una freccia con le parole: Jesus, miserere nobis. E’ questo un sicuro segno controrivoluzionario”. 

Che il processo fosse altamente viziato lo si capisce da alcuni episodi: Maria Antonietta ad un certo punto avrebbe chiesto un bicchiere d’acqua e l’ufficiale di gendarmeria Busne glielo porgeva e gli offriva il suo braccio per ricondurla in cella. L’ufficiale successivamente, per questo suo gesto di umanità, veniva arrestato. O l’arresto temporaneo dei due difensori, poco prima della delibera della giuria, su richiesta del presidente Herman, affinché fossero interrogati separatamente su possibili rivelazioni o su documenti svelati dalla Regina. 

La condanna, anche in questo caso, era già stata scritta: la ghigliottina. Maria Antonietta sarebbe andata incontro alla morte su una carretta, vestita di bianco, con un fazzoletto che gli ricopriva le spalle, una cuffia con un nastro nero sulla testa e ai polsi. Cosciente del furore popolare contro di lei ai gendarmi diceva: “Credete che il popolo mi lascerà andare al patibolo? Che non vorrà farmi a pezzi?”. E questi rispondevano: “Non vi sarà fatto alcun male, signora” .

Per il tragitto ella sarebbe stata insultata, in una sorta di ubriacatura generale, la folla inveiva contro una persona sola e indifesa. Ma c’è anche chi si mostrava con gesti di grande umanità: durante il cammino una donna sollevava il suo bambino il quale mandava un bacio ala Regina. Maria Antonietta non può far altro che rispondere con un piccolo cenno del capo e con gocce di pianto. 

Salvatore Falzone

Foto: Wikimedia




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