giovedì 21 novembre 2019 - Stranieriincampania

Il sogno di Prageeth dai video alla musica reggae con l’ultimo disco prova a prendersi Napoli

Prageeth Perera è un musicista e cantante raggae che vive da quasi trent’anni a Napoli. Stranieriincampania l’ha incontrato al Giardino Liberato di Materdei, un luogo restituito alla cittadinanza qualche anno fa e gestito da alcuni abitanti del quartiere dal 2012. 

Prageeth ci accoglie sotto il porticato di inizio ‘800 del convento di via San Raffaele che gira intorno al giardino e inizia a spiegarci che in quello spazio si tengono iniziative sociali e culturali e per questo è frequentato da diversi artisti napoletani e stranieri. Infatti da una delle camere che affacciano sul porticato proviene una musica di qualche artista intento a provare. Ci accomodiamo su due sedie sistemate per l’occasione sotto il porticato mentre sul giardino continua a cadere una pioggia battente residuo dell’emergenza meteo che ha colpito Napoli nella prima decade di novembre.

Ciao Pragheet, ci racconti un po’ di te e di quando sei partito?

Io mi chiamo Prageeth Perera in arte Ceylon Rasta, Ceylon è il nome che avevano dato gli inglesi quando hanno colonizzato lo Sri Lanka. Vengo da un paese bellissimo vicino al mare che si chiama Chillaw a circa 80 km dalla capitale, Colombo. In quegli anni lì c’era la guerra civile, non si capiva niente, ogni giorno c’erano morti ammazzati e tutti i ragazzi avevano l’obbligo di arruolarsi nell’esercito. Ti mettevano un fucile in mano e ti mandavano a fare la guerra. Allora un giorno i miei genitori mi hanno detto “Prageeth tu vai via, scappa di qua”, perché avevano paura che mi succedesse qualcosa. Fu una guerra inutile, tra l’altro i tamil stavano là da sempre. Ricordo che c’erano morti dovunque, bombe che esplodevano, ho visto bambini ammazzati per strada, ho visto di tutto.

Ricordi di quando sei arrivato in Italia?

Ricordo ancora che avevo 16 anni, stavo giocando a pallone per strada con i miei amici. Quando tornai a casa ero ancora tutto sporco di fango e all’improvviso mio padre mi disse “Prageeth tra una settimana vai in Italia”. Ero un ragazzino, non avevo idea di dove andare e di cosa fare. Mi dispiaceva molto partire e lasciare tutto, avevo anche un gruppo musicale con cui facevamo le canzoni tradizionali. Poi scoprii che c’era una mia zia qui a Napoli, sono partito e ricordo di essere arrivato a piazza Cavour e sono ancora qui oggi e non me ne andrei da nessuna parte. Io amo Napoli, forse più del mio paese. Mi ricordo ancora quando all’inizio abitavo nel quartiere Sanità e la mattina scendevo e camminavo per i vicoli, per me era tutto nuovo, non ero mai stato in Europa prima. Era l’epoca di Maradona e io avevo i capelli come i suoi, così le signore che stavano sedute fuori ai bassi quando mi vedevano passare mi chiamavano “Maradò”.

Come è stato il primo impatto con Napoli?

I napoletani non erano tanto abituati a vedere gli stranieri girare in centro. Adesso è diverso la nostra comunità è più organizzata, ma non più integrata perché, per esempio, è raro che vedi srilankesi nel pub italiano a bere una birra, a fare due chiacchiere. Non ti so dire il perché, forse quando la comunità ha iniziato a insediarsi dovevano spingere di più i giovani a frequentare i coetanei italiani. Questa nuova generazione forse è diversa, spero che andando a scuola insieme possano integrarsi meglio. Nella mia vita ho campato più a Napoli che in Sri Lanka. Oggi anche se il mio paese resta lo Sri Lanka io voglio vivere a Napoli, non riesco a stare lontano più di due mesi. Vivo qui e spero di riuscire anche qui a fare questo percorso artistico. Io non ho trovato da nessuna parte una città come Napoli, proprio a livello di accoglienza e di fratellanza.

Che lavoro facevi all’inizio?

Nel 91 la comunità srilankese era già insediata sul territorio e mi mandarono a lavorare in una casa per fare tutte le faccende domestiche. E sai a casa di chi mi sono trovato? Beppe Barra, all’epoca c’era anche la madre. Aveva una casa bellissima, venivano sempre artisti a cena. Ricordo che all’epoca non parlavo neanche italiano, però mi avevano preso perché ero giovane e forte. All’epoca non arrivavano tanti giovani, la maggior parte erano adulti. Mi ricordo che certe volte si mettevano a suonare tutti insieme, in particolare ricordo le nacchere e io li spiavo da dietro la porta. La musica mi piaceva tanto Mi ricordo anche che quando ero libero stavo sempre davanti alla tv e guardavo i programmi di musica, all’epoca c’era il Festival Bar e poi Sanremo, di cui non perdevo una puntata.

Quando è nata la tua passione per il reggae?

Qui a Napoli ho conosciuto il reggae, c’erano dei ragazzi africani che provavano in una saletta sotto la strada nella zona di piazza Cavour ed io andavo sempre a vederli. Ho fatto esperienza anche con uno studio di registrazione molto famoso nel centro di Napoli, lì ho incontrato il maestro Visco che era un grande, aveva anche registrato con Gigi Finizio e Nino D’Angelo.

Come è iniziata la tua carriera come professionista?

Ho scritto il mio primo pezzo sulla musica di Bob Marley “I’m rebel” poi nella mia lingua ho aggiunto le parole. E’ una canzone dedicata ai jeans, però ha un significato politico perché il jeans accomuna ogni categoria sociale e può essere indossato in ogni occasione. Comunque mandai il video della canzone ad una televisione famosa, Sirasa Tv, diciamo che è come Canale5 qui in Italia. Questo pezzo nel 95 ha spaccato in Sri Lanka, poi uscì tutto l’album si chiama “Raggea Denima”. Ho fatto più di 100 pezzi reggae e bisogna considerare che là in Sri Lanka non era conosciuto come genere musicale. Quando ho portato il mio pezzo la gente era incuriosita, si chiedeva chi fosse questo con i capelli lunghi, i dread e tutto il resto. Però sono orgoglioso perché adesso tutti parlano di me. Poi ho iniziato a sperimentare: ho preso dei pezzi famosi italiani, di artisti come Ramazzotti e Zucchero, e li arrangiavo con una base reggae e le parole nella mia lingua. Nella mia carriera ho lavorato anche con l’Orchestra Multietnica Mediterranea, un gruppo di artisti provenienti da ogni parte del mondo che fanno canzoni antiche. Grazie a loro ho girato l’Europa. Un’altro bellissimo regalo che mi ha fatto questa città è un featuring in una canzone che si chiama “Pizza number one”, con un rapper molto conosciuto a Napoli che si chiama Marco LMD. Se ci pensi la pizza è nata a Napoli ed è conosciuta in tutto il mondo, in qualche modo è una cosa che avvicina tutti i popoli ed anche questo testo ha un significato politico, ad un certo punto dice: “Come è buona questa pizza, tutto il mondo mangia questa pizza. Mangia la pizza fratello, si viaggia”.

I tuoi genitori come hanno preso la scelta di dedicarti alla musica?

Mio padre sapeva bene della mia passione per la musica. Io anche se ho iniziato a suonare a Napoli, si può dire che in Sri Lanka sono diventato famoso. I miei genitori mi vedevano in televisione, ascoltavano i miei pezzi per radio. Erano molto orgogliosi di me. All’epoca non c’erano tanti srilankesi in Italia ed il fatto che io mi trovassi qua mi dava maggiore importanza. Ero un artista che era andato a lavorare in Europa, portavo con me sempre il cappello del Napoli anche nelle interviste in televisione.

 

Oggi invece hai deciso di provare ad entrare anche nel mercato italiano?

Io ho girato un po’ tutta l’Europa per fare concerti per la mia comunità. Frequento, ormai da 6/7 anni, il “Giardino Liberato di Materdei”, un luogo bellissimo in cui prendere nuove idee. Qui ho conosciuto un sacco di artisti, ho scritto molti pezzi. Pensa che mi hanno chiesto di cantare “Lacrime napulitane” che parla degli immigrati italiani in America. All’inizio ho pensato “ma come faccio a cantare Mario Merola?”, poi mi hanno spiegato che vogliono un remix, forse reggae. Diciamo che, dopo quasi 30 anni, ho capito che è arrivato il momento di uscire sulla scena anche qui a Napoli. Alla fine ho realizzato il mio sogno di formare un gruppo con i napoletani ed è nato “Napoli Reggae United”. Facciamo pezzi reggae miei e di artisti famosi. L’ultimo pezzo che è uscito si chiama “Solo tu”, sempre reggae con le parole in italiano e in napoletano. Usciranno altri 11 pezzi tra napoletano e italiano. Ho dovuto aspettare che il mercato fosse maturo per far uscire il disco, per iniziare a collaborare con i napoletani. Per me conta tantissimo arrivare sul mercato con un percorso, come quando sali una scala, devi fare un gradino alla volta. Adesso sono pronto per dare qualcosa anche alla musica napoletana.

 

Oltre che musicista sei anche regista, ci racconti di quest’altra passione?

In Sri Lanka sono nato in una casa che stava di fronte ad un vecchio cinema, quando ero piccolo andavo la mattina a raccogliere i pezzi di pellicola che tagliavano e così mi sono appassionato al cinema e ai video. Quando sono venuto qua in Italia, ho iniziato a fare i video oltre la musica. Mi chiamavano per qualunque cerimonia o evento della mia comunità. Così all’improvviso mi è venuto in mente di fare una televisione. Siccome io mi chiamo Prageeth, ho preso solo Gee che nella mia lingua vuol dire musica, e ho creato GeeTv.

Prima che arrivassero Youtube e Facebook trasmettevamo Live Stream, poi su Google video. Adesso sono 12 anni che esiste e ho fatto oltre 100 video tra riprese e montaggio.

 

Di cosa parla GeeTv?

Racconta tutto quello che succede nella mia comunità, se uno nasce o muore, quando c’è un evento mi chiamano per fare le riprese. Adesso è famosa anche in Sri Lanka. Molti giovani hanno iniziato a lavorare con me, tra presentatori, montatori, registi. Tanti giovani si sono lanciati a fare pagine Facebook di comunicazione ma GeeTv per loro è un po’ come la casa della mamma. Adesso c’è anche un gruppo che fa GeeTv in Sri Lanka, fanno tutto loro dalle riprese al montaggio e poi caricano sulla pagina. Coprono le spese con degli sponsor e si finanziano così. Qui in Italia si tratta più di una comunicazione per la comunità.

 

Hai partecipato anche ad altre produzioni di video musicali?

L’ultimo che ho fatto è stato un grande onore per me, con il musicista Antonio Onorato che ha lavorato anche con Pino Daniele. Ho fatto la regia per il suo ultimo brano “Senza mai sapè” dedicato al suo amico scomparso Rino Zurzolo. Anche il video di “Pizza Number One” è mio, poi ho fatto il video per dei musicisti africani, ho fatto anche qualche film, ho partecipato ai video di altri artisti. Faccio anche dei documentari in Sri Lanka che si chiamano Into Paradiso.

Ma Into Paradiso non è anche un film, girato proprio a Napoli una decina di anni fa?

Sì, esatto. E’ un film di Paola Randi a cui ho partecipato anche io, ho scritto la musica e compaio in alcune scene. Voglio confessarti una cosa, dovevo essere io uno dei protagonisti di quel film. Mi avevano preso, sono andato anche a Roma a fare le prove, poi due mesi prima dell’inizio delle riprese sono tornato in Sri Lanka e lì sono stato punto da una zanzara quasi mortale che si chiama dengue. Il dottore mi disse che non c’era niente da fare, poi fortunatamente sono guarito. Ma mia moglie dovette chiamare la produzione e dire che non potevo girare il film. Poi fortunatamente quando sono tornato la regista mi ha detto che aveva già preso un’altra persona, ma di non preoccuparmi perché mi sarei occupato delle musiche.

 

Hai parlato anche di tua moglie quindi sei sposato, hai anche dei figli?

Sì i miei figli sono nati qui, adesso sono grandi. Mia figlia studia Giurisprudenza all’Università Bicocca di Milano. Loro si trovano bene, sono nati qui e sono napoletani, anche se le leggi in Italia sono sbagliate. I ragazzi nati qui devono avere la cittadinanza, non devono aspettare fino ai 18 anni e fare tutte queste lotte, tra pratiche, richieste di documenti assurdi da ritrovare. Mia figlia dove deve andare a vivere, in Sri Lanka? Ha sempre vissuto qui, quando andavamo in Sri Lanka dopo due settimane mi diceva “Papà basta voglio tornare a casa, a Napoli”. Loro vivono qui, questa è casa loro.

Tu hai preso la cittadinanza?

Anche io non ho preso la cittadinanza, perché non ho mai avuto un contratto lungo di lavoro. Ho fatto sempre il musicista, sono un artista, ho un sacco di referenze, possono vederle tranquillamente. Dopo 30 anni devo fare ancora la fila alle 4 di mattina per fare la richiesta, questa è umanità? Forse dovevo fare il badante così erano contenti? Io sono una persona forte, posso lavare pure i bagni, per vivere farei qualunque cosa, di pulito naturalmente, ma mi piacerebbe fare il musicista anche qua e spero che questo disco cambi un po’ le cose. Io sono famoso in Sri Lanka perché là ho portato il reggae, qui faccio i concerti per la mia comunità ma mi piacerebbe coinvolgere anche gli altri.

Poi c’è un’altra cosa: non capisco perché noi stranieri non veniamo presi in considerazione per i concerti o per collaborazioni, ma questo è un problema politico. Fanno solo business e mettono chi vogliono loro. Ci sono tanti artisti qui che hanno vissuto tante cose tristi e hanno una voglia di sfogare tutto con la musica. Avrebbero bisogno di un palcoscenico per farsi conoscere e far capire chi sono. Non sto parlando solo di me, pensa agli africani, ce ne sono tanti che suonano ma non li chiama mai nessuno.

 

Stranieiriincampania ringrazia Prageeth per la disponibilità e per la selezione di brani che ci ha inviato per farci ripercorrere il suo percorso artistico. Vi lasciamo con un brano tratto dall’ultimo disco, scritto in italiano ed in Napoletano, “Solo tu”.




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