mercoledì 18 novembre 2020 - Oggiscienza

Il ruolo delle città nello spreco alimentare

La lotta allo spreco di cibo è un elemento cardine delle politiche alimentari urbane. Cosa fanno le città per gestire i rifiuti alimentari?

di Giulia Rocco

Più di un terzo del cibo prodotto viene sprecato. Le stime dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) parlano chiaro: lo spreco di cibo lungo tutta la filiera alimentare è una delle questioni più importanti in tema di impatto economico, ambientale e sociale.

Un ruolo cruciale nella geografia della sicurezza alimentare è affidato alle città. È quello che dice uno studio dal titolo “Urban Food Waste: A Framework to Analyse Policies and Initiatives”, realizzato con il contributo del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC). La ricerca analizza le politiche di gestione e le iniziative, applicabili a qualsiasi Comune, in materia di rifiuti alimentari urbani.

“È importante contestualizzare la questione dello spreco alimentare a livello più ampio – racconta per OggiScienza Marta Antonelli, Direttrice della Ricerca per la Fondazione Barilla e Senior Research Associate presso il CMCC – il fenomeno dello spreco riguarda circa il 20% del cibo prodotto in Europa e rappresenta 227 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno”.

La lotta allo spreco è una componente essenziale della strategia Farm to Fork, lanciata dalla Commissione Europea il 20 maggio 2020. Questa strategia fa parte del del Green Deal Europeo, il programma per la sostenibilità dell’economia della UE, e mira a rendere l’Unione Europea lo standard globale di sostenibilità del cibo.

L’impatto ambientale dello spreco alimentare

Lo spreco di cibo non è solo una questione economica. È un fenomeno che ha forti ricadute anche sul consumo delle risorse naturali coinvolte in tutti i livelli della filiera alimentare. In termini di carbon footprint, gli sprechi alimentari rappresentano tra l’8% e il 10% delle emissioni globali di gas serra. Per quanto riguarda, invece, la water footprint annuale, lo spreco alimentare corrisponde a un volume d’acqua di 250 km cubici, pari a cinque volte il volume del Lago di Garda. 

Il sistema alimentare nel suo ciclo completo, cioè dall’agricoltura, alla vendita, fino alla produzione di rifiuti, contribuisce per il 37% alle emissioni totali di gas serra. Le stime sono quelle del Rapporto Speciale IPCC Cambiamento Climatico e Territorio che attribuiscono allo spreco di cibo il 15% dell’impatto ambientale totale della filiera alimentare in Europa. Qui, ogni anno, vengono prodotti 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, cioè 173 kg pro capite.

Quando si parla di spreco alimentare si fa riferimento alla perdita di cibo, che si verifica dall’azienda agricola fino alla vendita al dettaglio, e allo spreco che si verifica dalla vendita, alla ristorazione fino ad arrivare alla gestione domestica. I motivi sono diversi a seconda del punto in cui ci si trova nella filiera alimentare: cattiva gestione, trasporto o stoccaggio inadeguato, mancanza di capacità della catena del freddo, e una mancanza di capacità di pianificazione e di gestione da parte dei consumatori.

“Quest’anno abbiamo assistito a un aumento della perdita di cibo e dei rifiuti a causa delle restrizioni di movimento e di trasporto dovute alla pandemia – commenta Marta Antonelli – COVID-19 a parte, ogni anno circa il 14% del cibo del mondo va perduto prima ancora di raggiungere il mercato”.

Il ruolo delle città nella sicurezza alimentare

I contesti urbani consumano tra il 70% e l’80% del cibo totale, collocandosi così al primo posto come fonte di rifiuti alimentari post consumo. Nonostante occupino solo il 3% del territorio totale, le città ospitano un numero di persone che supera quello delle aree rurali e hanno un ruolo cruciale nella gestione dello spreco alimentare.

Gli autori dello studio hanno analizzato le più recenti strategie adottate dai contesti urbani per individuare le iniziative e le politiche più interessanti. Poi hanno combinato queste analisi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, mostrando che le città possono inserirsi in un ruolo chiave per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030. Il risultato di questa analisi mette in luce uno scenario complesso: la gestione dei rifiuti alimentari urbani deriva dalla connessione di più elementi come le politiche adottate, le aree di riferimento e i diversi attori coinvolti.

“Sono tanti gli elementi da considerare quando si vuole intraprendere una politica efficace di contrasto allo spreco alimentare in una città”, racconta Daniele Fattibene, Ricercatore per la Fondazione Barilla e autore dello studio insieme a Marta Antonelli. “Prima di tutto bisogna considerare gli attori coinvolti, che possono essere molto numerosi, è ciò rende difficile lanciare delle politiche integrate”. 

Tra i vari attori che possono essere attivati ricordiamo l’amministrazione cittadina, i mercati rionali, le scuole, le aziende di ristorazione collettiva, gli attori della distribuzione piccola, media e grande, gli enti caritatevoli, i cittadini, la società civile, la ristorazione e le aziende municipalizzate dedite alla raccolta dei rifiuti.

“Le politiche o le iniziative che possono essere intraprese per la lotta allo spreco – continua Daniele Fattibene – sono tantissime: dai progetti volti a educare i consumatori a stili di vita più sostenibili, ad attività che mirano a ridistribuire il cibo alle categorie più vulnerabili della popolazione, fino alle iniziative che cercano di potenziare le filiere corte o di dare opportunità di lavoro attraverso attività di recupero e valorizzazione delle eccedenze”.

Cosa fanno le città per ridurre lo spreco alimentare?

La lotta allo spreco è un elemento cardine delle politiche alimentari urbane e le città si stanno muovendo su diversi fronti. 

Il Comune di Milano ha dichiarato di voler dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 e di essere intenzionato a ridurre gli sprechi in tutti i livelli della filiera alimentare. A livello pratico, ha approvato una detrazione fiscale sui rifiuti per coloro che contribuiscono a ridurre gli sprechi alimentari attraverso donazioni e ha distribuito doggy bag a scuola per consentire agli alunni di portare a casa il cibo non consumato.

In Lituania, la città di Riga ha deciso di convertire la vecchia discarica di Getliņi in uno dei siti di conversione dei rifiuti più all’avanguardia in Europa. Qui gli scarti alimentari vengono usati per produrre energia destinata ad alimentare una serra, che consente la produzione di verdura fuori stagione. Oltre all’azione di conversione, questo processo riesce a offrire opportunità di lavoro a molte persone del distretto.

In Belgio, la città di Gent ha lanciato la piattaforma Foodsavers grazie alla quale si è creata una rete capace di distribuire diverse centinaia di tonnellate di cibo ai più bisognosi, riducendo le emissioni di CO2 e offrendo opportunità di lavoro a persone a lungo disoccupate.

Le difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi

La ricerca dal titolo “Urban Food Policy. Cibo e Città: il punto di vista della pubblica amministrazione locale”, realizzata da Ipsos per Fondazione Barilla, ha messo in evidenza virtù e vizi nella lotta allo spreco nelle città italiane. 94 Comuni italiani su 100 adottano politiche alimentari che per il 43% promuovono azioni volte al consumo di prodotti di qualità o a km zero, per il 27% distribuiscono cibo di qualità nelle mense scolastiche e comunali e per il 18% assicurano generi alimentari alle persone più vulnerabili. 

D’altro canto, ci sono ancora importanti miglioramenti da fare per rendere le città efficienti nella gestione dei rifiuti alimentari. “Sicuramente è necessario l’impiego di più risorse, più personale dedicato e più formazione – precisa Marta Antonelli – ma una delle barriere più alte all’adozione di politiche alimentari è la mancanza di dati e di statistiche a livello urbano”.

“Mancano metodologie adeguate per misurare lo spreco a livello locale e per monitorare le performance e i risultati dei programmi lanciati a livello urbano”, aggiunge Daniele Fattibene. “Ma mancano anche delle strutture orizzontali ai vari assessorati, dipartimenti e uffici che si occupano di tematiche legate allo spreco alimentare. Creare delle strutture agili e inter-dipartimentali è fondamentale non solo per evitare duplicazioni, ma anche per assicurare un efficace coordinamento a livello politico e amministrativo”.

Per comprendere la portata del problema e progettare strategie efficaci, diventa quindi essenziale fornire ai funzionari della città gli strumenti per raccogliere i dati sui livelli di spreco alimentare urbano.

“Le amministrazioni devono investire in capitale umano per fornire ai loro uffici gli strumenti adeguati per attivare programmi innovativi di lotta allo spreco”, sostiene Daniele Fattibene. “In questo senso, il mondo della ricerca, la società civile e il settore privato possono aiutare le amministrazioni ad acquisire una maggiore conoscenza del territorio, mappare il bisogno e intervenire con efficaci politiche di educazione e redistribuzione”. 

La tecnologia a sostegno della lotta allo spreco

Negli ultimi anni, le nuove tecnologie digitali hanno avuto un ruolo fondamentale per contrastare il fenomeno dello spreco alimentare, intervenendo sia a livello delle perdite alimentari sia a livello dello spreco.

Too good to go ricorda una qualunque app per ordinare cibo a domicilio, ma a guardar bene propone fasce orarie e prezzi convenienti (dai 2 ai 6 euro) per delle Magic Box, scatole che di magico hanno il potere di eliminare dagli scaffali e dalle cucine gli ingredienti o i cibi invenduti. L’utente può, quindi, acquistare una Magic Box a un prezzo molto conveniente, contribuendo a diminuire gli sprechi alimentari che si sarebbero prodotti nelle attività di ristorazione che hanno aderito all’iniziativa.

Winnow è una piattaforma che lavora nel settore dell’hospitality per ridurre gli sprechi e per rendere le cucine più smart, aiutando gli chef a ridurre i costi, tracciare gli sprechi e risparmiare tempo. Fotografando il cibo sprecato, il software raccoglie i dati e registra il peso. Inoltre il cuoco è chiamato a indicare la ragione dello spreco e a identificare il piatto usando un tablet.

Food Cloud è un software che aiuta le grandi aziende di distribuzione a incrociare domanda e offerta di cibo. Ogni mattina gli operatori sono chiamati a quantificare il cibo in eccesso e a caricare i dati su una piattaforma da cui gli enti caritatevoli possono prenotare il cibo e poi raccoglierlo alla fine della giornata. 

Regusto è una piattaforma che, con la tecnologia blockchain, rende possibile ridistribuire il cibo in eccesso incrociando l’offerta di potenziali donatori (supermercati, mense pubbliche o private, industrie, ristoranti, etc) con la domanda di enti caritatevoli e no profit. La piattaforma è utilizzata anche per realizzare Spesa Sospesa, un progetto nato nei primi mesi della pandemia da COVID-19 per aiutare piccole imprese agro-alimentari e cittadini in difficoltà.

 

Immagine: Pixabay




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