venerdì 15 giugno 2012 - Enrico Emilitri

Il rischio di un’Europa "sovietica"

I recenti avvenimenti che hanno travolta l'economia europea e mondiale hanno dimostrato (semmai ve ne fosse stato bisogno) che la lunga lotta contro le alternative sia di Destra che di Sinistra al Liberalismo Democratico Capitalista Occidentale sono da considerarsi pressoché totalmente fallimentari.

 

Intendiamoci: non che Fascismo, Nazionalsocialismo, Socialismo Democratico Riformista e Marxismo-Leninismo (perlomeno nella versione che abbiamo conosciuta sino all'altro ieri…) si siano dimostrate alternative altrettanto valide ed efficaci, ma ad iniziare dal 1945 pressoché tutte le Democrazie Liberali Capitaliste Occidentali hanno sistematicamente ricominciato a lottare contro quella che, perlomeno in linea di principio, era l'unica vera alternativa realmente vincente, vale a dire quella, per l'appunto, di derivazione marxista, dato che, sin dalla sua apparizione, il Liberalismo Democratico Capitalista si è sempre e comunque dimostrato una dottrina fortemente elitaria, che escludeva, dunque, le masse da ogni e qualunque partecipazione all'amministrazione e gestione del Potere, fosse esso politico, economico od entrambe le cose (se non di più).

Come ho avuto modo di sottolineare in più di un'occasione (ma penso di non essere il solo), il concetto base delle elite dominanti è quello che chi si trova ai livelli più bassi della scala sociale dovrebbe impegnarsi oltre misura per cercare di raggiungere quello stadio di eccellenza (e, di conseguenza, di dominio) di cui le medesime elite sono la manifesta dimostrazione, il che significherebbe doversi letteralmente disumanizzare, rinunciando addirittura ad alimentarsi, vestirsi e compiere tutti quegli atti che sono effettivamente connessi alla stessa natura umana, in modo da accumulare, per quanto possibile, un capitale originario da investire, onde produrre una ricchezza ancora maggiore, che dovrebbe garantire quel benessere economico-materiale in grado di risolvere una volta per tutte pressoché tutti i problemi dell'umanità.

Ciò sarebbe vero se ci fosse il progressivo aumentare dei salari in proporzione al crescere delle necessità proprie e delle rispettive famiglie, ma, siccome vige ancora il principio (se lo si vuol così definire) che più si aumentano i salari e meno risorse restano da investire nella produzione di beni e servizi, e tenendo conto che, al pari di nobiltà e clero, la classe lavoratrice viene considerata come ceto parassita, in quanto non investe nel mercato finanziario speculativo, concorrendo in tal modo alla formazione dei capitali, indispensabili allo sviluppo del mercato, ma solo per l'automantenimento (come dire che il proletariato vive solo per lavorare e mangiare … ), ecco che incrementare stipendi e salari viene considerato ancor peggio che uno spreco.

La situazione si è completamente capovolta quando, all'indomani del ritiro sovietico dall'Afghanistan, è iniziata la crisi che ha portato al Crollo dell'Unione Sovietica e delle Democrazie Socialiste (1989-91), e, quindi alla ridefinizione dei confini dell'Europa (ma non solo), spesso secondo gli schemi della cartografia di oltre un secolo fa (basti pensare che al posto della Jugoslavia sono risorti alcuni degli Stati che ne hanno preceduto la costituzione, in primis Serbia e Montenegro, anche perché sino alle Guerre Balcaniche e alla Prima Guerra Mondiale altri Paesi si trovavano ancora sotto dominio asburgico ed ottomano); in tale circostanza ci si è illusi che queste nuove realtà statuali potessero divenire ulteriori quote di mercato, grazie alle quali, l'Occidente Liberale Capitalista avrebbe potuto risollevare la propria economia: al contrario, il ripetuto ricorso alle cosiddette "operazioni di pace" (in realtà manifeste missioni di guerra) hanno finito coll'assorbire la quasi totalità delle risorse disponibili, esaurendo, di fatto, pressoché tutte le capacità dei medesimi Paesi Occidentali.

Di simile insieme di circostanze sono stati abili ad approfittare alcuni Paesi, sino allora definiti retrogradi, ed ormai considerati emergenti, in primo luogo l'India e la Repubblica Popolare Cinese, quest'ultima tutt'ora considerata (nonostante l'introduzione di taluni elementi tipici dell'economia di mercato) come uno degli ultimi paesi Comunisti della Terra (cosa che, nonostante tutto, è effettivamente), ed ormai vista con timore, rispetto e ammirazione, malgrado, la feroce e violenta repressione di Piazza Tienanmen (1989).

La cosa buffa è che quasi tutti i trattati (da quelli di Roma a quello di Maastricht) con cui si voleva giungere alla progressiva integrazione ed unificazione europea, attraverso un processo economico e finanziario (e questo nella già ricordata convinzione che con l'arricchimento, sia individuale che collettivo, pressoché tutti i problemi sarebbero scomparsi) prima ancora che politico-istituzionale, onde, appunto evitare di giungere ad una progressiva sovietizzazione del panorama europeo e occidentale, hanno conseguito degli effetti esattamente contrari: non soltanto le dottrine che si credevano eliminate, una volta per sempre, stanno progressimamente riaffiorando, ma come dimostra il sempre maggior ricorso al cosiddetto "Fondo Salvastati" (determinato dalla crisi di alcune delle maggiori banche di investimenti europee ed internazionali, in primis la statunitense Lehman Brothers) si va, di fatto, riaffermando il primato della politica sull'economia, il che significa la lenta e progressiva rinascita del tanto temuto e detestato Statalismo, nemico di ogni forma di economia di mercato.

Si aggiunga a ciò l'ormai persistente tentativo di contenere (per non dire evitare) la tanto temuta introduzione dell'imposta patrimoniale, capace, a detta di molti economisti (quasi tutti legati al Grande Capitale) di mandare in rovina le stesse economie dominanti, senza tener conto che proprio l'imposta patrimoniale presenta un'apparente contraddizione di fondo.

Contrariamente a quanto si pensa, infatti, l'imposta patrimoniale non è assolutamente progressiva, ma colpisce, in primo luogo, beni e servizi permanenti o di lungo possesso, il cui valore intrinseco va in molti casi progressivamente diminuendo nel corso del tempo, sicché, a parità di aliquota, l'imposta da pagare diminuisce anziché aumentare.

Facciamo un esempio.

Supponiamo che il sottoscritto sia proprietario di un terreno, la cui rendita annuale ammonti a perlomeno € 3.000; ciò significa che l'imposta da pagare sarà di circa 600-750 € annui. Può, tuttavia capitare che, nonostante le continue cure e miglioramenti apportati nel corso del tempo, la resa diminuisca sino ad es. a 600 €, il che significa che l'importo da pagare sarà complessivamente di 120-150 € annui, rendendo così irrisorio l'importo della tassazione, che diverrebbe più accettabile e lasciando, perciò, maggiori risorse disponibili in tasca al sottoscritto e consentendogli di soddisfare non soltanto le necessità proprie e dei propri familiari, ma anche qualche piacere superfluo.

A parte la spesa pubblica e le imposte sui redditi, la maggiore erosione fiscale avviene più che altro a livello di imposte indirette (spese postali, telefoniche, idrico-energetiche, IVA, accise sui carburanti, ecc.), che, essendo continue e costanti, limano redditi e capitali in misura assai maggiore di quanto non farebbe la patrimoniale stessa; a ciò si aggiungono sovente abitudini radicate e dure a morire (come per esempio l'acquisto dei giornali, il consumo di caffè e/o di bevande alcooliche, ecc. ecc.) che aggravano ancor di più l'erosione dei bilanci individuali e familiari.

A fronte di tutto ciò si può dunque ben capire come, di fronte a questa serie di problemi, personalità maggiori della mia (e di certo non classificabili per le proprie tendenze e/o simpatie di parte, ma spesso, anzi, allineate proprio sulle posizioni dominanti) hanno oramai compreso che, lungi dall'aver definitivamente seppellite alcune tra le più importanti dottrine alternative al Liberalismo Democratico Capitalista Occidentale, proprio quest'ultimo rischia, paradossalmente, di favorirne la rinascita onde risolvere la quasi totalità delle problematiche che stanno progressivamente travolgendo l'Occidente; si tenga tuttavia presente che, semmai si dovesse fare sempre più ricorso a simili soluzioni, a quel punto lo stesso Liberalismo Democratico Capitalista Occidentale potrebbe considerarsi finito, una volta per tutte, anche perché la Storia (sì, proprio quella con la "S" maiuscola) gli ha concesso sin dal 1945 la possibilità di risollevarsi e migliorare sé stesso e il resto del mondo, ma l'ha sprecata combattendo prima il Fascismo e le sue derivazioni (o, perlomeno, quanto ne restava), e poi il Comunismo (specie di derivazione sovietica), per rendersi poi conto di aver costruito assai meno di quel che ci si attendeva, così alla caduta di tutti questi ordinamenti, anche i nostri sono andati sempre più in crisi e vano sarà, nell'immediato futuro, ogni e qualunque tentativo di turare le falle coi cerotti, per impedire che la nave dell'Occidente capitalista affondi una volta per tutte.




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