martedì 18 marzo - Mario Barbato

Il problema italiano della mancata distribuzione della ricchezza nazionale

Non è un modello vincente un sistema economico in cui una percentuale minima di Paperon de Paperoni possiede la metà di tutta la ricchezza nazionale, spendendo una fortuna in beni di lusso, dimore faraoniche e vacanze da sogno, mentre il resto del popolo deve dividersi l’altra metà della pagnotta, faticando a giungera a fine mese. 

Nel Paese dei furbi e dei fessi, sono numerosi i casi in cui una manciata di ricconi che magari hanno accumulato capitali in modo poco trasparente si trovano a spendere milioni di euro in ville sfarzose, abiti firmati, auto costose, orologi d’oro, escort di alto livello. Ciò non vuole essere una critica alla ricchezza e agli imprenditori che creano aziende capaci di dare lavoro a un numero cospicuo di dipendenti. Né vuole essere un modo per demonizzare coloro che si arricchiscono in modo legale. Ma vuole essere un campanello di allarme sullo stato di salute della nostra economia. 

I ricchi ci sono sempre stati, fin dai tempi biblici, ma quello che abbiamo dimenticato è che il benessere dev’essere di tutti, non solo di pochi privilegiati. I ricchi e i lazzari non dovrebbero esistere in una democrazia avanzata. Fu proprio seguendo questa logica che la Prima Repubblica registrò un benessere senza eguali, con l’applicazione di giuste aliquote sui redditi che assicurarono una migliore redistribuzione delle ricchezze. Una linea politica che aveva permesso un aumento dei consumi, della produttività e dei posti di lavoro, mettendo in atto in circuito che accontentava tutti: i ricchi che vedevano i loro profitti aumentare e i lavoratori che potevano permettersi più di quanto era necessario per la sopravvivenza. Un sistema di distribuzione delle ricchezze che aveva consentito all’Italia di attraversare i vari boom economici.

Con la fine della Prima Repubblica e la nascita della Seconda, il sistema economico è crollato sotto i colpi di un capitalismo che ha concentrato le ricchezze nelle mani di pochi eletti, senza che questa ricchezza venisse distribuita mediante politiche di Welfare degne di quella applicata tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Un sistema economico che ha allargato la forbice tra i ricchi e i poveri, aggravato ancora di più da evasioni fiscali e paradisi fiscali che hanno consentito ai ricchi di nascondere i capitali agli occhi dello Stato. E’ difficile capire per quanto tempo potrà reggere questo meccanismo senza rischiare una crisi finanziaria di proporzioni bibliche, perché se i cittadini sono al verde crollano produttività e consumi e, di conseguenza, crollano pure i profitti dei ricchi che vedrebbero i loro patrimoni assottigliarsi.

Ecco perché la speranza è che si torni quanto prima a un sistema che possa moderare la ricchezza a beneficio di tutti, contribuendo alla sua redistribuzione. Un sistema che possa riportare il Paese nelle mani di statisti e imprenditori illuminati che non pensano solo a sé stessi, ma anche alla collettività senza la quale loro stessi non sopravviverebbero. Perché le ingiustizie plutocratiche non sono solo uno schiaffo ai poveri che non hanno altra scelta che osservare l’opulenza dei magnati italiani, ma sono la manifestazione di un sistema malato che sta andando a schiantarsi contro un muro, rischiando una bancarotta che si sta palesando come uno spettro all’orizzonte. 

 




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