Il principe, le mafie e la corruzione
Torniamo a parlare del libro intervista "Il ritorno del principe"
Pur non essendo un libro incentrato solo sulla mafia, le stragi, i morti e gli eroi dimenticati, il libro analizza il rapporto tra il principe (il potere criminale), la corruzione e la criminalità organizzata.
Criminalità organizzata come la Camorra, nata come forma criminale popolare che solo oggi grazie all’impegno di alcuni clan è riuscita a diventare impresa.
La ndrangheta, che prima tra tutte le mafie, si è lanciata nella globalizzazione, facendo delle joint venture con organizzazioni estere per il commercio di droga.
Infine la mafia, Cosa Nostra: nata fin da subito nell’Unità d’Italia (come testimonia il rapporto della commisione Franchetti) come strumento di controllo del territorio.
Ma non dobbiamo dimenticarci delle loggie massoniche coperte, nate come camere di compensazione per far incontrare professionisti, imprenditori, uomini politici e uomini d’onore.
Non è una scoperta di oggi: già Stefano Bontade era iscritto ad una loggia.
Il grembiule l’aveva indossato anche Renatino De Pedis, boss della Magliana.
La massoneria compare anche nelle indagini in Calabria, di Luigi De Magistris, con le intercettazioni di Bisignani.
La triade: imprenditori, politici e mafiosi. Le logge come luoghi privati ed esclusivi per gli incontri.
E il modello mafioso della società: una borghesia mafiosa di affiliati, collusi, di simpatizzanti (Guttadauro, Michele Greco, Salvo Aragona, Nino e Ignazio Salvo). Una borghesia affaristica e imprenditrice che in larga parte fa affari in attività delittuose.
Settori del ceto politico (Cuffaro, Ciancimino, Lima,) che talora utilizzano il metodo mafioso in proprio e talora i fondi pubblici per finanziare la propria clientela .
Un ceto popolare che tira a campare tramite attività illecite e illegali. Che vive sotto un duplice ricatto: quello del ceto politici che condiziona l’elargizione di favori (un posto di lavoro, un sussidio, una pensione di invalidità) per una sottomissione fedele (il voto) e quello di una mafia composta da padrini e padroni, così come avveniva ai tempi dei baroni.
Fino a quando può durare questo modello? Finchè non c’era la globalizzazione (con le nuove mafie dall’estero) e l’Unione Europea che ci controllava i conti potevamo permetterci il lusso di sprecare fondi e tasse per il mezzogiorno (la legge 488), per la corruzione (la linea 3 della MM milanese).
Oggi no: lo stato è costretto, non volendo combattere corruzione (270 miliardi di euro l’anno), le mafie, gli sprechi della Casta politica, ad intaccare le sue riserve interne (come un organismo che si sottopone alla fame).
Via il Welfare: sanità, pensioni. Via i servizi pubblici: acqua, energia, scuola. Tutto privatizzato, tutto donato a società terze (legate alle banche creditrici).
Il pizzo viene scaricato sullo stato mediante l’evasione, oppure mediante un ritocco ai prezzi.
Per questo le cose in Italia costano di più.
Così ci troviamo con un debito pubblico di 1661 milioni di euro, rapporto debito PIL che è cresciuto da 60% (1980) al 118% (1992), la corruzione che ci mangia 5 punti percentuali del PIL.
E una pioggia di finanziamenti dalla UE per il sud, senza controlli: dal 2007 al 2013 100 miliardi di euro.
In questi anni abbiamo assistito ad una spinta verso la democratizzazione della corruzione: dalla corruzione di elite praticata da un ristretto vertice della piramide sociale siamo passati ad una corruzione praticata sempre più a livello di massa.
Una vera e propria predazione delle risorse collettive da parte del ceto politico amministrativo.
I centri decisionali diventano sempre più privatizzati e in mano ad un ristretto gruppo di persone. Le stesse che fissano le liste elettorali, che si spartiscono sedie e poltroni.
Si è iniziato con la partitocrazia (tot poltrone a quel partito..) poi con lo spostamento delle competenze e delle risorse a enti privati e società che gestiscono settori del pubblico con regole del diritto privato.
Oggi si parla di project financing, general contractor, legge obiettivo.
Il risultato è che oggi questi manager e amministratori, perdono la qualifica di pubblici ufficiali e non sono perseguibili per corruzione e concussione.
Depenalizzando la corruzione, questa diventa pratica comune: la cultura della corruzione è dominante.
È non è una cultura che punta al merito, all’efficienza, al lungo periodo.
Andremo verso una democrazia della corruzione?
Infine un’ultima nota: ma noi, come cittadini, cosa sappiamo? Della mafia, dell’estensione della corruzione?
Poco: gli ultimi film sulla mafia si fermano al periodo di Falcone e Borsellino. Se escludiamo il film di Sorrentino “Il divo” che parla di Andreotti.
Nessun film è stato fatto sul periodo in cui Bernardo Provenzano ha governato (solo il libro di Abbate Gomez I complici), sul silenzio della mafia, sui processi a Carnevale, Andreotti, Contrada, Mannino (se si eccettua il libro di Travaglio, Gomez, Barbacetto "Mani sporche").
Le fiction tendono a parlare della cattura del padrino, dopo più di quarant’anni di latitanza, oppure raccontano della gioventù dei viddani, generando così il rischio di creare degli idoli.
Eppure parliamo di killer sanguinari, uomini che hanno gestito il potere con il piombo e il tritolo.
Se non ci fosse Saviano, nemmeno sapremmo dell’esistenza del clan dei casalesi : della sa estensione, dei suoi traffici con droga, rifiuti, del mercato del falso. Della sua globalizzazione. Silenzio su tutto, come sul processo Spartacus.
Della ’ndrangheta ci ricordiamo solo quando uccide: eppure il governo americano l’ha messa tra le organizzazioni più pericolose.
Infine sul sistema della corruzione, delle lobby, dei comitati d’affari che si dividono fondi e territorio per costruire porticcioli (in Liguria), grandi opere (al sud), strade (al nord), se non fossero uscite le intercettazioni sui giornali, nemmeno ne saremmo a conoscenza.
Il principe può governare tranquillo.