giovedì 10 giugno 2010 - Nello Russo

Il precariato in Sicilia: un questione scomoda non solo meridionale

La lotta per la tutela del posto di lavoro deve essere incondizionata, oltre ogni tentativo di soggiogamento dei bisogni degli oltre 30.000 lavoratori precari degli enti locali della Sicilia. Nessuno dimentichi che l’attuale situazione di disagio dei lavoratori precari ed il rischio grave di perdita del posto di lavoro sono la conseguenza di una lunga stagione di politica economica scellerata, fatta di sprechi e di promesse proprio ad opera di quei governanti che oggi, dai loro scranni, pretendono di fare pulizia dei rami secchi, di assestare le crepe dei bilanci, di riorganizzare la burocrazia (quella stessa della quale si sono serviti per anni, per fare scempio in nome del bieco assistenzialismo e dell’edonismo più sfrenato) e di recuperare risorse attraverso i tagli all’occupazione ed il blocco del turn-over nel pubblico impiego.

 

Circolano voci insistenti di una prossima manifestazione a Roma organizzata dai sindaci e dai presidenti delle nove province siciliane, che in quel luogo vorrebbero portare alla ribalta la "nuova questione meridionale" del lavoro precario, per apparire illuminati, quando invece hanno sempre eluso la problematica occupazionale negli enti locali, sciupando il denaro pubblico quasi sempre in attività non necessarie e voluttuarie, trascurando i bisogni reali dei lavoratori precari, lasciati nel limbo dell’arbitrarietà e dei condizionamenti politici.
 
Ora sindaci e presidenti scoprono il rischio del licenziamento del personale con contratto a termine e minacciano di consegnare la fascia tricolore davanti al parlamento nazionale.
 
La sostanza tragicomica di questa rappresentazione politica non deve in alcun modo trascinare i precari in una simile passerella, essi non devono impietosirsi di fronte alle lacrime di coccodrillo, dopo che in questi ultimi venti anni il sistema clientelare ed assistenziale, su cui si è adagiato ad oltranza il sistema politico e, a volte, il sindacalismo della concertazione e della compiacenza, ha preordinatamente compiuto un’operazione di conflittualità sociale e di insicurezza occupazionale, disgregando i "giovani precari" per relegarli nel bisogno e nel vassallaggio.
 
Allora, è giunto il momento, definitivo, in cui è necessario che i lavoratori, i sindacati, le famiglie e tutti coloro che giornalmente investono energie per lo sviluppo concreto e per restituire dignità a questo nostro paese, martoriato dalle improvvide sceneggiate parlamentari dei partiti, uniscano le proprie forze per contrastare l’ulteriore tentativo ordito da parte dei politici di raggirare, ancora, il problema della stabilità occupazionale dei precari, mentre invocano surrettiziamente la deroga al patto di stabilità. Intervento inutile, questo, che non risolverà affatto la loro rischiosissima condizione, giacchè con esso si rimanda solo di qualche anno il problema, mentre invece è necessario che gli enti e le pubbliche amministrazioni locali intervengano strutturalmente nei loro bilanci, riducano quelle spese superflue, abnormi ed improprie, che non recano sviluppo e che non portano vantaggi, se non, forse, alla propaganda di mestiere o all’autocelebrazione politica o, ancora peggio, personale. E’ ineluttabile il fatto di recuperare risorse che comportino investimenti, ed una nuova progettualità che abbia risvolti positivi nelle comunità locali.
 
Dunque, bisogna spingere senza indugi in questa direzione, bisogna richiamare gli amministratori locali alle loro responsabilità ed ai loro doveri, affinché adottino, con gli strumenti a loro disposizione, tutte le soluzioni concrete alla definizione completa dell’emergenza occupazionale.
 
Il lavoro precario in Sicilia non è un fatto puramente politico, per quanto sia tipico dello stravagante apparato regionale, come alcuni scrivono o starnazzano nei media nel tentativo di circoscrivere il problema e farlo piombare in una disgrazia tutta siciliana, ma esso è una questione sociale ed un dramma forte, un evento storico di notevole risonanza, rispetto al quale non è più concesso alla politica di farfugliare e di procrastinare, di ricercare metodi bizzarri e poco efficaci, o ancora di pararsi dietro comportamenti plateali senza specie ed ontologicamente contrari alla necessità.



Lasciare un commento