martedì 23 ottobre 2018 - Giovanni Greto

Il pianismo gioioso di Harold Lopez-Nussa al Cotton Club di Tokyo

È senza dubbio il più bel concerto a cui ho assistito nel mio breve periodo trascorso nella capitale giapponese, quello del trio del pianista cubano Harold Lopez-Nussa. Pur essendo giovanissimi - Harold è del 1983; il fratello, Ruy Adrian, batterista, del 1986; il contrabbassista, Gaston Joya del 1987 - i tre musicisti mostrano una professionalità, una tecnica, una verve improvvisativa ed una grinta, che di solito si riscontra in musicisti con maggiore esperienza.

Solo 68 minuti dura il loro primo set pomeridiano, secondo la consuetudine del locale il sabato, la domenica e nelle festività, ma quanta buona e fresca musica!

“Elegua”, il brano di apertura, scritto dal pianista, inizia con la voce di Lazaro Ross (1925-2005), diffusa tramite un telefono cellulare, il quale recita un testo nella lingua dell’antico popolo Yoruba. Elegua è una delle divinità più rispettate nella religione yoruba. Harold, durante la recitazione, esegue un’introduzione pianistica di compartecipazione, Ruy Adrian crea un alone religioso di mistero con i mallets, per poi partire con un ritmo afro in 6/8, tra i più utilizzati nella musica cubana e latina in generale. Quando Harold inizia il suo solo, Ruy Adrian passa alle spazzole, poi alle bacchette con un 4/4 velocissimo sul piatto Ride di accompagnamento, per poi ritornare all’afro. Il solo di pianoforte è cantabile e, anche se può apparire melodicamente scontato, non ha accenti sdolcinati, come spesso accade.

Il trio interpreta anche brani non originali, riarrangiati da Harold al punto di apparire quasi nuovi. È il caso di “Y la negra bailaba”, una canzone scritta da uno dei più famosi compositori cubani, Ernesto Lecuona (1895-1963). Brano melodico, diventa ritmico con accenni di tango marziale, accelerazioni improvvise, stop. Sembra tutto concluso. E invece no. Si riparte con dolcezza per un brano che può continuare ad libitum.

Eccellente è “Conga total/El Cunbanchero”, ossia la messa insieme di un brano originale con una famosissima canzone popolare. E qui si scopre l’intelligenza dell’artista. Su un inizio trascinante, felicemente percussivo, nella parte B del brano viene inserito il tema di “El Cumbanchero”, in un latin jazz che guarda verso “A night in Tunisia”, ma con un gusto ed una eleganza speciali. Ruy Adrian è davvero bravo. Il suo è il virtuosismo di un musicista esperto, più che quello, spesso eccessivo, di un giovane che voglia far mostra di sé. Centellina la sua bravura in funzione della qualità.

Diventa inizialmente quasi una melodia chopiniana l’interpretazione di uno tra i Bolero più acclamati della musica cubana, “Contigo en la distancia", scritto nel 1946 da Cesar Portillo de la Luz (1922-2013). Poi però il brano si sviluppa in una Ballad ad ampio respiro, punteggiata dal contrabbasso essenziale di Gaston che si ritaglia un assolo struggente che può far commuovere.

Simpatico il duo familiare in “Los munecos” di Ignacio Cervantes(1847-1905), autore di successo di "danzas cubanas". Harold e Ruy Adrian si siedono entrambi al pianoforte. Dapprima Ruy percuote la parte acuta ed Harold la grave. Poi, senza che il brano si interrompa, si scambiano la posizione, dando vita ad una canzoncina fanciullesca piena di brio e con obbligati percussivi sul legno dello strumento.

Si appoggia al 2-3 delle claves, che assieme al 3-2 costituisce la base ritmica essenziale nella creazione percussiva cubana, il pianoforte di Harold in “Mi Son Cerra’o”. Nell’assolo il compositore esibisce il proprio ricco repertorio secondo uno stile che ha in sé la tradizione e il ritmo della canciòn cubana, l’improvvisazione del jazz, il romanticismo di certa musica classica. Al solo del contrabbasso segue una serie di duetti appassionanti tra il maestoso strumento ad arco e la batteria. Breaks di 8 e 4 misure si susseguono terminando con una incalzante figurazione all’unisono per la ripresa del brano.

Il concerto si conclude con “Hialeah”, un originale di Harold. È un afro veloce, con dei rilanci del pianoforte, che stimolano uno scatenamento della batteria, sempre sulla base ritmica 2-3.

Il pubblico, accorso numeroso, applaude e viene accontentato da un arrangiamento latino di “Lupin san sei”, la canzone di un famoso cartone animato giapponese. Da segnalare come Ruy Adrian imiti con il tamburo rullante senza cordiera il suono di un timbale. Il suo set è composto da 3 piatti, un campanaccio, un wood block, due rullanti, uno dei quali è alla destra del timpano, un tom, la grancassa e l’hi-hat. Non è né grande né piccolo, ma è quello che ci vuole per dar modo a questo sorprendente artista di creare una variopinta diversità timbrica che arricchisce brano dopo brano.

Photos courtesy of COTTON CLUB, Japan 
photo by Yuka Yamaji 




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