giovedì 22 luglio 2021 - Domenico Bilotti

Il pentolone della questione giustizia

Le questioni sono note quanto confuse. Note, perché se ne è parlato abbondantemente; confuse, perché non se ne è saputo parlare analiticamente. Tante volte negli ultimi mesi la questione giustizia e carcere si è presa la copertina, ma mai così tanto facendo di tutte le erbe un fascio. 

Si è cominciato con l'operazione Ombre Rosse, nella quale una decina di sostanzialmente dimenticati esponenti della lotta armata di quasi cinquant'anni addietro sono stati estradati dalla Francia all'Italia. E lì si è discusso di donne e uomini ormai quasi ottuagenari, dopo decenni di precarie latitanze e problemi di salute e cittadinanza, che tornavano con l'ombra degli schiavettoni.

Quelle manette però incarceravano anche e soprattutto la memoria, perché una storiografia schietta e intransigente su crimini, misfatti e sigle degli anni di piombo non abbiamo avuto la forza civile di scriverla per intero: né a processo né in libreria. Si è proseguito col caso Battisti, che nei decenni all'estero ha alternato gli status di latitante, detenuto ad altro titolo o rifugiato, soprattutto tra Francia e America Latina. Del profilo politico di Battisti non si riesce a dir bene: militava un piccolo gruppo che all'alba degli anni Ottanta implose come troppi e tuttavia, certo, con la sua scia di sangue. Scelse intenzionalmente un percorso più di fuga individuale che di rielaborazione politica. Portato in Italia, lo stato maggiore del governo di allora non perse occasione di farsi fotografare più tronfio che trionfante all'arrivo del reo. Bontà loro.

Assegnato a un regime duro, in un braccio ostile destinato al terrorismo islamico. Delle tante alternative penitenziarie (anche delle più dure!) questa forse tra le meno logiche, ancor prima che tra le più degradanti. Pochi hanno obiettato nel merito e nel metodo, e ben al di là della vicenda singola (sulla quale invece e diffusamente s'erano pronunciati dissociati, giudici, tomi di istruttoria e di reportage giornalistico). In coerente controtendenza un'onorevole del Partito Democratico, Bruno Bossio, che parte della sinistra antagonista teoricamente più vicina allo sviluppo storico dell'autonomia ha sempre guardato con astiosità sbandierata. E tuttavia quella posizione ci è parsa utile, perché questioncelle ne ha provate a riaprire tante: la detenzione del radicalismo islamico (sulla quale lavorano lodevolmente gli accademici di Bari che si occupano di diritto e religioni), le condizioni di pena nei circuiti del trattamento aggravato, la cooperazione giudiziaria internazionale.

Infine, i pestaggi di Santa Maria Capua Vetere, con decine di detenuti videoripresi nel subire violenza dopo una delle prime rivolte per le restrizioni anti-Covid. Chi studia e lavora ha un vantaggio prospettico rispetto a chi non lo fa intenzionalmente: può mettere in parentesi il chiacchiericcio politico e puntare all'essenza. Quelle vicende avranno un procedimento e fino alla sua conclusione tutti gli agenti coinvolti sono innocenti fino a prova contraria, fino alla famigerata "cosa giudicata". Se ci aspettiamo qualcosa dalle istituzioni, però, è un contegno pratico. Che differenza tra chi ha fornito incondizionato sostegno anche ai presunti picchiatori e chi ha invece responsabilmente visitato le strutture (un Presidente del Consiglio e un ministro di Giustizia) promettendo almeno a parole accertamenti seri! Peraltro, la solidarietà alla forza pubblica o si esercita per intero o non è esercitata davvero.

E quella solidarietà implica di difendere puntualmente chi era innocente e in buona fede e invece stoppare chi ha abusato, se v'è stato (il che almeno appare), infangando tutti e tutto. Compresi i vessilli istituzionali che esigono un alto tasso di affidamento, lealtà, correttezza. La fase è per fortuna di quelle epocali, quasi omologa ai grandi rivolgimenti costituzionali. La riga divisoria è tra chi semina odio e disaffezione e chi invece, nel rispetto della garanzia e della differenza, agisce responsabilmente la sfera pubblica. Oltretutto sarebbe consigliabile promuovere, non dai pubblici poteri, ma dal lato sostanziale degli operatori che si trovano a dover fare diritto, degli stati generali del processo. Anche quello civile, anche quello amministrativo, perché è lì che il contenzioso ha la sua quotidianità più spiccata. Non c'è né allarmismo né emergenza. Al contrario: dobbiamo correggere le peggiori analisi del sangue della nostra era. Il periodo in cui difendiamo i diritti democratici se e solo se ci accorgiamo che ci stanno venendo tolti. 

Foto: Pixabay




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