giovedì 10 settembre 2009 - Damiano Mazzotti

Il metodo antierrore può prevenire anche l’orrore

“Il metodo antierrore” di Hallinan è un agile e informale manuale che può aiutarci a prevenire gli errori e gli orrori della vita quotidiana (Newton Compton, 2009).

Questo libro può quindi aiutarci ad evitare gli incidenti sul lavoro e quelli stradali. Joseph T. Hallinan è un giornalista che ha vinto il premio Pulitzer. È anche stato nominato Nieman Fellow all’Università di Harvard (http://www.nieman.harvard.edu).

Le sue considerazioni iniziano prendendo in esame l’attuale società competitiva dei consumi, che ci sta rapidamente portando ai limiti delle nostre capacità mentali: aumenta la necessità dell’esecuzione “contemporanea di vari compiti, anche se il numero delle cose che riusciamo a fare simultaneamente è molto circoscritto… I limiti della memoria umana a breve termine sono tali che non dovrebbe esserci richiesto di ricordare più di cinque cose non correlate alla volta… Gli stessi dispositivi di cui sono dotate le automobili – ormai numerosissimi – contribuiscono al verificarsi degli incidenti, perché aumentano la distrazione del guidatore” (che magari deve, fuma, mangia, ascolta musica o guarda il display del Gps o del telefonino, o addirittura legge il giornale durante le code mattutine). Infatti la prima causa di incidenti è la disattenzione e non la velocità (e si dovrebbe calcolare anche l’alterazione e l’obnubilamento dei riflessi e della percezione derivante dall’eccessivo consumo di alcolici). Sembra che questa percentuale arrivi al 78 per cento.

In genere gli errori più madornali derivano dall’ignoranza e dai pregiudizi sociali (xenofobia): è diventato celebre l’errore di un gruppo di zoticoni di un paesino del Galles che ha scambiato una pediatra per un pedofilo. Ma gli errori peggiori sono sicuramente quelli in ambito medico perché spesso di tratta di vita o di morte. Una ricerca della Mayo Clinic ha preso in esame e ricontrollato le “precedenti radiografie al torace ritenute “normali” di pazienti che avevano in seguito sviluppato un cancro ai polmoni. L’esito della loro ricerca è stato agghiacciante: fino al 90 per cento dei tumori erano visibili nelle radiografie precedenti” (p. 39). Un altro studio ha scoperto che quando i pazienti vengono informati della probabilità di sopravvivenza, sono inclini a preferire la chirurgia e quando si fa riferimento alla percentuale di mortalità scelgono la radioterapia. Invece un’altra ricerca dimostra che l’84 per cento dei medici sono convinti che i propri colleghi si fanno influenzare dai regali delle aziende farmaceutiche, ma solo il 16 per cento si ritiene influenzato.

Non parliamo poi del “classico” errore dell’intervento chirurgico nella parte sbagliata: ben il 20 per cento dei chirurghi ha ammesso di aver compiuto questo errore almeno una volta nella vita (per fortuna molti iniziano a segnare il braccio o la gamba da operare con un pennarello indelebile). E molti pazienti miracolati potrebbero far parte degli altri numerosi errori diagnostici dei medici. Atul Gawande, un chirurgo della Harvard Medical School, ha scritto un paio di libri salvavita: “Salvo complicazioni. Appunti di un chirurgo americano su una scienza imperfetta” (www.fusiorari.it, 2005) e “Con cura. Diario di un medico deciso a fare meglio” (www.einaudi.it, 2008).

Inoltre sono molto frequenti gli errori di identificazione e nel ricordo dei fatti da parte dei testimoni oculari e alcune ricerche dimostrano “che riconosciamo più facilmente i volti delle persone della nostra razza piuttosto di quelli di persone appartenenti a razze diverse… e sembra che i visi belli siano più facilmente riconoscibili di quelli brutti” (p. 61). Infatti la memoria è sia un processo di ricostruzione che di rievocazione e quindi i giudici dovrebbero dare più importanza alla perizie tecniche rispetto alle testimonianze (gli errori in buona fede sono forse maggiori di quelli volutamente inquinanti). La prima impressione è molto ingannatrice e ciò accade anche agli studenti che preferiscono non cambiare una risposta incerta in un test, anche se molte ricerche dimostrano che la maggior parte delle persone che cambiano le loro risposte a un test migliorano il loro punteggio. Evidentemente “l’inazione suscita meno rammarico dell’azione” e questa considerazione spiega anche l’errore della perversa e pervasiva passività delle persone all’interno dei gruppi umani.

Il premio Nobel Daniel Kahneman ha affermato: “La cosa di gran lunga più sorprendente è quanto di rado la gente cambi idea. In primo luogo, non siamo consapevoli di cambiare idea anche quando lo facciamo; inoltre, dopo aver cambiato idea, la maggior parte di noi ricostruisce le opinioni che aveva in precedenza modellandole sulle nuove convinzioni e si persuade di aver sempre ragionato secondo il nuovo schema” (la vera intelligenza è una merce davvero preziosa). E molte “persone si abituano a tal punto ai loro metodi da non riuscire a immaginare soluzioni nuove e più semplici”, con il risultato che molti errori derivano principalmente dalla cultura del posto in cui lavoriamo o viviamo. Invece bisogna imparare a codificare delle comunicazioni scritte: la cultura orale è più predisposta a trasmettere impressioni personali e alterazioni della realtà, mentre quella scritta in genere veicola delle informazioni più necessarie e precise. La realtà non è fatta di parole e “Le cose non accadono a parole. Accadono in tutti i tipi di senso alla stesso momento… Si presta attenzione a certe cose e non ad altre” (Barbara Tversky). E l’attenzione varia a seconda della propria cultura.

Del resto è “molto difficile dimenticare e ignorare delle informazioni sbagliate, anche quando sappiamo che sono errate o che andrebbero tralasciate” (p. 20). Però per evitare molti errori può essere utile tenere a mente alcune cose: dormire poco peggiora la lucidità mentale (spesso a livelli simili agli stati di ebbrezza), essere sereni e tranquilli aiuta ad organizzare meglio il pensiero e ad essere più flessibili (la fretta e il bene non stanno insieme), ogni singolo fatto va analizzato nell’insieme del suo contesto (bisogna ricercare più informazioni e informatori prima di emettere un giudizio) e bisogna sempre tener presenti le circostanze avverse. È naturalmente “l’eccessiva sicurezza di sé è una delle principali cause dell’errore umano” (Ahi, Ahi, Ahi, ottimismo).

Comunque, “Molto di ciò che sappiamo riguardo al motivo per cui commettiamo errori è il frutto di ricerche svolte nei campi in cui gli sbagli si dimostrano costosi, in termini di denaro o di salute: il settore medico e quello militare, l’aviazione e Wall Street”. Ad esempio sono stati fatti grossissimi progressi nel campo dell’anestesia: fino agli inizi degli anni ’80 c’era un morto ogni 5.000 interventi, mentre ora siamo a un morto ogni circa 250.000 casi. Per risolvere la singola questione dei numerosi morti, si sono dovuti affrontare diversi tipi di problemi, eliminando i vari pregiudizi di casta e alcuni conflitti di interesse. Gli anestesisti hanno richiesto l’uniformazione tecnica dei macchinari, hanno creato un manuale, hanno utilizzato delle linee guida, hanno riformato i processi di comunicazione “livellando l’autorità” - cioè ogni professionista può intervenire nei confronti di qualsiasi altro professionista: medico, infermiere, tecnico - e infine hanno riprogettato i loro ambienti di lavoro (con determinazione e disciplina).

Ma il problema più grosso è questo: “il fatto di raccontarci balle ci rende felici” (Richard Ford).

Nota finale - Un errore è la mancata comprensione del significato o delle implicazioni di qualcosa. Oppure è un’azione o un’affermazione sbagliata derivante da una valutazione erronea o imprecisa, da una conoscenza inadeguata o da negligenza. E del senno di poi son piene le fosse…




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