mercoledì 20 gennaio 2016 - Pompeo Maritati

Il lunedì nero della finanza tra bugie, miopie e incapacità

L’assalto alla diligenza della finanza, oramai in atto sin dai primi giorni del nuovo anno ha toccato l’apice nelle contrattazioni di borsa del 18 gennaio, guarda caso il classico lunedì nero.

Titoli bancari giù, borse in ribasso un po’ ovunque. Il petrolio continuando la sua folle corse verso i dieci dollari al barile, genera instabilità non solo finanziaria. L’Iran entra dopo anni nel contesto del mercato internazionale dell’oro nero, essendogli state revocate le sanzioni. Una scelta di carattere politico posta in essere nel momento più sbagliato. Adesso l’Iran pomperà ulteriore petrolio sui mercati, per cui a breve certamente il barile toccherà i 20 dollari, mentre c’è chi ipotizza una ulteriore caduta intorno ai dieci dollari. Scenario quest’ultimo che vedrebbe la fuoriuscita dal mercato di decine di operatori, generando una maggiore concentrazione del potere nero in poche società e soprattutto una perdita di potere d’acquisto per gli stati produttori di petrolio quantificabili in oltre 2000 miliardi di dollari, che ovviamente si rifletterà sull’andamento negativo delle economie mondiali.

La Cina a sua volta, pur avendo segnato un progresso del suo Pil i oltre il 6% dimostra la sua fragilità e nel contempo alimenta la preoccupazione di tutti quegli stati che con lei fanno affari, ovvero la maggior parte del mondo commerciale. 

L’Europa invece continua imperterrita, probabilmente sta cercando di imitare il Partito Democratico, nella ricerca delle modalità di come farsi male da soli. La BCE continua a stampare carta straccia per oltre 65/70 miliardi di euro al mese che, oltre a tenere basso il valore dell’euro nei confronti del dollaro, partecipano ad ingrossare il PIL di alcuni stati che ancora sono in difficoltà, guarda caso proprio il nostro.

Guardando le cose di casa nostra, la politica italiana è sempre più confusa, caotica, inconcludente. Spara idee ed iniziative giusto per attrarre l’opinione pubblica. Non passa giorno che non ne inventa una, però con il grande difetto che poi si dimentica di quello che aveva promesso il giorno prima. Si vantano riforme e proposte modificative di un sistema che tutti ritengono mal funzionante, solo che poi, probabilmente non avendo le necessarie competenze e professionalità, e non essendo mai d’accordo su nulla, già all’interno della stesse compagine governativa, non si producono mai i necessari decreti attuativi, per cui riforme e innovazioni, laddove veramente utili per il paese, restano solo battute da bar dello sport.

Tutto ciò al mondo della finanza preoccupa, anzi irrita ed indispettisce, anche perché si rende conto di aver sbagliato il cavallo su cui puntare. Ha favorito a spada tratta con iniezioni di liquidità il nostro mercato finanziario, per sostenere Renzi e far credere che l’Italia fosse in ripresa, mascherando e attirando l’attenzione pubblica su argomenti di natura diversa, poco significativi e costruttivi di una reale ripresa economica del paese. 

In poche parole si è creata una cortina fumogena dove i cittadini oramai hanno perso la bussola, non riuscendo a capire dove effettivamente stia andando questa Italia. Le decisioni prese nella varie materie, tra qui quella della finanza allegra, in modo estemporaneo ed approssimato hanno contribuito a generare sfiducia e preoccupazione. I mercati penso che abbiano cominciato a preoccuparsi non tanto per i numeri negativi della nostra economia, che contrariamente agli idilliaci editti governativi, pare siano ancora da coma profondo, quanto dalla presa di coscienza che i soggetti oggi al governo non sappiano più cosa fare e dove andare. 

Lo stesso braccio di ferro con il presidente della Commissione Europea, così come è stato gestito dal nostro premier rivela un approccio poco professionale e diplomatico. Un premier che è già catapultato verso le prossime elezioni amministrative e che pur di cercare il consenso popolare attraverso stupide prese di posizione contro l’UE, sottovaluta le pesanti ripercussioni che queste potrebbero avere, non per lui, ma per l’intero paese. Nel 2011 non dimentichiamolo Berlusconi fu fatto fuori perché non più gradito all’assise internazionale e non per i nostri dati economici, guarda caso di gran lunga migliori di quelli odierni.

Oggi l’attacco al nostro sistema bancario altro non è che delle piccole prove di avvicinamento ad una crisi che se non gestita con la necessaria capacità riflessiva, diplomatica e con la giusta dose di professionalità, rischia di portarci nel baratro, perché oggi effettivamente le condizioni ci sono.

Il debito pubblico attestatosi sui 2200 miliardi, una economia stagna e senza chiari segnali di capacità di reazione, sofferenze bancarie che dovrebbero aver superato abbondantemente i 200 miliardi, nonostante il calo del costo del petrolio e dell’iniezione di liquidità da parte della BCE, in un contesto politico incapace di prendere il timone. Tutto ciò costituiscono i giusti ingredienti per porre in essere una nuova crisi finanziaria drammatica, le cui conseguenze questa volta potrebbero veramente essere disastrose per tutto il popolo italiano. 

 

Foto: Olle Svenson/Flickr




Lasciare un commento