Il giorno della marmotta federatrice
Riuscirà il Partitone arcobaleno a prendere la guida del cartello di progresso oppure il movimento guidato dall'Uomo Qualsiasi si metterà di traverso? Nell'attesa, non trattenete gli sbadigli e invecchiate sereni.
La un po’ tenerezza e molto déjà vu, assistere agli eventi politici italiani. Da un lato, c’è il solito festival annuale di profonde radici missine, che quest’anno festeggia l’orgoglio non tanto d’aaa nazzzione quanto di un gruppo di persone che sono uscite da una condizione di catacombale marginalità e hanno dato la scalata al potere, insediandosi con compiaciuto stupore grazie al disperato libertinaggio di un elettorato in via di estinzione. L’orgoglio fratellitaliano è quello, non altro. I lividi dei pizzicotti per testare se si è svegli lo testimoniano.
LA CONTROPROGRAMMAZIONE DAL PALAZZO D’INVERNO
Dall’altro, la controprogrammazione del Partito democratico, eterno Amleto in cerca d’autore. Che pareva (non è chiaro a chi) rigenerato dalla corbynata del takeover dall’esterno delle truppe di Elly Schlein, l’assalto al Palazzo d’inverno che il lavacro della democrazia partecipata e senza tessere (come narra la vulgata) ha permesso di compiere contro i culi di pietra di un establishment che ha perso la spinta propulsiva del riformismo forte, come narrano i sacri testi.
Tutto molto plastico e spettacolare, anche al netto del fatto che dentro il Palazzo d’Inverno c’è stato chi ha aperto le porte ai sedicenti rivoluzionari, non è chiaro se per redimersi da un’esistenza politica fatta solo di puro potere di gestione della quotidianità oppure per preservare la propria posizione e “guidare da dietro” un’auto riverniciata ma con evidenti buchi di ruggine. Ci resta questo dubbio lievemente naïf.
Come che sia, dal momento della presa del Palazzo d’Inverno, sono cominciati i problemi: qualche iniziativa non particolarmente incisiva, molti proclami espressi in una lingua di difficile comprensione ma che i pazienti e stoici militanti accettano ancora di buon grado. Qualche ipotesi di sussidio qui e là, giusto per “fare squadra” di un’opposizione plurale e dispersa come da tradizione, qualche contraddizione di troppo, molta acqua pestata nel mortaio.
Poi c’è l’elefante nella stanza, quel movimento-blob guidato da un camaleonte che nell’ultimo lustro è stato tesi e antitesi, non l’Uomo Qualunque di gianniniana memoria ma direi l’Uomo Qualsiasi, che a furia di strizzare l’occhio a destra e a manca si ritrova guercio ma paradossalmente dotato di ancor maggiore appeal. Un elefante nella stanza, o meglio l’elefante di Troia che ha accompagnato la campagna per la presa del Palazzo d’Inverno.
Solo che le cose sembravano più semplici, all’epoca. Preso il partitone, si puntava a drenare il movimento e a discioglierlo nel grande abbraccio plurale ma egemone della nobiltà progressista. Il problema è che il movimento e il suo camaleontico leader non si sono fatti sciogliere. A ogni consultazione locale perde voti a bocca di leone, al punto che potrebbe utilizzare come proprio simbolo il dodo. Ma, e qui sta l’aspetto affascinante, le opinioni di voto nazionale lo vedono tetragono subito alle spalle del partitone arcobaleno e non intende smottare, anche se appare sempre più geolocalizzato, come da inconfondibili accenti dei suoi attuali cittadini-portavoce.
ATTENDENDO IL MACROFAGO
Per il partitone arcobaleno e la sua leader pro tempore si pone quindi il solito problema: come allearsi con costoro evitando di essere fagocitati? Chi sarà il macrofago, alla fine? Immancabili, si levano voci di dentro che vedono in pericolo di destituzione la segretaria arcobaleno uscita da una assemblea studentesca permanente. Ci si prepara a contarsi alle elezioni europee. La cui unica funzione, dalle nostri parti, è appunto quella di misurare chi lo ha più largo (il consenso).
Ma quelle sono elezioni proporzionali e sono un “voto di opinione”, come si dice dalle nostre parti, in preparazione di mettere sulla scheda elettorale i nomi di leader superstar e loro nemici interni, trombati o trombabili. I problemi veri sorgeranno quando ci si dovrà organizzare per le elezioni politiche, come sempre. Come allearsi? Chi guida e chi fa il navigatore? Che tipo di sidecar vogliamo? Ah, saperlo.
E quindi, ecco gli eventi e le controprogrammazioni come quella del fine settimana. Federarsi è la parola d’ordine. A cui segue e consegue l’altro nome, immancabile: Ulivo. Sospiro nostalgico e coazione a ripetere. Inclusa l’ospitata del demiurgo dell’Ulivo, il Professore. Che pronuncia la sua lectio magistralis. Perché le sue lo sono sempre e comunque. Tuttə pendono dalle sue labbra, è il copione. “Perché lui è stato l’unico ad aver battuto per ben due volte la destra”, annotano pavlovianamente fedeli cronisti “di area” e non, che su questa giaculatoria magica sono invecchiati.
Seguono un paio di altre formule magiche: “aprirsi alla società civile”, che poi sono sempre i soliti, e ai “movimenti”, consapevoli tuttavia che ce n’è uno là fuori che aspetta di sotterrare il partitone arcobaleno. E anche “diamo spazio ai cattolici”, che ormai non si sa più chi diavolo siano, tra organizzatori di gite romane in pullman e antiche pasionarie che hanno un conto in sospeso con la storia, da quel dì in cui è caduto il muro del comunismo ma si è innalzata la muraglia del capitalismo, pare anche nel paese del socialismo surreale.
Cattolici o muerte, in pratica. Pavlov osserva e prende nota. Il problema resta: nella precedente era geologica, i cui trilobiti restano felicemente con noi, il partitone era talmente grande da poter accomodare i cespugli, con magnanimità. Oggi c’è un concorrente di pari peso o quasi, che attende in riva al fiume. Ed ecco spunta l’altra parola magica: federatore. Cioè colui o colei che mette tutti sotto lo stesso tetto, da posizioni di equivicinanza tra le tante anime della coalizione immaginaria.
ANDATE A FARVI FEDERARE
Ma “federatore” è anche la parolina magica per mettere sotto tutela il segretario pro tempore del Partitone, logorarlo e infine accantonarlo. C’è già un Giuda tra quelli che avevano abbassato il ponte levatoio per fare entrare le gioiose truppe arcobaleno accampate nei gazebo? Il Professore lo teme, lui che è forse il massimo esperto italiano di tradimenti subiti.
E mentre notisti e retroscenisti si esercitano con l’identikit del federatore, a volte rivelando preferenze proprie o dei loro direttori responsabili, colti con le mani nella buca delle lettere, il Professore cerca di mettere un puntello di esegesi: “Ogni momento ha il suo federatore e credo che Elly Schlein lo possa benissimo essere. Il problema è di farsi federare”.
Ecco, appunto. La chiusa chiude, anzi apre alla realtà. Avremo, per adeguamento ai tempi, un ulivo con la xylella? Nell’attesa, tutti ad asciugarsi la lacrimuccia federata davanti alla mostra fotografica su Enrico Berlinguer. Quando c’era lui, cara lei.
Aggiornamento del 18 dicembre – Come facilmente prevedibile, Conte manda a stendere il Pd e l’ideuzza del “federatore”, e lo fa con un trolleggio pregevole, in cui ipotizza per Schlein il ruolo di federatrice, ma delle correnti del Pd. Si conferma, per il rapporto del Partitone col movimento, l’immortale massima: attenti a quel che desiderate, potrebbe avverarsi.