venerdì 21 maggio 2021 - Domenico Bilotti

Il "dossier Cartabia"? Se non esiste, è nelle carte

Marta Cartabia ha portato al suo dicastero un'esperienza giurisdizionale e una competenza scientifico-accademica che oggettivamente avrebbero potuto trovare pochi altri candidati dello stesso livello tecnico e della medesima consistenza ragionativa. Ha presieduto la Corte costituzionale in un momento difficile come pochi: col giudice delle leggi sospinto da inerzie e, soprattutto, imperizie legislative a dover implementare il sindacato di costituzionalità verso una incessante interpretazione di supplenza adeguatatrice.

Non bastasse il quadro di una sempre maggiore latitanza sui diritti civili, politici e sociali, mal bilanciata da picchi di ipertrofia normativa disorganica, la Corte ha oltre a ciò dovuto perimetrare meglio (o provare a perimetrare per la prima volta, davanti alla baraonda burocratica creatasi) un elefantiaco conflitto Stato-Regioni. Anche qui il legislatore ha la sua parte di colpe, tra cui non aver rimesso mano (e una volta per tutte!) al riparto di competenze, accontentandosi di una serie di interventi-sforbiciata a Costituzione invariata.

Tener la barra ferma è un merito, farlo in una Babele della procedura di legittimità è poco meno che un miracolo. Sarà necessaria la stessa impalcatura per divenire oggi, da membri dell'esecutivo, vettori di una riforma di impianto dell'accidentato sistema giustizia. Anzi, ci permettiamo di dire che servirà un passo ancora più caparbio e assertivo, non per fomentare lacerazioni, quanto al contrario per raddrizzare i binari e riparare i legni. Qualcuno già parla di "dossier Cartabia" o di "pacchetto Cartabia"; non lo abbiamo letto. C'è anzi motivata sensazione che vada strutturandosi un capitolato a più voci, una congrua lista di titoli sufficientemente lavorata da poter lievitare nell'aula, nelle commissioni, ancora prima e ben dopo nel contributo degli specialisti tutti della professionalità forense. E questa catena di sommari, che pure si intuisce (o, nel peggiore dei casi, si spera), proviamo ad anticiparla, a sfogliarla, consci che non serva o che comunque non tutto vada etichettato quale vera e propria novella normativa, quanto addirittura come sostanziale mutamento di paradigma.

1-Occorre, come già altri appelli o documenti o analisi simili hanno rimarcato, che la giustizia inizi a pensare la propria autonomia innanzitutto come concentrazione e capacità di isolarsi dal battage mediatico. Le televisioni e gli opinionisti tornino a commentare con padronanza tecnica il lato divulgativo del procedimento; la giurisdizione si pensi libera dal corteggiamento umorale dei mezzi di informazione. Il ministro ha contezza piena di questi equilibri e saprà e dovrà crearne di più avanzati.

2-Bisogna seriamente lavorare sulla decarcerizzazione dell'approccio penalistico. Troppa custodia cautelare in carcere per dinamiche delittuose e profili individuali che mal si prestano alla misura, ridotta ad anticipazione di condanna priva di data di scadenza. E pensare alla pena costituzionale come momento punitivo che non si esaurisce nella carcerazione, anzi che essa vive quale residualità necessaria e contingentatissima.

3-Rivedere i "codici" che codici son stati chiamati per sbrigatività, non per capacità ordinante, metro redazionale o aliquid novi. Il processo amministrativo non soddisfa le legittime istanze di parte ed è in effetti usato, in un circolo vizioso che si autoalimenta, come veleno dilatorio della provvedimentalità pubblica. Meno azioni, filtri più stretti e forse maggiore attenzione ai cd. diritti acquisiti: non sono privilegi; sono situazioni soggettive che meritano anzi estensione plurale e non soffocamento individuale. Anche la "codificazione" antimafia deve esporsi a una sistemazione che eviti l'estrema sovrapposizione di regimi normativi transitori e stratificati. Non per diventare più lassista, bensì per recuperare attitudine di contrasto. Si consideri il tema della prevenzione patrimoniale: sul capitale mafioso non riesce a essere dirompente, spesso paralizzando gli interessi economici sani che agiscono nei contesti di assoggettamento mafioso. Prosciugare le mafie deve far bene alla circolazione delle ricchezze. Bisogna curare il sangue malato, non pompare meno sangue.

4-Abbiamo un disperato bisogno di una maggiore solerzia nell'attuazione degli obblighi internazionali e di quelli euro-unitari. Anche in questo campo gli strumenti normativi istituzionali non sono difettivi. Il cambio di passo deve essere culturale e riguarda il "popolo", tra gli altri soggetti collettivi coinvolti. Ratificare, attuare, secondare, migliorare l'implementazione del diritto internazionale non sono percepiti come priorità né nel dibattito elettorale, né nell'azione dell'aula parlamentare. Poco, nelle condotte dell'esecutivo. Non sempre abbastanza tra gli specialisti. Ripetiamo: ne abbiamo un disperato bisogno. Non siamo "monadi sovraniste". Nel mondo delle pandemie, delle crisi cicliche, dei populismi che battono il pugno perché la torta si restringe, o si è parte di una cooperazione continuativa o si decade lentamente, inesorabilmente e sofferentemente.

5-Buttiamo finalmente occhio anche alla capacità snellente e satisfattiva del processo civile. Non lo cambiamo aggiungendo riti speciali o rimodulando ogni tre per due la disciplina delle misure cautelari. E ancor meno rimpolpando solo tediosamente gli istituti della media conciliazione. Serve piuttosto un canovaccio metodologico comune, che eviti la sede contenziosa in modo nevrotico e capzioso, ma che poi non trasferisca alla ante-dibattimentalità la negazione del merito.

6-Si è intuito. Non esiste rito penale senza ragionamento sulla sua esecuzione. I regimi detentivi speciali nascevano muniti di precipua interinalità: così non è stato. L'ergastolo, soprattutto le modalità esecutive esterne all'applicazione di regimi temperati, deve essere ridotto. Sappiamo l'una e l'altra cosa per ragioni pratiche, non per inattuali o improvvidi slanci umanitari. Servirà forza, servirà farlo. Servirà superarlo. Il ministro, così formata e competente nel solco di un intelligente ed erudito personalismo cristiano che ha sempre tesaurizzato l'apporto propositivo delle più accorte dottrine giuridiche secolari, è tra le poche ad avere l'auctoritas e il know how (l'antico e il moderno) necessari a portare se non a compimento almeno a maturazione ciascuno di questi sei dossier. La sosteniamo. Li sosteniamo.

Foto: Wikimedia




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