giovedì 7 gennaio 2016 - angelo umana

Il discorso alla nazione di Mattarella

Qualcuno, una sparuta minoranza, avrà trovato scontato il discorso del 31/12/2015 del Presidente della Repubblica al Paese, pieno dei soliti auspici, delle migliori intenzioni che non sposteranno di una virgola la vita dei suoi concittadini, un discorso che faceva sorridere per la sua ovvietà, com’è stato per i discorsi alla Nazione di tanti suoi predecessori.

L’atto faceva sorridere già il giorno precedente, quando i giornali radio annunciavano con risalto che Mattarella, a differenza di altre cariche assenti per vacanza, era invece a Roma a preparare il discorso di fine anno: viene da pensare a tutto il lavoro che c’è dietro, la scenografia, i preparativi per la sua stesura, la squadra di italianisti e consiglieri che forse propongono al Presidente di spostare una virgola, un punto e virgola, una parola da cambiare per metterne una più acconcia, la posizione delle pause per dare maggiore enfasi alla dichiarazione di auspici, moniti e buone intenzioni. Un lavoro di “tacco e punta”, la perfezione da distribuire urbi et orbe.

Che dispendio di uomini e mezzi o di intelletto per il nostro pavido Presidente (la sua comunicazione verbale e non verbale esprime pavidità), perché il popolo apprenda cose per niente rivelatrici, un bel compitino o riassunto dei desideri. Quanto glucosio consumato per il lavorìo intellettuale.

Si sorride pure nei giorni successivi, quando giornalisti col turibolo lodano l’altezza del pronunciamento e i politici puntualizzano il valore di determinati sommi concetti, a seconda della fazione: per forza, lo hanno eletto loro, loro lo hanno messo lì (spessissimo la carica di Presidente è un premio alla carriera), una persona che non disturbi e non rompa loro le uova nel paniere. Dobbiamo aspettare un altro Pertini o un altro Ciampi, o almeno un Grillo o un Balasso o un comico irriverente, per sentire qualcosa di più ficcante.




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