lunedì 20 febbraio 2023 - Phastidio

Il debito pandemico arriva al pettine

Boom di insolvenze in Regno Unito, canarino nella miniera europea e nel catalogo di errori di policy. E nel resto d'Europa, soprattutto in Italia? Il rischio di un travaso di debito, da privato a pubblico

Da qualche tempo stiamo seguendo le vicende dell’economia del Regno Unito nelle vesti di malato d’Europa ma anche di canarino nella miniera di guai successivi al covid e al debito creato per evitare catastrofi durante la pandemia. Poi, ovviamente, il Regno Unito ci mette di suo con l’ingrediente assai poco misterioso della Brexit, un preclaro esempio di deglobalizzazione autolesionistica. Ma alcuni elementi di contesto, come la crescita esangue ed errori di policy che portano i mercati a reagire con violenza (vedi la demenziale Trussonomics), servono per intuire quello che potrebbe accadere in qualsiasi altro paese in condizioni ed errori simili.

REGNO UNITO, BOOM DI FALLIMENTI

Oggi esaminiamo il fenomeno dei debiti pandemici e di ciò che sarà di loro, perché questo è un tema che riguarda tutti i paesi europei, e la stretta monetaria rischia di far arrivare al pettine molti nodi. Il dato britannico da commentare è quello delle insolvenze aziendali. Nel 2022 sono state 22.109, il 57% in più rispetto al 2021 e nuovo massimo dal 2009, secondo dati dell’agenzia governativa Insolvency Service.

Il 2022 è notoriamente l’anno in cui gli aiuti pubblici pandemici sono venuti meno. Ma il 2023 è l’anno in cui elevata inflazione e stretta monetaria, oltre al deterioramento congiunturale, sono quelli in cui la falce dei fallimenti si abbatte sul sistema delle imprese. In particolare, i settori più colpiti dalle procedure fallimentari sono stati costruzioni, commercio al dettaglio e hospitality (alberghi, ristorazione, pub). Il 2022 ha visto quadruplicare le istanze di fallimento presentate dai creditori.

Ma anche il numero di insolvenze personali ha toccato lo scorso anno il picco da tre anni. A questo si aggiunge la gelata nei prestiti personali e nelle richieste di mutui, in calo da quattro mesi consecutivi. Questi dati confermano e alimentano la tendenza recessiva del Regno Unito. Che, secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, nel 2023 sarà l’unica economia del G7 a sperimentare una contrazione, pari allo 0,6%.

Ovviamente, le previsioni macro non sono sacre scritture. I modelli servono a evidenziare direzione di marcia e velocità, vengono alimentati con dati a bassa frequenza e a volte non aggiornati. Wait and see, in sostanza. Ma i problemi del Regno Unito restano. Tra i quali, come già evidenziato, spiccano un mercato del lavoro molto stretto, conseguenza del calo di immigrazione post Brexit e dell’aumento di inattivi, una parte rilevante dei quali lo è diventata per motivi di salute.

Gli scioperi del settore pubblico di queste settimane, che ricordano il famigerato “inverno del malcontento” sono conseguenza di una forte perdita di potere d’acquisto dei dipendenti pubblici. Ma le criticità riguardano anche le aziende private, con la difficile reperibilità di personale. Ancora a radice Brexit, che danneggia pesantemente gli esportatori meno organizzati, le aziende di minori dimensioni, gravandole di un pesante red tape.

LA STRETTA CREDITIZIA EUROPEA

Tutto ciò premesso, quanta parte delle problematiche britanniche sono replicate altrove, in particolare tra i paesi dell’Unione europea e dell’Eurozona? Questa settimana è uscito il periodico sondaggio della Banca centrale europea sulle condizioni di domanda e offerta di credito, che mostrano una stretta degli standard di concessione di nuovi prestiti a imprese e famiglie e un contestuale calo di domanda di credito.

Intanto si segnalano paesi, come la Svezia, che negli scorsi anni hanno vissuto un protratto boom immobiliare, in cui i prezzi stanno scendendo da mesi in modo piuttosto vistoso, togliendo al mercato la “schiuma” speculativa o semplicemente l’ubriacatura da tassi reali fortemente negativi e condizioni di credito lasche.

Quali le conseguenze per un paese come l’Italia, caratterizzato da una crescita abitualmente modesta e da una massa rilevante di credito pandemico, incluso quello con garanzia pubblica? Temo sia una domanda retorica. Il rischio è quello di un massiccio “trasbordo” di debito dal settore privato (banche) a quello pubblico, mediante l’attivazione della garanzia, oltre a un più generale aumento degli accantonamenti a rettifica di crediti concessi dalle banche.

La vigilanza Bce sta esercitando pressioni non lievi sulle banche europee, affinché restino prudenti nelle politiche di distribuzione di capitale a mezzo di dividendi e riacquisto di azioni proprie. Il forte miglioramento dei conti bancari rilevato in questo periodo dovrebbe tenere in considerazione il fatale aumento di incidenza delle sofferenze. Alcuni paesi soffriranno più di altri.

Foto di Melinda Gimpel su Unsplash

 




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