venerdì 8 maggio 2015 - TheBookEater

Il circolo dell’eterna gratitudine

Chi ha un lavoro e chi è disoccupato; ecco le due fazioni che si fronteggiano, nel perdurare di questa crisi economica. Ma è giusto che, in nome di un posto di lavoro, si accetti qualsiasi condizione? Lavorare è davvero diventato un privilegio?

“C’è la crisi”; “Eh, con la crisi non si può assumere”; “Sai, di questi tempi anche 250€ di rimborso spese sono soldi”. Luoghi comuni? Banalità da bar? Liberi di avere ciascuno la propria opinione in merito, ma è un fatto incontrovertibile che tante, troppe conversazioni ormai, hanno all’interno almeno una di queste affermazioni. Declinate con cifre diverse, pronunciate con tono sconfortato, sinceramente affranto, rassegnato, ma anche subdolo, da chi questa crisi l’aspettava come la biblica manna dal cielo.

Le conseguenze della crisi, che a seconda di giorni e giornali prima migliora, poi peggiora, poi forse chissà, sono sotto gli occhi di tutti da tempo: costante diminuzione dei posti di lavoro, disoccupazione in aumento – specialmente tra i giovani – imprese costrette a chiudere e famiglie che sostituiscono il lavoro con un’altra e ben più pressante occupazione: far quadrare i conti. Nella migliore delle ipotesi, s’intende, dato che nella peggiore aumenta anche il livello di difficoltà, trattandosi di mettere insieme i pasti. Quella che prima, in Italia, era vista come qualcosa di lontano che toccava un ristretto numero di persone oggi è una realtà: si chiama povertà e i numeri confermano che le piace essere in buona compagnia.

Oltre alle conseguenze visibili e assolutamente innegabili della crisi economico-finanziaria in cui il mondo di trova da anni, sembrano però essercene altre a cui si dedica un’attenzione minore perché appaiono meno evidenti. Si è arrivati a un livello di sfiducia tale, nei confronti del mondo del lavoro, da non avere più la forza di opporsi di fronte a condizioni che, in un Paese che vuole definirsi civile, non esisterebbero. Siamo parte del “Circolo dell’eterna gratitudine”, dove qualsiasi lavoro si accetta, in nome dell’eterno refrain “è un lavoro, oggigiorno è già una gran cosa”. E in nome di questo circolo, in nome di una gratitudine che non si sa esattamente verso chi debba essere indirizzata, in nome di un sentirsi in colpa nei confronti di chi il lavoro non lo ha più o non riesce a trovarlo, si accetta. Dallo stage sottopagato perché formativo, dal tirocinio gratuito perché abilitante alla professione, dal contratto a progetto, a chiamata, alla prestazione occasionale, fino al lavoro nero. E ancora dicendo “Grazie”, perché il lavoro fa di chi ce l’ha, oggi, un privilegiato. Nel “Circolo dell’eterna gratitudine” non è previsto aspirare a un lavoro che dia dignità; si può solo abbassare la testa e ringraziare, per non avere il timore di essere messi alla porta e rimpiazzati immediatamente, da qualcuno che “è in fila ad aspettare un lavoro”. Ma desiderare un lavoro dignitoso, ancor prima che stabile, è legittimo. Avere il coraggio di non accettare contratti capestro, stipendi inesistenti, lavoro nero è una forma di rispetto verso noi stessi. Desiderare un equilibrio tra vita professionale e privata non è un’offesa, non è un oltraggio, non è uno scandalo.

Il lavoro è un diritto, la dignità è un diritto. Concedere un lavoro come un privilegio e pretendere gratitudine per questo, no.

Foto: Flickr (Autore: Stefano Mazzone)




Lasciare un commento