lunedì 14 giugno 2021 - UAAR - A ragion veduta

Il cerimoniale? Prima i vaticani!

Anche negli eventi istituzionali le gerarchie ecclesiastiche ricevono un trattamento privilegiato, ne parla Massimo Maiurana sul n. 3/2021 della rivista Nessun Dogma.
 

Guardando le immagini di una delle varie cerimonie ufficiali che saltuariamente gli organi di stampa ci propongono, e notando che in mezzo alle autorità presenti spicca quasi sempre la figura del vescovo o del cardinale, in molti si saranno detti che si tratta di una delle solite prassi clericali all’italiana, un modo per riconoscere un ruolo pubblico agli esponenti del solito culto egemone. In realtà non si tratta di semplice prassi. Le precedenze nel cerimoniale seguono dei criteri prestabiliti e dettagliati, che eventualmente e limitatamente possono essere corretti o adattati a situazioni specifiche. Tali criteri sono stati aggiornati l’ultima volta appena quindici anni fa, per essere poi lievemente ritoccati due anni dopo.

È chiaro che fino alla fine del Regno d’Italia le norme per le precedenze nelle cerimonie erano molto diverse da quelle attuali, se non altro perché vigevano i titoli nobiliari. Esisteva anche una confessione di Stato, il che dava comunque senso ai posti in prima fila riservati agli ecclesiastici. Con l’avvento della repubblica, a seguito del referendum del ‘46 e della promulgazione della Costituzione repubblicana nel ‘48, si rese necessario quindi rivedere tali norme alla luce del nuovo ordinamento statale. Poiché verosimilmente all’epoca c’era tanto lavoro di revisione post-repubblicano da fare in vari ambiti, nel ‘50 fu deciso di adottare un protocollo concertato tra le presidenze del governo e dei due rami del parlamento che avrebbe dovuto essere provvisorio, diramato poi attraverso una circolare. Quelle norme sopravvissero, pur ritoccate negli anni a seguito dei mutamenti intervenuti (tipicamente per l’introduzione di nuove cariche pubbliche), fino al 2008. Nel 2005 fu infatti istituita un’apposita commissione di esperti con lo scopo di redigere delle norme aggiornate, che furono poi adottate con Dpcm del presidente Berlusconi. Non fu quindi adottata una fonte legislativa ma fu preferita la via della norma regolamentare.

Tuttavia, nonostante la religione cattolica non sia più culto ufficiale, e nonostante la sentenza della Consulta abbia stabilito che l’Italia sarebbe comunque uno Stato laico, i vescovi hanno avuto riservato il loro bel posto. In effetti non è l’unico posto riservato a cariche non pubbliche, ma mentre tutte le altre personalità del genere, dai premi Nobel ai segretari di partito passando per sindacati e associazioni di categoria, vengono citate tra parentesi, i vescovi sono invece elencati senza parentesi come se fossero una carica istituzionale italiana a tutti gli effetti. Con buona pace del dettato costituzionale che prevederebbe una netta separazione degli ordini dello Stato e della Chiesa.

Il Dpcm attualmente in vigore è stato emanato dal presidente Prodi appena due anni dopo quello del suo predecessore, ma l’impianto è sostanzialmente il medesimo. Si è trattato di una piccola revisione per apportare correzioni minori e per introdurre qualche altra carica, per il resto non è cambiato nulla e potremmo certamente prenderlo come esempio di normazione bipartisan. Il testo integra due distinte tabelle riguardanti le cerimonie nazionali e quelle territoriali, a loro volta raggruppate per categorie e corredate di note esplicative. Naturalmente, essendo le cariche pubbliche nazionali più importanti e numerose di quelle locali, va da sé che i vescovi si sono trovati un po’ più favoriti nell’ambito locale. Infatti il vescovo figura nelle nazionali al quinto posto della quarta categoria, e al 42esimo complessivo; mentre nelle territoriali sale all’undicesimo posto della prima categoria, preceduto da sindaco, prefetto e presidenti di Provincia e di Corte d’appello. Non male come piazzamento, specialmente in considerazione del fatto che non si tratta di una carica pubblica e che rappresenta solo una parte dei cittadini italiani.

Ma le note ci regalano delle chicche ancora più grosse. Intanto specificando che la posizione del vescovo nel cerimoniale «può essere elevata in conformità di consolidate tradizioni locali». In sostanza, se nel paese si è sempre usato che il vescovo sta davanti a tutti, allora è lecito che si continui a riconoscergli questo diritto. Non solo: se il vescovo in questione è anche un cardinale, la sua posizione schizza alla vetta della prima categoria, sia per le cerimonie nazionali sia per quelle territoriali, passando quindi avanti rispetto ai presidenti di Camera e Senato che dovrebbero in teoria essere secondi solo al presidente della Repubblica. L’unica cosa che il cardinale non può in nessun caso fare è presiedere il cerimoniale. Che verrebbe da dire: «ci mancherebbe altro!»; se non fosse che, qualora potesse farlo, ci sarebbe solo da stupirsi che qualcuno se ne stupisca. L’ultima chicca è la possibile equiparazione al vescovo «in eventi particolari» di altri ministri di culto; un modo per dare una parvenza di pluralismo alla materia senza peraltro tenere minimamente conto (tanto per cambiare) dell’ampia fetta di persone che non si riconoscono in nessuna religione e che perciò non potrebbero mai avere una rappresentanza, nemmeno se la particolarità dell’evento potrebbe richiederlo o giustificarlo.

La storia ci insegna comunque che laddove c’è la possibilità di accrescere il peso della presenza clericale nelle cerimonie – di diminuirlo neanche a pensarci – ciò viene fatto senza indugi. Emblematico il caso delle commemorazioni del XX settembre a Porta Pia nel 2010, quando il cardinale Bertone rubò letteralmente la scena perfino al presidente Napolitano e la delegazione Uaar, sul posto con le sole bandiere come ogni anno, è stata bloccata dagli agenti della Digos neanche fosse un’organizzazione eversiva con intenti bellicosi o destabilizzanti. Nella cornice di un evento, peraltro, che ricorda la fine del potere temporale dei papi e l’inizio della nazione italiana per come la intendiamo oggi, nella sua interezza territoriale. Un simbolo di laicità, quindi. Evidentemente non “sana” a sufficienza per le gerarchie istituzionali repubblicane, che troppo spesso coincidono con quelle ecclesiastiche o a esse si appiattiscono. Anche nel cerimoniale.

Massimo Maiurana

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