giovedì 16 febbraio 2017 - Phastidio

Il caso dell’assessore Cocco e legge Severino: se la trasparenza è solo burocrazia

Egregio Titolare,

La trasparenza e la lotta alla corruzione sono una cosa talmente seria ed importante, che proprio sarebbe il caso di uscire dall’equivoco della legge Severino (190/2012) ed eliminare la burocratizzazione che ne è derivata. 

di Luigi Oliveri

Si prenda il caso dell’assessore del comune di Milano, Roberta Cocco, che non ha la minima intenzione di pubblicare la dichiarazione dei redditi relativa al 2015. Come si dice in giuridichese, “ai sensi e per gli effetti” dell’articolo 47 del “decreto trasparenza” (d.lgs 33/2013) questa omissione espone l’interessata all’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000, con tanto di obbligo di pubblicare il relativo provvedimento sul sito internet del Comune.

Ora, caro Titolare, per giungere all’eventuale applicazione della sanzione, questi sono i passaggi:

  1. Il responsabile della prevenzione della corruzione deve invitare formalmente l’assessore a presentare la dichiarazione dei redditi, allo scopo di pubblicarla;
  2. Il medesimo responsabile, deve accertare la mancata trasmissione, dovuta a un diniego espresso o a comportamenti concludenti del destinatario;
  3. Il responsabile deve segnalare il mancato adempimento all’Organismo Indipendente di Valutazione o Nucleo di Valutazione e all’Anac;
  4. L’Anac, deve aprire un’istruttoria, nel rispetto del regolamento che disciplina il procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative, che nel rispetto del contraddittorio, deve ripercorrere i passaggi di cui sopra e consentire all’interessato di esporre le sue difese e, comunque, di integrare gli atti;
  5. L’Anac dovrà emettere la sanzione amministrativa;
  6. L’assessore dovrà pagare;
  7. Laddove l’assessore non paghi, occorrerà attivare la procedura per emettere un’ordinanza ingiunzione e l’eventuale procedura coattiva.

Prevengo la Sua domanda, Titolare: ma, tutto questo iter burocratico quanto costa? O, meglio: vale la pena porre in essere questo carico amministrativo per una sanzione che non è nemmeno detto arrivi nel massimo ai 10.000 euro? Purtroppo il concetto, corretto e necessario, di trasparenza, si è in parte deteriorato, finendo per coincidere in alluvione burocratica, da un lato e voyeurismo, dall’altro.

L’assessore Cocco, in fondo, motiva con argomentazioni non peregrine il suo attuale rifiuto a pubblicare la dichiarazione dei redditi: nel 2015 ella lavorava ancora per la Microsoft e non aveva alcun incarico pubblico, né politico, né di altra natura.

La legge, però, è legge. Dunque, si è dovuto innescare il procedimento sintetizzato sopra. Per l’utilità di chi?

La vicenda mette a nudo uno dei tanti “buchi” della normativa anticorruzione. La Cocco, in quanto manager privato di altissimo rilievo, potrebbe avere un reddito tale per cui la sanzione anche di 10.000 euro per mancata pubblicazione della dichiarazione dei redditi potrebbe non arrecarle particolare fastidio. La norma, dunque, si rivela particolarmente vessatoria nei riguardi di chi lavora nella PA o, comunque, ricava il proprio reddito dal lavoro o dagli incarichi pubblici della PA, ma nulla di più se non un fastidio per chi, per sua fortuna, goda di redditi di altra provenienza e ben più elevati.

È assolutamente corretto tenere sotto esame l’andamento dei redditi di chi ha incarichi di rilievo, ci mancherebbe. Bisognerebbe, però, essere un minimo realisti: se un dirigente pubblico o un amministratore politico un certo anno guadagnava 1.000 e l’anno dopo guadagni 3.000 perché ha ricevuto tangenti, a meno che non sia completamente privo di senno e sprovveduto, quelle tangenti non le farebbe passare per i propri conti correnti e tanto meno le inserirebbe nella dichiarazione dei redditi. Siamo sicuri, allora, che pubblicare la dichiarazione dei redditi sia un deterrente efficace contro le tangenti? O non si rivela, appunto, semplicemente un carico burocratico e voyeuristico, che consente a chi può permetterselo di violare l’obbligo, mentre costringe molti a mettere in piazza parte non insignificante della propria vita?

Visto che un controllo su chi lavora ed opera nella PA, allo scopo di evitare istruttorie e procedure defatiganti come quelle innescate dal “gran rifiuto” della Cocco, non sarebbe meglio imporre che amministratori e dirigenti pubblici ogni anno depositino direttamente alla Guardia di Finanza, o ai Carabinieri, o all’Anac o anche alla Procura della Repubblica, le dichiarazioni dei redditi e lo stato del patrimonio posseduto, in modo che tutte o una di queste Autorità, se lo ritiene, avvii indagini anche le più pervasive possibili sul tema, ma senza mettere in piazza informazioni che potrebbero anche suscitare l’interesse di malintenzionati?

Come dice, Titolare? Sarebbe troppo semplice e troppo più funzionale ad una lotta alla corruzione concreta ed efficace?




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