lunedì 31 ottobre 2022 - Phastidio

Il cancelliere premier e la premier cancellata

Quaranta giorni (meno, in realtà) sono bastati a Liz Truss per suicidarsi politicamente. L'ultima pietra miliare dal paese che pare voler vivere all'italiana, tra un autoinganno e l'altro

La premiership più sgangherata della storia britannica contemporanea (e non solo) si è ufficialmente infranta contro gli scogli della realtà. Questa mattina, il nuovo Cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt, definito in queste ore un conservatore di centro-sinistra (ci sono anche quelli), giunto all’11 di Downing Street per mettere sotto tutela adulta la premier, che nel frattempo si era liberata del suo antico sodale Kwasi Kwarteng, ha smantellato ampia parte del mini-budget di Truss e Kwarteng. Ed è assai notevole il fatto che il sito del Tesoro di Sua Maestà, nel primo pomeriggio di oggi, abbia come ultimo post in evidenza in home page la sciagurata manovra dello sciagurato Kwarteng. Il “Growth Plan”, parce sepulto.

CONTROMANO SUI MERCATI

La storia è nota: una manovra di rara irresponsabilità fiscale, finita subito sotto il fuoco dei mercati, con violenti rialzi dei rendimenti e cedimento della sterlina verso la parità col dollaro. Non contenti di aver messo in campo un sostegno a imprese e famiglie sui costi dell’energia che rappresentava una gigantesca posizione corta sui medesimi (se crescono, il bilancio pubblico UK è screwed, come direbbero da quelle parti), Truss e Kwarteng si erano subito lanciati in una operazione di taglio d’imposte del tipo trickle-down, quello dove vai a beneficiare i più ricchi e attendi fiducioso che anche i meno abbienti ne godano i frutti.

La violenta reazione dei mercati ha pure causato, in omaggio, una devastante crisi dei fondi pensione a benefici definiti, che si sono scoperti ad ampia leva, col regolatore che evidentemente dormiva o aveva fatto girare degli stress test con esiti rassicuranti. Nel mezzo, Bank of England a cercare di non fare troppi danni, soprattutto a se stessa, e spingere l’esecutivo alla retromarcia, nello sconcerto di istituzioni internazionali e governi più o meno amici.

C’è poi l’aspetto politico della vicenda. Truss ha indotto alle dimissioni Kwarteng nel tentativo di salvare se stessa, con un atto di codardia politica che definire spregevole non mi pare iperbolico. Vedere demolito il suo provvedimento-firma, prima dai mercati e poi da un cancelliere che è un corpo estraneo alla linea con cui Truss ha stravinto presso gli iscritti al partito conservatore, dovrebbe indurla a un gesto di dignità personale e a farsi da parte.

Ma si sa, l’ambizione acceca. Alle spalle, Truss ha un partito balcanizzato e intento a guerre per bande che al confronto il nostro Pd è un monolite armonioso. Che fare, quindi? Pare un gioco a somma fortemente negativa. I colleghi di partito di Truss potrebbero modificare lo statuto, che vieta di sfiduciare un leader entro i primi 12 mesi, ma sarebbe una coazione a ripetere da cui il partito potrebbe non riprendersi. Con i sondaggi sotto al 20% e il sistema elettorale britannico, la sostanziale scomparsa è certa, al netto di qualche ridotta di fedelissimi. Ognuno ha le proprie ZTL, dopo tutto.

LA FIABA TOSSICA POPULISTA

Ma come si può pensare di resistere sino al 2024 con una premier annichilita (anche se lei magari dissente da questo giudizio, avendo un rapporto molto problematico con la realtà) e il vero dominus del governo alla porta affianco, quella dell’11 di Downing Street?

Come vi segnalo ormai da anni (credo dal 2016, scoprite voi perché proprio da questa data), questa è la storia di un partito e di un paese irretiti da una fiaba populista, che ha finito col separarli tragicamente dalla realtà. La fiaba della Brexit, che è anche una fiaba di “ribellione” alle tecnostrutture, prima esterne (quella di Bruxelles) e poi interne. Non è un caso che Truss e Kwarteng siano arrivati nella stanza dei bottoni al grido “basta con i burocrati, soprattutto quelli del Tesoro”.

Rimosso il Permanent Secretary del Tesoro, uno stimato veterano, elaborato in fretta e furia un piano di sostegni all’energia a pie’ di lista, ecco la levata d’ingegno del taglio di tasse in modalità “supply side“, o meglio trickle down. Per essere coerenti sino in fondo, il mini-budget dei maxi-guai è nato senza le valutazioni dell’Office for Budget Responsibility (OBR), il watchdog indipendente che esamina i programmi pubblici. Basta con i contafagioli e col deep state, era il programma. Ma, si sa, il deepest state resta la realtà.

Dopo l’inferno scatenatosi sui mercati, Truss e Kwarteng iniziano a dialogare con l’OBR e, colpo di scena finale, decidono di nominare come nuovo segretario permanente del Tesoro un signore che al Tesoro c’è stato per vent’anni. Una serie di spettacolari retromarce, pressoché imposte dai mercati. I quali hanno mandato a dire a Truss che questi tagli d’imposta e questa voragine di bilancio non s’avevano da fare.

Arriva Jeremy Hunt, già ministro degli Esteri con Theresa May ma soprattutto più volte ministro con David Cameron. Hunt si rimangia quasi tutto il mini-budget, ad eccezione della cancellazione dell’aumento della contribuzione per imprese e lavoratori, che avrebbe aumentato il cuneo fiscale e ridotto il netto in busta durante la più grave crisi di costo della vita da oltre quarant’anni.

Simbolicamente significativa la cancellazione dell’esenzione dalla VAT (l’Iva britannica) per i turisti stranieri nel paese. Era una specie di cammeo della Brexit, quello del paese che ambisce a divenire il porto franco del mondo dopo essere stato per decenni la lavanderia di riciclatori internazionali di capitali, oligarchi russi e satrapi asiatici. Segno dei tempi.

Anche dal lato delle spese, il sostegno ai costi dell’energia viene lasciato nella formulazione originaria ma solo per sei mesi, dopo i quali diverrà mirato e con limitazioni, auspicabilmente relative al risparmio energetico. Tetto sì ma alla spesa pubblica.

Forse ai mercati basterà, vedremo se basterà anche alla popolazione e agli elettori. Resta il punto dirimente: l’attuale livello di pressione fiscale del Regno Unito, che è circa otto punti percentuali meno di quella italiana rispetto al Pil, pare non bastare più per evitare che il paese scivoli verso una grave crisi sociale.

UN DESTINO (ITALIANO) DI TASSA E SPENDI?

Ecco quindi il bivio: alzare la spesa e la pressione fiscale, cioè diventare dei social-Tory, e sperare di cavarsela, oppure fingere che tutto possa proseguire come se una pandemia e una guerra non fossero mai accadute. E, soprattutto, come se la Brexit non fosse quello che è: un traumatico evento di deglobalizzazione che si somma alla tendenza generale in atto.

Il rischio, nell’aumento di spesa pubblica e tassazione, è l’esito italiano: spesa inefficiente, inseguita da imposte crescenti. L’evento più simbolicamente pregnante di questa era di colluttazioni furibonde con la realtà è proprio la presa di coscienza della deriva “italiana” del Regno Unito. Una deriva frutto di un autoinganno e di una narrazione tossica, come quelle a cui noi italiani siamo abituati.

Ed è certamente notevole che la denuncia di tale rischio di deriva italiana provenga dal giornale che più di ogni altro ha spinto la narrazione tossica della Brexit. What a time to be alive, direbbe qualcuno. Nel frattempo, di italiano c’è anche lo sconcerto e la rabbia di chi fa impresa e si chiede come diavolo sia possibile pianificare qualcosa, con un governo che sembra un flipper impazzito. Buona domanda. Da queste sacrosante obiezioni alle rivendicazioni ultracorporative, il passo è breve.

UN PARTITO DEMOLITO DALLA REALTÀ

La fisiologia democratica richiede l’alternanza di potere, ora più che mai. Un Labour mondato dalle suggestioni vetero-socialiste di Jeremy Corbyn, e pilotato verso approdi di centrosinistra con venature di blairismo da Keir Starmer sarà messo alla prova. Ma anche da quelle parti il veleno della Brexit ha prodotto intossicazioni, sia pure -forse- meno devastanti che nei Tory.

Il Regno Unito, già alle prese con una successione monarchica che non appare per nulla semplice né indolore, ora ha un ministro delle Finanze (il cancelliere) che di fatto è il premier, e con una premier che non è chiaro cosa possa fare o dire nelle prossime settimane, finita sotto una disastrosa tutela che il senso comune (il mio, almeno) non riesce ad accettare. Nel senso che la sua permanenza nel ruolo appare un’assurdità.

Un’implosione che resterà nella storia, e che suggella anni di autoinganni. Un governo, durato di fatto una quarantina di giorni, che sembra il nostro Conte 1, quello della lotta alla povertà e della sfida ai mercati prima che a Bruxelles, durata solo poche settimane. E poi trascinatosi nella condizione di zombie.

Dei Tory che ricordano il Pd, vi ho già detto. Forse la differenza vera, in quest’ultimo caso, risiede nel fatto che, a differenza dei Dem italiani, i Tory negli ultimi dodici anni le elezioni le hanno vinte alle urne. Ma questa semmai è la prova provata che anche un sistema elettorale fortemente bipolarizzante nulla può contro la realtà. Appunto.

 




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