martedì 3 ottobre 2023 - UAAR - A ragion veduta

Il Vaticano non è in bolletta

Il Vaticano non paga l’elettricità, l’acqua e gode pure di uno sconto sul gas. Tutto a spese dei contribuenti Italiani, come spiega il giornalista Federico Tulli sul numero 4/23 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaarabbonati oppure acquistala in formato digitale.

Prima di comparire sulle prime pagine dei giornali a causa delle missioni in Ucraina per portare aiuti alla popolazione piegata dalla guerra, il cardinale elemosiniere del Vaticano, Konrad Krajewski, era divenuto improvvisamente noto il 12 maggio del 2019. Quel giorno si rese protagonista di un clamoroso gesto che divise in due l’opinione pubblica e non solo. Dopo essersi introdotto in un palazzo occupato a Roma ne riattivò la corrente elettrica che tre giorni prima era stata staccata dal fornitore di energia lasciando senza luce e senza nemmeno la possibilità di utilizzare i frigoriferi circa 420 persone, tra cui almeno 100 bambini.

Se ne parlò per giorni e immancabile fu anche la polemica politica. Da un lato c’era chi definiva quella di Krajewski una straordinaria azione di disobbedienza civile e dall’altro chi giudicava il gesto illegale oltre che «erroneo» perché se replicato «avrebbe potuto generare il caos» (la ministra Buongiorno). In mezzo ai rimpalli politici e morali tra destra e sinistra intervenne anche il cardinale Parolin: «Il senso di questo gesto è attirare l’attenzione di tutti su un problema reale».

Fatto sta che improvvisamente il 9 maggio la società di fornitura di energia per conto di Acea, Hera, aveva deciso di staccare la corrente per morosità a fronte di un debito accumulato dal 2013 – anno di inizio dell’occupazione dell’ex sede Inpdap a scopo abitativo – di oltre 300 mila euro. Messa così la cifra può impressionare ma si tratta in fondo di una bolletta di circa 100 euro l’anno a persona, che però ovviamente per dei cittadini indigenti può fare la differenza tra mangiare e non mangiare per diversi giorni. «Conto che l’elemosiniere del papa, intervenuto per riattaccare la corrente in un palazzo occupato di Roma, paghi anche i 300 mila euro di bollette arretrate, se qualcuno è in grado di pagare le bollette degli italiani in difficoltà siamo felici…», tuonò l’allora ministro dell’interno, Matteo Salvini.

Per un attimo vien quasi voglia di schierarsi dalla parte del leader della Lega, considerando l’immensa disponibilità finanziaria ed economica del Vaticano. Ma dura davvero solo un attimo. Già perché, ci chiediamo, se davvero preoccupa il peso della bolletta (luce o gas che sia) nelle tasche degli italiani non sarebbe più semplice e immediato per chi governa iniziare con l’eliminare privilegi ed esenzioni di cui godono alcuni soggetti, tra cui, guarda un po’ il caso, c’è anche il Vaticano? Facendo un po’ di spoiler su quello che stiamo per raccontare la risposta è no.

E nemmeno lo spropositato picco dei costi energetici provocato dallo scoppio della guerra in Ucraina ha spinto le nostre istituzioni a cambiare atteggiamento nei confronti della Santa Sede. Ma andiamo per ordine e iniziamo dal “regalo” milionario di elettricità (appunto) di cui gode il Vaticano a spese dei contribuenti italiani.

Il caso è arrivato ciclicamente sui giornali e altrettanto ciclicamente è stato sottratto agli occhi dell’opinione pubblica. Secondo alcuni, la garanzia di fornitura di energia elettrica al Vaticano sarebbe contemplata dall’articolo 6 dei Patti lateranensi del 1929. Di sicuro c’è che fino al 2015, ai sensi di quanto previsto dal decreto Bersani numero 79 del 1999, questa fornitura era nella misura massima di 50 megawatt all’anno. Dopo di che, durante il governo Renzi, la Santa Sede ha accettato una riduzione del 10%. In base agli accordi con lo Stato italiano, ogni anno la fornitura viene garantita per decreto riconoscendo al Vaticano una quota della capacità di importazione di energia elettrica dalla Francia.

Si tratta, come scrisse nel 2014 il Corriere della sera, di energia «preziosa» e aggiudicata con delle aste perché costa molto meno di quella prodotta in Italia. Ai valori di asta dell’epoca (circa 16 euro a megawattora) il lotto valeva circa 7-8 milioni di euro. Per farsi un’idea, nel 2012 una famiglia normale pagava 19,5 euro a megawattora. Alla somma di 7-8 milioni (poi aumentati negli anni con il costo dell’energia) va aggiunta – come ricorda l’inchiesta Uaar I costi della Chiesa – l’esenzione totale per Iva e accise prevista dall’articolo 71 del decreto del presidente della Repubblica numero 633/1972 (e successive modifiche e integrazioni).

Altri milioni risparmiati. In particolare nel modulo di Eni Plenitude, di cui il Vaticano è cliente, avente per oggetto “Agevolazione imposte Stato Città del Vaticano” leggiamo che le suddette esenzioni «si applicano alle cessioni eseguite mediante trasporto o consegna dei beni nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, comprese le aree in cui hanno sede le istituzioni e gli uffici richiamati nella convenzione doganale italo-vaticana del 30 giugno 1930 (vedi anche protocollo di attuazione degli articoli 4 e 8 della medesima convenzione, sottoscritto da governatorato dello Stato della Città del Vaticano e governo italiano in data 15/02/2007), e ai servizi connessi…».

Insomma quasi un secolo di privilegi ed esenzioni di cui si son fatti carico gli italiani che peraltro, solo nell’ultimo decennio, hanno visto quasi triplicare la bolletta della luce: da una spesa media di 524 euro a famiglia del 2012 ai 1322 euro a famiglia del 2022 (fonte Codacons, 2023). Non meglio è andato alla bolletta del gas che in dieci anni è passata da 1.277 euro a nucleo a 1.866 euro.

A dare una leggera picconata ai vantaggi di cui gode lo Stato d’oltretevere in tema di bolletta elettrica è intervenuta nel 2019 l’autorità garante Arera stabilendo con una delibera che entro il 2021 Acea avrebbe dovuto far pagare al privilegiato cliente gli oneri di dispacciamento, cioè lo strumento che serve a equilibrare il sistema energetico mettendolo al riparo da rimbalzi generati ad esempio da un momentaneo eccesso di domanda. Stando al documento di Arera è stato imposto ad Acea Energia «di porre in essere tempestivamente (dal 2021, ndr) tutte le azioni necessarie per applicare la regolazione vigente».

E veniamo all’acqua. Il famigerato articolo 6 dei Patti lateranensi stabilisce in maniera esplicita che «l’Italia provvederà a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque in proprietà». Non esiste alcuna specificazione della quantità ritenuta “adeguata”. Nel 2012 l’Acea – che oltre all’energia elettrica fornisce l’acqua – rese noto che il consumo idrico vaticano si attestava intorno a 5 milioni di metri cubi l’anno.

Un dato ben poco “adeguato” se lo calcoliamo sui soli circa 900 cittadini residenti poiché sarebbe pari a circa mille volte il consumo medio pro capite di un italiano, ma che resta tale, cioè in-adeguato, anche se si considera il “peso” dei turisti che attingono alla rete idrica del piccolo Stato situato nel cuore di Roma. Quel che è certo è che dal 1929 il Vaticano non paga l’acqua (oltre che la “gestione” della rete fognaria).

Nel 1999 ci fu un tentativo da parte di Acea che da municipalizzata era appena stata privatizzata e quotata in borsa, di addebitare alla Santa Sede una parte del debito accumulato in 70 anni, pari a circa 25 milioni. Ma il tentativo fallì e nel 2004 il governo Berlusconi intervenne sanando il “sacro contenzioso” con l’Acea a spese nostre versando i 25 milioni e come se non bastasse, stabilì in Finanziaria che dal 2005 ogni anno fossero stanziati 4 milioni di euro per pagare l’acqua del Vaticano. Il tutto mentre i cittadini italiani si son visti negli anni aumentare in media del 57% il costo della fornitura idrica (fonte Codacons, 2023).

E il gas? Mentre per acqua e luce nel corso dell’inchiesta siamo riusciti a reperire alcune cifre, quello relativo alla fornitura e al consumo di gas metano da parte del Vaticano sembra essere un dato impenetrabile. Sappiamo che anche per il gas la Santa Sede gode di uno sconto, questa volta non determinato dai patti mussoliniani del 1929, rinnovati nel 1984 da Bettino Craxi. Si tratta dell’esenzione totale dell’accisa con conseguente riduzione del prezzo del gas (come si evince dal documento di Eni Plenitude citato in precedenza) stabilita nel 1995 dal governo Dini con il decreto legislativo numero 504 del 26 ottobre, attraverso un comma quasi invisibile che esenta il Vaticano dal pagamento dell’imposta.

Sappiamo inoltre che nel 2017 il deputato Maurizio Bianconi sottopose la questione al presidente del consiglio e al ministro dell’economia e delle finanze con una interrogazione nella quale chiedeva se non fosse «opportuno assumere le iniziative di competenza per cassare dal testo unico delle accise di cui al decreto legislativo numero 504 del 1995 la menzionata esenzione a favore della Santa Sede». L’interrogazione di Bianconi è rimasta lettera morta.

Ed è già tanto se sappiamo che il principale fornitore di gas metano al Vaticano è Eni Plenitude (oltre ad Antares energia), una sinergia che sembra trovare un punto d’incontro nella direzione della fondazione Eni, al cui vertice siede dal primo ottobre 2020 Domenico Giani, l’ex comandante del corpo della gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano.

Federico Tulli

 

 




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