lunedì 20 gennaio 2014 - paolo

Il Risiko di Matteo Renzi nell’incontro con Silvio B.

Punta dritto al risultato e si gioca una puntata vincente che potrebbe consacrarlo come "colui che in futuro non dovrà chiedere mai". Ieri alle ore 16,00 l’incontro nella sede del PD di via del Nazareno con Silvio Berlusconi.

Il suo eclettico efficientismo, la sua smania di diventare l'artefice della rinascita politica ed istituzionale di questo paese, costi quel che costi, nasce dall'ambizione che, di per sé, non sarebbe un valore negativo se e qualora fosse corroborata dalla percezione dei propri limiti.

Dopo averci stupito con gli effetti speciali, per ora più a chiacchere che nei fatti, ha deciso di fare un pressing deciso sul governo Letta e sulla maggioranza di "ristrette intese" che lo sorregge, giocando il tutto per tutto sulla riforma della legge elettorale. Il Renzi pensiero è chiaro, se si riesce a portare in porto ciò che nessuno è mai riuscito a fare negli ultimi dieci anni, dopo la sciagurata introduzione del Porcellum, non ci saranno più ostacoli per il sindaco di Firenze nella sua scalata al potere. Sarà cioè consacrato definitivamente quel "nuovismo pragmatico" nella politica che spazza via i giochetti di basso profilo che hanno sempre imbrigliato gli interessi generali del paese a favore di pochi (o molti) interessati a mantenere lo "status quo". Insomma, lui stesso si è definito, ospite nella trasmissione Le invasioni Barbariche di Daria Bignardi, come “l'ultima spiaggia”, non tanto come il salvatore della patria ma nel senso delle sue parole: "Mah, proviamo un po' anche 'sto Renzi, poi se non va ci resta solo il mago Otelma", che dà la dimensione della tronfia autostima di questo iperloquace sindaco di Firenze.

Ciò detto è tuttavia indubbia la valenza strategica della iniziativa di Matteo, dal momento che nessuno può contestare l'importanza della riforma di una legge fondamentale sulla quale si decide tutta la struttura istituzionale del paese e quindi la legittimità e la legalità di tutti gli atti conseguenti. Oltretutto è congrua ad un impegno preciso assunto nelle mani del capo dello stato Giorgio Napolitano che aveva subordinato la sua rielezione proprio alla messa in atto di alcune riforme fondamentali, prima di tutte quella elettorale. Di più c'è poi la sentenza della Corte Costituzionale che impone comunque una via d'uscita dal famigerato Porcellum che ha prodotto i parlamenti indecenti dell'ultimo decennio.

Quello che a mio avviso non quadra in questo disegno del segretario del PD, partito che, non dimentichiamoci, rappresenta l'80% della coalizione di governo e che quindi legittima Renzi ad imporre un calendario di riforme al governo Letta, sono sostanzialmente tre cose:

a) La premessa che lo stesso Matteo Renzi ha più volte ribadito affermando che il consenso sulla riforma elettorale deve essere il più largo possibile, estendendolo quindi anche all'incontro, da lui ritenuto "risolutore", di ieri pomeriggio con un certo Silvio Berlusconi.

b) La sicumera espressa nel mettere tutti di fronte al fatto compiuto, partendo dal presupposto di avere ormai il partito ai suoi piedi e la convinzione che Angelino Alfano (NCD), se passa l'accordo con Silvio, dovrà necessariamente accodarsi.

c) La considerazione che una buona legge elettorale, ovvero una legge che dia i risultati positivi voluti, non è detto che debba necessariamente passare per una convergenza a tutto campo (politologo Sartori, ndr). In sostanza la calibratura della qualità è più importante del consenso plebiscitario.

Ma Renzi non si cura minimamente di questi aspetti e punta dritto allo scopo. È un gioco rischioso sul quale gioca tutto il suo futuro sia all'interno del partito che in ambito istituzionale. D'altra parte non può agire diversamente perché davanti a lui, malgrado le sue ripetute smentite, ci sono due macigni da rimuovere in fretta: il Presidente Napolitano che ha dato l'imprinting a questo governo e lo stesso Enrico Letta che minaccia di chiudere questa legislatura qualora avvenisse l'incontro con Berlusconi.

Sullo sfondo la percezione di molti elettori di "sinistra", ma non solo, che il fatto di incontrare il noto pregiudicato non sia proprio il massimo. Molti cioè si chiedono, compreso il sottoscritto, quale segnale etico ne deriva e quali incognite riserva una "riabilitazione" politica di Silvio Berlusconi. Forse Matteo sta facendo i conti senza l'oste, sottovalutando la volpe Silvio come a suo tempo fece Massimo D'Alema con la famigerata Bicamerale. Finì come sappiamo, con D'Alema che da allora perse tutto il suo smalto di "baffino intelligente", così come lo definì Roberto Benigni. Fu cioè l'inizio della sua fine politica e, beninteso, allora Silvio non era ancora un pregiudicato ma soltanto un pluriprescritto che, in questo paese surreale, è diventato sinonimo di "innocente".

Se il colpo riesce, ovvero qualora fosse tutto digerito, magari "obtorto collo" e nel solco del risultato positivo, sia dal partito che dalla maggioranza di governo, Renzi avrà davanti a se una prateria e potrà pretendere una riconfigurazione del governo Letta a suo esclusivo proprio gradimento, partendo da una posizione di indubbia forza. Enrico Letta verrebbe quindi ridimensionato a probabile ministro degli Esteri, incarico in cui lo stesso Renzi ha detto di vederlo come il migliore in assoluto, anzi fantastico. Rimarrebbe aperta la posizione di Premier e allora perché Renzi dovrebbe porsi dei limiti? Ha detto di volersi ricandidare sindaco di Firenze, è il segretario del PD, perché non fare anche il Premier? Insomma l'asso pigliatutto.

Resta la possibilità non remota che, scherzando con il fuoco, spesso ci si bruci.




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