lunedì 30 gennaio 2023 - Giovanni Greto

Il Quartetto di Venezia illumina l’Auditorium Lo Squero

I musicisti veneziani protagonisti della stagione musicale da poco conclusa

Quartetto in Residenza alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia fin dall’inaugurazione, nel 2016, del nuovo spazio auditivo nell’isola di San Giorgio maggiore, il Quartetto di Venezia (d’ora in avanti QDV) ha tenuto tre concerti, come al solito il sabato pomeriggio, che sarebbero potuti essere quattro, se un componente dell’ensemble, nonostante l’asintomaticità, non fosse risultsto positivo al tampone “scopri-Covid”.

Un primo complimento al QDV è motivato dalla bellezza del programma scelto per ogni appuntamento, con la conseguenza che il pubblico si reca tranquillo e rilassato, sicuro di ascoltare una musica che non lo deluderà.

Due dei tre concerti avevano per titolo “Omaggio a Cesar Franck” (Liegi, 1822 – Parigi, 1890), ricorrendo l’anno scorso il bicentenario dalla nascita.

Nel primo, il QDV ha invitato la valente pianista Gloria Campaner, quasi conterranea, essendo nata a Jesolo, poco lontano dal capoluogo lagunare.

Il pomeriggio si è aperto con l’esecuzione, da parte del QDV, del “Quartetto per archi in Sol minore, op.10”, l’unico composto da Claude Debussy (Saint-Germain-en Laye, 1862 – Parigi, 1918), in quattro movimenti, dominati da un unico tema in continua trasformazione : 1. Animé et très décidé. 2. Assez vif et bien rythmé. 3. Andantino, doucement expressif. 4. Très modèré. Très mouvementé et avec passion.

Particolarmente toccante e penetrante, il primo, caratterizzato da frequenti alti e bassi di volume ed un tutti assai sonoro : si respira un’atmosfera di tensione, che sembra ideale per commentare un film Noir o di Suspense alla Alfred Hitchcock.

Bello l’effetto strumentale, causato dai violini prima, dal violoncello poi, attraverso la tecnica del pizzicato, nel secondo movimento.

L’atmosfera è dolce e delicata nell’Andantino, mentre l’ultimo movimento inizia con un’introduzione lenta del solo violoncello, cui, a poco a poco si affiancano le altre voci. Ciò provoca una certa agitazione che spiega il passaggio dal moderato al movimentato con passione, secondo l’indicazione dell’Autore.

Applausi vivissimi, alla bravura, all’intensità e alla concentrazione, profuse nell’interpretazione.

Una breve pausa tecnica, ed ecco salire sulla pedana Gloria Campaner, finalmente ascoltata anche da persone della sua famiglia.

Interpreta, in completa scioltezza, aggressiva e delicata, “L’isle joyeuse”, di Debussy. Un breve pezzo per pianoforte solo, iniziato nel 1903 e concluso ad agosto del 1904. Probabilmente ispirato da un famoso quadro di Jean-AntoineWatteau (1684 – 1721), “L’embarquement pour Cythère”, dipinto nel 1717, ricorda i movimenti dell’acqua e gli scintillii della luce.

Man mano che l’esecuzione procede emergono il virtuosismo, la dinamica, una ritmica sempre più animata e una intensità espressiva.

Una pausa per predisporre i leggii in maniera corretta, per consentire l’ascolto del “Quintetto per pianoforte e archi in Fa minore”, l’unico composto da César Franck, tra il 1878 e il 1879, che viene considerato una delle opere più significative della sua produzione cameristica, assieme alla “Sonata in Fa maggiore per violino e pianoforte” (1886) e al “Quartetto in Re maggiore per archi”(1886).

Suddiviso in tre movimenti per un tempo totale di 35 minuti, passa dalla dolcezza romantica del primo – molto moderato quasi lento - , il più lungo, al malinconico ‘Lento, con molto sentimento’, per sfociare in un ‘Allegro ma non troppo ma con fuoco’ conclusivo, che sembra davvero sprizzare fiamme dagli archi e dai tasti del pianoforte. Massima concentrazione sul volto dei musicisti, mentre la tensione cresce e si avverte la fatica, anche fisica, per rendere al meglio la partitura.

Applausi prolungati non ottengono il bis. Tuttavia una parte del pubblico si avvicina al piccolo camerino, per scambiare qualche parola con i musicisti, sorridenti e felici.

Il secondo incontro con il QDV vede questa volta protagonisti soltanto gli archi.

Due i brani in scaletta. Il “Quartetto n.2 in Do maggiore” di Luigi Cherubini (Firenze, 1860 – Parigi, 1842) e il “Quartetto in Fa maggiore, op.135” di Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827).

Cherubini incominciò a comporre i suoi sei Quartetti per archi in età più che matura, per l’epoca, (era il 1814).

Il secondo, interpretato con passione, perfezione tecnica e con il sincronismo che sempre contraddistingue l’ensemble, ha posto in evidenza il linguaggio strumentale concitato, quasi ossessivo, talora travolgente, che è una caratteristica dell’Autore e che trova un parallelo solo in Beethoven. Un plauso ulteriore, perciò, ai musicisti, che hanno scelto di concludere il proprio Recital con l’esecuzione del “Quartetto op.135” di Beethoven, in quattro movimenti, di tre anni precedente a quello di Cherubini. Composto tra luglio ed ottobre del 1826, sei mesi prima della morte, sembra che in origine fosse stato concepito in tre tempi. Nella musica sembra di respirare un clima di serenità contemplativa, caratteristica dell’ultima produzione, che si avverte in modo particolare nel terzo tempo, ‘Lento assai, cantante e tranquillo’.

Al finale, ‘Grave, ma non troppo tratto. Allegro’, Beethoven ha dato il titolo Der schwer gefasste Entschluss, ‘la risoluzione presa con difficoltà’, spiegandolo con le parole Muss es sein? Es muss sein, ‘Dev’essere? Sì, dev’essere’, il cui significato potrebbe essere messo in relazione con una lettera nella quale il compositore, inviando il Quartetto ai banchieri Tendler e Manstein, per la consegna all’editore Schlesingen, sollecita il pagamento dell’onorario pattuito di 80 ducati.

Tornando alla musica, il Quartetto si conclude in maniera brillante con una serie di domande e risposte e un simpatico, delicato pizzicato.

Splendida l’interpretazione da parte del QDV, il quale, sommerso dagli applausi, onde smaltire la tensione accumulata durante l’impegnativa esecuzione, sceglie come bis un’armoniosa Lullaby di George Gershwin (1898 – 1937), concepita per il pianoforte, composta nel 1919, quando Gershwin era ancora uno studente.

La seconda puntata dell’omaggio a César Franck ha proposto, nella prima parte, l’esecuzione del “Quartetto per archi in Re maggiore” (1889), l’unico nel repertorio del compositore belga, in quattro tempi, per oltre 40 minuti di durata.

Il primo movimento – Poco lento. Allegro – è caratterizzato da un fraseggio calmo e maestoso del primo violino, assecondato da uno melodico del violoncello, esprimente sofferenza.

Concentrazione estrema nel secondo movimento – Scherzo. Vivace -, annunciato da un ritmo nervoso, cui fa seguito nuovamente un fraseggio melodico, espressivo e appassionato del violoncello.

Il terzo movimento – Larghetto - è iniziato dal violoncello attraverso un fraseggio calmo e riflessivo che si sviluppa in 34 misure.

Entusiasmante il Finale – Allegro molto. Larghetto - , il movimento dalla durata maggiore. Si assiste quasi ad un inseguimento tra i solisti, attraverso vivacità ed energia ritmica, in una continua mutazione di stati d’animo, che coinvolge gli strumenti ed ovviamente i musicisti, finché una breve sintesi conclusiva ripropone i temi principali più ascoltati.

Gli applausi, meritatissimi, precedono l’arrivo sul palcoscenico di due talentuosi musicisti, invitati ad eseguire le due composizioni conclusive del programma : il violinista Marco Rizzi e il pianista Gabriele Carcano.

In scaletta, dapprima, “in Augusta’s company”, un breve brano, fresco di scrittura, di Curt Cacioppo (Ravenna, Ohio, 1951), di origini sicule, le cui composizioni traggono ispirazione da fonti diverse (la poetica medievale di Dante; aspetti della cultura dei Nativi-americani; quella musica informale, definita nella lingua inglese vernacular, che spazia dal Pop, al Folk, al Jazz) e che collabora da tempo con il Quartetto veneziano.

Il brano è caratterizzato da un elevato volume sonoro, da un violoncello percussivo e da un pizzicato del Quartetto, atto a lanciare il fraseggio del violino solista.

Il secondo e ultimo brano è il lungo – oltre 40 minuti – “Concerto in Re maggiore op.21 per violino, pianoforte e quartetto d’archi”, composto da Ernest Chausson (Parigi, 1855 – Limay, 1899) tra il 1889 e l’8 luglio 1891, il quale fu allievo della classe di composizione di Franck al Conservatorio di Parigi.

Suddiviso in quattro movimenti – 1.Décidé 2. Sicilienne : Pas vite 3. Grave 4.Très animé – è un esempio significativo del post-Romanticismo francese, di cui Chausson è uno dei principali esponenti. Dolcezze malinconiche del pianoforte, arricchite dal lirismo del violino solista, avvolgono la composizione, conclusa con un dialogo tra il pianoforte e il pizzicato del Quartetto, tra il violino solista e il piano e tra il violoncello e il violino solista.

Applausi interminabili, ritmati dal consueto battito di mani fuori tempo da parte degli astanti, producono il sorriso nel volto dei protagonisti i quali, pur affaticati, ripetono come bis il romantico secondo movimento (in un cantabile, danzante tempo di ¾).

Sperando in un futuro recupero, ricordo il programma del concerto “saltato” .

Luigi Boccherini, “Quartetto in Sol maggiore, op.52 n.3 ;

Gian Francesco Malipiero, “Quartetto per archi n.7 ;

Giuseppe Verdi, “Quartetto in Mi minore”.

 

 




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