Il Papiro di Rhind
I primi utilizzi di numeri e di figure geometriche cominciarono a svilupparsi migliaia di anni prima dell’età ellenistica, durante la quale la matematica divenne una disciplina organizzata ed indipendente.
La matematica empirica dei babilonesi e degli egiziani, utilizzata per diretti scopi pratici nella vita quotidiana (l’agricoltura, il commercio, l’uso del calendario et cetera), priva di metodologia e costruita tramite semplici regole servì per costruire le basi scritte successivamente in epoca ellenistica.
Il papiro di Rhind ( o di Ahmes, nome dello scriba che lo trascrisse verso il 1650 a.C.) è il più esteso e antico papiro egizio di natura matematica giunto fino a noi.
Contiene tabelle di frazioni e 84 problemi aritmetici, algebrici e geometrici con le relative soluzioni, formule per aree e procedimenti di moltiplicazione, divisione e operazioni con frazioni a numeratore unitario, nozioni matematiche come numero primo, media aritmetica, media geometrica, media armonica e numeri perfetti.
Il papiro di Rhind contiene anche un metodo per la risoluzione di un’equazione lineare di primo grado.
Problema aritmetico n° 26
Una quantità, il suo quarto su di essa fa 15.
Il problema 26 rappresenta una tradizionale equazione lineare di primo grado che oggi scriviamo come:
.
La risoluzione, scritta sul papiro, avviene assegnando un valore provvisorio all’incognita, x = 4, ottenendo l’uguaglianza 4+1=5. Osservando che il rapporto tra il termine noto originario 15 e il risultato ottenuto ponendo con x = 4 è 3, si conclude che anche il rapporto tra le incognite (x e 4) deve essere 3 .
Con il rapporto delle incognite troviamo il valore corretto della x, x= 12 .
La storia dell’idea di matematica potrebbe riassumersi nella presa di coscienza sempre più netta delle nozioni di rigore e di precisione. Nozioni in sé certamente banali, il cui senso è peraltro costantemente rinnovato e approfondito dal pensiero matematico.
G. Granger, Matematiche in Enciclopedia Einaudi, 1979
Bibliografia
Storia della matematica,Carl B. Boyer, 1990
The British Museum