venerdì 16 aprile 2021 - Phastidio

Il Montenegro e la cravatta di seta cinese

Il Montenegro, strangolato del debito verso la Cina, chiede aiuto alla Ue, che per il momento dice no. La Belt and Road colpisce ancora

 

Il governo del Montenegro ha chiesto aiuto all’Unione europea per gestire un prestito contratto da Podgorica con la Cina, nell’ambito della Belt and Road Initiative, la nuova Via della seta, per la costruzione di una autostrada nel paese balcanico. L’autostrada resta incompiuta, i lavori continuano a subire ritardi, il costo lievita. Ma il dato più generale che desta maggiore impressione è che la Cina detiene ormai un terzo del debito montenegrino.

Il contratto per costruire l’autostrada è stato firmato nel 2014 dal precedente governo, guidato dal Partito democratico dei socialisti di Milo Djukanovic, attualmente presidente, oggi all’opposizione. Il prestito cinese è di circa un miliardo di dollari, ha tasso del 2% e durata ventennale con un periodo di grazia di 6 anni (durante il quale non si ripagano interessi né capitale), che termina il prossimo giugno. Il finanziatore è Export Import Bank, il contractor è China Road and Bridge Corporation, che utilizza nell’opera sino al 70% di maestranze cinesi e ha ottenuto esenzione Iva e dazi sui materiali importati.

Il corridoio del debito

L’opera è parte di un corridoio che deve collegare il porto montenegrino di Bar con la SerbiaI primi 41 chilometri dell’opera sono costati a Podgorica 20 milioni di euro a chilometro, facendone l’infrastruttura viaria più costosa d’Europa, ufficialmente a causa dell’orografia del paese. Come si dice sempre in questi casi, quando i consuntivi esplodono e ci si accorge che non si è saputo scrivere il preventivo.

I soldi sono finiti e la conclusione dell’opera è ben lontana, mentre crescono le proteste per la noncuranza cinese dell’impatto ambientale, che tuttavia doveva essere parte integrante del contratto, controlli inclusi. Anche il fatto che a luglio scada la prima rata di rimborso del capitale e che essa risulti dovuta malgrado i ritardi, è indicativo della cura con cui si è redatto il contratto.

A pensar male si fa peccato ma l’iter resta quello: contratti scritti coi piedi, analisi costi-benefici addomesticate. Per tutto il resto, ci sono le banche di Hong Kong, ma non per erogare prestiti. A cosa servano, giudicate voi.

“Pronto, Ue?”

Che fare, quindi? La nuova coalizione di governo montenegrina ha suonato il campanello di Bruxelles, facendo presente che è interesse della Ue ridurre la dipendenza di un paese europeo da capitali cinesi. Inutile obiettare che al problema si poteva pensare al momento della firma del contratto: la risposta sarebbe che il governo era un altro, assai poco “europeista”, come si tende a dire in questi casi quando si chiedono soldi alla Ue.

Il covid ha dato il colpo di grazia al Montenegro, che vive in misura rilevante di turismo, ma è utile ricordare che quest’opera già tre anni addietro aveva causato tensioni, costringendo il governo dell’epoca a una stretta fiscale che aveva colpito anche il welfare del piccolo paese balcanico.

La Ue per ora ha risposto che è già partner fondamentale del Montenegro per commercio e finanziamenti agevolati e che ogni paese è e resta sovrano quando contrae prestiti internazionali. Vedremo se e come Bruxelles cercherà di sfilare Podgorica dalla presa di Pechino senza risultare ricattabile. Il problema è che quest’opera pare regolata, in caso di contenzioso, da una corte arbitrale cinese, e che vi sia una garanzia offerta dal Montenegro sotto forma di terreni.

Evidente che Podgorica sta cercando di ristrutturare il debito ma vuole prima sostituire il creditore, per non far azionare qualche traumatica garanzia. E non finire incravattati con seta cinese, detto in modo ruvido.

Stessi problemi già vissuti altrove con la Belt and Road, quindi. L’opacità dei contratti toglie dalla pubblica vista le clausole più critiche, quelle relative ad arbitrati e garanzie. Classi politiche locali che pensano di poter esercitare leverage geopolitico e al contempo estrarre benefici privati (diciamo così) completano il quadro. Ma tanto “è colpa dell’Europa”, no?




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