venerdì 18 settembre 2020 - Giovanni Greto

Il Festival Internazionale del Teatro de “La Biennale di Venezia”

E’iniziata con la consegna dei Leoni d’oro e d’argento la lunga maratona teatrale (14 – 25 settembre)

Nemmeno il tempo di rifiatare per la Biennale di Venezia. Dopo la conclusione della 75esima mostra del Cinema, è quasi subito iniziato il 48esimo Festival Internazionale del Teatro . All’arena dei Giardini c’è stata la consegna dei premi. Il Direttore del Settore Teatro, dopo la soddisfazione espressa dal neopresidente della Biennale Roberto Cicutto, soddisfatto per essere riuscito a mantenere dal vivo, nell’ordine, il Cinema, il Teatro, La Musica e la Danza, ha letto dapprima la motivazione del Leone d’argento, attribuito ad Alessio Maria Romano. “Con il Leone d’argento è mia intenzione segnalare una figura fondamentale nel teatro, il pedagogo, colui che dà inizio al tutto, occupandosi di trovare ed esaltare talenti prendendosene cura fin dagli esordi.

Alessio Maria Romano, nonostante la giovane età – è nato a Palermo nel 1978 - ha messo a servizio tutto il suo sapere occupandosi dei giovani. Pedagogia come crescita e conoscenza. E’ regista e coreografo, si occupa di formare gli attori attraverso la disciplina della coreografia, insegnando quanto sia necessaria, soprattutto per la nuova figura dell’attore-performer, la consapevolezza del proprio corpo e quanto un gesto teatrale possa essere più incisivo di una battuta. L’attore è colui che sa incidere con il gesto e il movimento lo spazio scenico, e con la propria voce incide il silenzio. La dedizione di A.M.R. è riconosciuta in tutto il mondo teatrale, grazie alla cura con cui ha seguito e segue ogni suo singolo allievo, prendendosi la responsabilità della consegna nel mondo lavorativo e professionale”.

Diplomatosi contemporaneamente come attore presso la Scuola del Teatro Stabile di Torino e in Analisi del Movimenti Laban/Bartenieff (C.M.A.) negli U.S.A. e in U.K., ha approfondito così il suo interesse per il movimento scenico e la pedagogia del movimento. Emozionato ed applauditissimo sopra tutto dai molti allievi e collaboratori presenti tra il pubblico, Romano ha letto quanto preparato, pagine fitte che meritano di essere qui riprodotte.

Che dire? Alla fine un discorso lo faccio, non volevo ma lo faccio …. perché ho pensato … ma quando mi ricapiterà? La questione è che vorrei dire troppe cose e quindi rischierei di stare qui per ore … farei un monologo forzandovi a non andare mai via e così godermi, da solo, egoisticamente, questo momento, il giardino, Venezia, per sempre e qui vederci invecchiare, tutti quanti, ma invece il tempo corre e fra qualche ora abbiamo uno spettacolo … si chiama bye bye … un nuovo lavoro che ho preparato con un gruppo di artisti … bravissimi ma soprattutto onesti e buoni, che di questi tempi credo sia una cosa rara… Sono professionisti, lavoratori… sconosciuti. Ma cosa vuol dire essere “conosciuti” ? A chi? Ecco, credo che il senso di questo premio e della mia sincera ed eterna gratitudine a chi ha avuto la curiosità e il coraggio di osare ad andare a toccare ciò che non si vede … il coraggio di andare dentro il buio e toccare ciò che è nascosto, ecco credo che il senso e il non senso, per me, sia proprio questo ovvero rendere conosciuto ciò che apparentemente non si riconosce. Il teatro lo si vede, da sempre, ma chi sono tutte quelle altre professioni che stanno dietro la visione e che collaborano profondamente a far si che il buio possa brillare? Non sono certo la sola anima dell’interprete o del regista … ci sono moltissime sconosciute professioni che permettono che questa “visione” accada e lo sappiamo soprattutto noi qui presenti ma spesso, proprio noi stessi, lo dimentichiamo o lo diamo per scontato. Oggi, in questi tempi così bui, dare un premio di tale prestigio a due figure, compreso me, che si occupano proprio di questo, ovvero di rendere d’oro e d’argento il talento degli altri, trovo che sia un atto meraviglioso, quasi politico dove la politica, stranamente, è qualcosa di bello. Il mio discorso non può che essere retorico perché io forse un pò lo sono e vi chiedo scusa e quindi perdonatemi se abuso del tempo che mi è concesso… Il mio discorso non può che partire da ciò che faccio ogni giorno … insegnare … ma io alla fine vi giuro che non insegno nulla … tento di costruire e costruire è creare e quindi forse costruire, creare e insegnare sono la stessa cosa. Insegnare non solo agli allievi ma a chi ha voglia di guardare e di ascoltare e forse immaginare, al di là del capire necessariamente il senso del tutto. Ma cosa ha senso? Mangiare? Morire? Giusto per fare una citazione ovvia. Morire. Forse ecco l’unico senso. Il resto è domandarsi, cercare … è proprio questo che cerco di lasciare ai miei allievi, il porsi continue domande, con la consapevolezza che forse non si troverà mai alcuna risposta ma solo perché le risposte, credo, sono proprio le domande. I miei allievi sanno che per comprendermi è necessario un interprete simultaneo. Dopo qualche mese in realtà imparano a tradurmi, da soli, ognuno come più crede, e non so che cosa realmente capiscano delle tante cose che accadono in sala ma forse non le capisco nemmeno io. E’ un bellissimo CAOS. Dopo tutto alla fine noi ci “muoviamo” e questo già crea crisi di per sé … perché il corpo è un luogo che contiene, decisamente, troppa roba … è “strano” e al confine con qualcosa di misterioso che non si può comprendere ma … lo si può muovere. Aggiungiamo poi che non si capisce se le mie classi siano teatro o danza o performance o ginnastica, aerobica, uncinetto, cucina … non si sa e questo non definire crea nervosissimo, atroce, a tutti. Quindi cercherò di innervosirvi il meno possibile e cercherò di essere, per voi, chiaro, breve e semplice e forse qualche mio allievo qui presente potrà tradurmi. Chi mi conosce sa che questa situazione è per me molto stressante, emozionante. Solitamente scappo dagli applausi. Sono scappato dalla scena stessa. Sono molto a disagio nel luogo del “riconoscimento” forse proprio perché non mi riconosco affatto e questa è la mia lotta costante fra ciò che si è e ciò che non si è e ciò che vorremmo essere e bla bla bla … mi muovo in quel luogo del divenire e dell’informe e proprio per questo ho imparato a riconoscermi attraverso il permettere agli altri di riconoscersi e … scusate il gioco di parole. Con il tempo ho compreso che aiutare gli altri ad essere quello che sono o potrebbero essere, aiuta egoisticamente me stesso ad esistere e a vedermi anche se questo comporta a volte enorme dolore, da entrambe le parti. Mi vedo riflesso nel corpo dei miei allievi e vedo i loro corpi riflettersi nel loro talento e nelle loro scelte, qualunque esse siano. Non so esattamente come si faccia. Una allieva una volta definì il mio insegnamento la pedagogia del non lo so … amo terribilmente questa definizione. Ci muove un desiderio, quello di stare insieme a cercare e a porci delle domande e il resto accade o non accade ma non importa. Questo io faccio, pongo delle domande, a me, agli allievi ma anche a tutti gli attori e ai registi con cui lavoro. Ascolto, rispondo, non dico, scelgo, consiglio, sto in silenzio, abbraccio, guardo, urlo, sprono, sostengo e lascio andare. Traduco i desideri degli altri. Oggi, in questa meravigliosa situazione di altissimo “riconoscimento” mi domando come stai Alessio? E mi rispondo … male … ma anche tremendamente bene. Sono felice. Felice … che il coraggio di un solo uomo (e come dice Canetti basta un solo individuo a fare la differenza all’interno di una massa) … felice che il coraggio, sincero, di un direttore (insieme alla sua squadra), sia stato quello di scegliere, e lui senza retorica, di far si che l’ombra prendesse luce. Ovvero che una professione, un ruolo, una personalità ambigua e non conosciuta, schiva, avvolte scontrosa, non simpatica, ibrida che va al di là delle precise definizioni, possa essere “vista”. Il fatto che tutto questo venga appunto visto, dove “vedere” vuol dire accorgersi, prendersi cura e quindi riconoscere, mi commuove. Mi commuove come si commuovevano gli eroi di un tempo, dove la fragilità era una forza e una risorsa del dubbio. Il mio lavoro, la mia passione è appunto vedere, scoprire, aiutare l’altro ad essere un artista, qualsiasi cosa voglia dire. Un artista con delle responsabilità, onesto, sincero, bravo e anche “buono”, come dicevo all’inizio…. si, buono ma dove buono non vuol dire scemo, borghese o chissà quale altre definizione. In questo momento di tremendo cinismo e arrivismo, superficialità, arroganza e presunzione che problema avete con ia parola “buono”? Quale paura vi fa scappare dalla parola “amore”? Mi chiedo come difendersi da questa fuga. Forse solo cercando, rimanendo curiosi e stando insieme, in sala e fuori. Dialogando ma, realmente, con chi sarà il domani e accettando di sottrarsi e lasciare andare quel domani. Accettare di amare e di morire, questo per me vuol dire insegnare e danzare e creare spettacoli perché io faccio anche questo, si, cerco e ricerco spettacoli non insegno e basta. Si possono fare entrambe le cose! Riconoscere. Accettare. Ringraziare. Queste sono le parole che più di ogni altre, in tutti questi mesi, mi sono risuonate come qualcosa da “ricordare” ed ecco un’altra parola quale “ricordare” che mi risuona, insieme alle altre e a molte altre ancora, come un eco che appunto mi tocca profondante proprio per non dimenticare. Ringraziare. Riconoscere. Accettare. Ricordare per non dimenticare. Ecco sto finendo e vorrei davvero ringraziare, sinceramente, il Presidente Roberto Cicutto e il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia per aver creduto in questo premio e aver creduto che io potessi riceverlo. Vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto, dal Lac di Lugano allo Stabile di Torino ma più di tutti la mia sempre presente, forte e delicata famiglia i miei pochi e belli amici di sempre Carlotta e Carmelo i miei maestri e le mie maestre, tutte. E un abbraccio, un grazie, innamorato, sicuro, profondo va ai miei più stretti collaboratori Isacco e Filippo che da ex allievi e provinanti sono diventati preziosi collaboratori, sostenitori, nemici e importanti amici e che mi hanno aiutato a credere in me e che continuano ad insegnarmi …. Ma davvero infine e i miei allievi sanno che quando dico è l’ultima volta non è mai l’ultima volta … vorrei anche ringraziare tutti quelli che in questi anni mi hanno detto e continuano a dirmi “no” e ai quali io oggi dico si, sono qui e ricomincio e continuo da qui. Concludo dedicando questo premio a tutti quelli che si sentono “ombre” e alla scuola, alla studio, all’arte della pedagogia che è creatività folle, passione, sempre, e forza, nascosta, di quello che sarà.

Il Leone d’oro alla carriera è stato attribuito a Franco Visoli. Nato a Mantova nel 1956, si è diplomato nel 1987 presso il Recording Workshop OH, U.S.A. nel 1987. Dal 1988 ha al suo attivo oltre 100 allestimenti nei maggiori teatri italiani ed esteri collaborando con alcuni tra i più importanti registi della scena italiana ed europea : Thierry Salomon, Peter Stein e Massimo Castri, con cui ha lavorato stabilmente a partire dal 1989 a tutti gli spettacoli messi in scena dal regista. Visioli, felice in volto, ha voluto condividere il premio con tutte quelle persone, mai o poco riconosciute in Italia, che fanno il 50 per cento dello spettacolo : macchinisti, tecnici del suono, delle luci, facchini, etc.

“Con questo Leone – ha esordito Latella – vorrei segnalare una figura che, nel teatro, spesso condiziona la riuscita di uno spettacolo e la sua scrittura scenica : il compositore, disegnatore del suono o se vogliamo drammaturgo del suono”.

Ma ecco parte della motivazione. “Franco Visioli è un musicista e sound designer straordinario che ha accompagnato con le sue composizioni sonore i più grandi registi della seconda metà del ‘900, facendo da ponte con i registi del XXI° secolo. Le sue drammaturgie sonore sono vere e proprie scritture che si aggiungono alla scrittura drammaturgica, creando sinergie che vanno a valorizzare passi fondamentali dell’autore e del regista. Negli ultimi anni Visioli, oltre ad accompagnare registi affermati, si è messo a servizio di giovanissimi registi, aiutandoli a esaltare e a comprendere l’importanza del suono in un processo creativo, esaltando spesso la forza che solo il silenzio può avere. Saper ascoltare il silenzio, non averne paura e non censurarlo”

E proprio sul tema della censura è stato proposto da Latella agli artisti di lavorare in questo Atto Quarto : NASCONDI(NO) della sua direzione. Un titolo che pone – come scrive nella presentazione al catalogo il Presidente Cicutto – “un forte accento sulla negazione: NO a nascondere tutto quanto si pensa non corrispondere ai criteri per decidere cosa far vedere e cosa no. Ma chi ha stabilito questi criteri, e a quali esigenze, censure, pregiuduzi, finalità rendono conto?”. “La censura esiste anche se viene abilmente nascosta – scrive Latella nel catalogo - . Ho chiesto a tutti di lavorare su questo tema. Quest’anno è come se alla Biennale ci fosse un Padiglione Italia Teatro, con una grande esposizione del teatro italiano, a cui tutti gli artisti collaborano, pensando a uno spettacolo a tema, creato apposta per l’atto quarto”.

 




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