martedì 5 maggio 2009 - Zag(c)

Il Capitale si prepara per il dopo crisi. E i lavoratori?

La Fiat ha chiuso l’accordo con la Chrysler. Solo alcuni giornali, quelli con commentatori economici di più alto respiro, hanno dato la notizia soffermandosi un po’ di più sugli aspetti più generali. Gli altri hanno cantato le doti italiche di aggredire i mercati mondiali.

Inutile commentare le euforiche note di tutti i politici, di destra e di "sinistra". Su Repubblica si cantavano, tra l’altro, le doti ed il grande senso di responsabilità dei lavoratori americani. Ma alcune considerazioni vanno fatte.

Come ho avuto modo di dire in altre occassioni, il mercato americano delle industrie è allo stremo. Sono con l’acqua alla gola e accetterebbero chiunque pur di uscire dall’impasse in cui si sono ficcati con gli investimenti "creativi" degli anni passati.

Oggi le industrie europee, francesi e tedesche in primis, fanno a gara a comprare i resti delle fabbriche americane. Non è raro il caso di arrivare ad interessarsi all’acquisto di industrie americane e di trovarle già in accordi di vendita con francesi e tedeschi. Si è interessati, più che alle industrie americane, al mercato americano.

Tutti gli economisti (per quel che valgono le loro previsioni) dicono che la ripresa, quando ci sarà, arriverà dall’America. In Europa a mala pena si riuscirà a trattenere la grande depressione. Ed allora sarà un bene per le industrie europee essere già là presenti, con un nome (le fabbriche americane comprate a svendita) già conosciuto dai consumatori americani.

E sarà altrettanto un bene essere presenti sul mercato americano perchè da lì arriveranno i finanziamenti a iosa da parte del governo degli USA. Ma oltre al vantaggio di essere presenti sul mercato americano vi è il vantaggio che quelle industrie hanno tecnologie e brevetti all’avanguardia, hanno conoscenze e saperi primi nel mondo (ancora) e quindi oltre alla ferraglia, si compra l’intelligenza ed i saperi: merci rare nel vecchio mondo.

Quindi Marchionne ha fatto un passo lungo, sia in senso economico-finanziario, sia in senso strategico, cioè un passo lungimirante per gli interessi capitalistici. Ciò che ha fatto convincere Obama e gli strateghi della Casa Bianca è stato il piano industriale che Marchionne ha portato sul tavolo delle trattative e cioè i nuovi motori targati Fiat, a diesel ed a benzina.

La novità consiste nell’innovazione di poter regolare l’apertura delle valvole di aspirazione in funzione del numero di giri del motore consentendo così, insieme alla novità della doppia frizione a bagno d’olio automatica, un risparmio di carburante, un minor inquinamento ed una resa più alta.

L’altra novità è il nuovo modello di auto elettrica presentata da Marchionne che promette una più lunga autonomia dando così speranze al sogno ecologico di Obama. Ma fondamentale per completare l’operazione è vincere il concorrente europeo, la Opel, che possiede molti segmenti di mercato sovrapponibile con la Fiat.

Vincere la Opel significa posizionarsi in una fetta di mercato (fra i 6 e i 7.5 milioni di auto annui) che rappresenta una solida posizione, e far parte della corte dei tre-quattro produttori mondiali che alla fine della crisi rimarranno in piedi e che spartiranno il mercato.

Ma qual è il costo per i lavoratori? Naturalmente nessuno prende in considerazione questo punto di vista, tutti ormai annebbiati ed offuscati dall’idea che fare il bene di Marchionne o della Fiat sia fare il bene dei lavoratori. Qual è stato il costo per i lavoratori americani della Crysler? Qual è stato il costo per la responsabilità del sindacato americano? Intanto i sindacati americani hanno accettato un accordo capestro: congelamento dei salari, scatto degli straordinari solo oltre le 40 ore settimanali, cancellazione delle vacanze di Pasqua e di altre festività per due anni, pericoloso acquisto di una gran massa di azioni Chrysler da parte del fondo pensione dei dipendenti, e completa rinuncia agli scioperi fino al 2015.
 
Ma questo è solo un assaggio. La globalizzazione oltre a far viaggiare senza confini i capitali, fa viaggiare anche gli accordi capestro per la classe lavoratrice, e l’accordo Opel, porterà come logica conseguenza accordi capestro non solo per i lavoratori tedeschi, ma alla lotta intestina fra lavoratori tedeschi e lavoratori italiani, a chi accetterà a ribasso pur di lasciar a casa propria un pezzo di produzione, in una gara a chi avrà più "senso di responsabilità" nella precarietà, e nell’incertezza del proprio futuro.

A nessuno verrà in mente un vecchio ricordo di internazionalizzazione dei lavoratori, ad unire i lavoratori tedeschi ed italiani, francesi ed americani perché comuni sono gli interessi e comune dev’essere la volontà a non pagar noi la crisi, non creata e non voluta da noi.
 




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