martedì 29 dicembre 2020 - YouTrend

Il 2020 dei partiti: un anno complicato per il Movimento 5 Stelle

I risultati deludenti alle regionali, le dimissioni di Di Maio da capo politico, l’emergenza Covid-19: non è stato un anno facile per il Movimento

di Francesco Cortese

 

Dopo la brusca discesa nei consensi registrata nel 2019, quest’anno il trend del Movimento 5 Stelle si è stabilizzato intorno al 15%. Nella prima Supermedia YouTrend del 2020 i 5 stelle erano al 15,7%, mentre nell’ultima dell’anno sono al 14,8%: un calo di neanche un punto, che tuttavia ha comportato lo scivolamento da terzo a quarto partito italiano, essendo stato superato da Fratelli d’Italia in autunno. In effetti, se durante il lockdown primaverile i sondaggi premiavano il Movimento, con l’arrivo della seconda ondata e le relative chiusure che sono state decise dal Governo, i 5 Stelle hanno conosciuto una rapida discesa nei consensi.

 

 

Di Maio lascia la guida del Movimento

Il 2020 del Movimento 5 Stelle si apre con un terremoto interno: il 22 gennaio Luigi Di Maio annuncia infatti le sue dimissioni da capo politico. Quella del Ministro degli Esteri è una decisione dovuta alla crisi interna al Movimento: a gennaio infatti erano già 31 i parlamentari che avevano lasciato il partito da inizio legislatura (oggi sono 44) e si veniva dalle batoste elettorali del 2019. Nel suo discorso di addio, Di Maio ha comunque ribadito che non lascerà il Movimento e che la vera sfida è proprio quella che si deve giocare contro i nemici interni che cercano la visibilità personale e non il bene del Movimento 5 Stelle. Come suo successore ad interim, in qualità di membro anziano del comitato di garanzia, è stato scelto il Viceministro dell’Interno Vito Crimi.

 

Le elezioni regionali

E’ noto che il Movimento 5 Stelle abbia difficoltà nelle elezioni comunali e regionali, a causa di uno scarso radicamento sul territorio e dell’iniziale resistenza a definire alleanze pre-elettorali con altri partiti o con liste civiche.

Il 2020 si è aperto subito con le elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria, dove si è votato il 26 gennaio. In Emilia-Romagna il Movimento 5 Stelle ha candidato l’imprenditore Simone Benini, che ha ottenuto appena il 3,5% dei voti, assicurando al Movimento solo 2 seggi in Consiglio regionale, mentre alle precedenti regionali del 2015 aveva ottenuto circa il 13% dei voti totali e 5 seggi. In Calabria è andata ancora peggio: il candidato Francesco Aiello ha sì ottenuto il 7,4% dei voti, ma il Movimento non ha superato la soglia di sbarramento e quindi è rimasto fuori dal Consiglio regionale. Queste due sconfitte hanno provocato anche un brusco calo nei sondaggi a livello nazionale.

Tra il 20 e il 21 settembre c’è stata la seconda tornata elettorale delle regionali. In 5 delle 6 Regioni a statuto ordinario al voto, il Movimento 5 Stelle ha schierato un proprio candidato senza alleanze con altri grandi partiti, ottenendo risultati deludenti che sono oscillati tra il 3,3% di Enrico Cappelletti in Veneto e l’11,1% di Antonella Laricchia in Puglia. In Liguria, invece, è stata sperimentata a livello regionale l’alleanza giallo-rossa che governa il Paese: anche in questo caso il risultato ottenuto dal candidato unitario Ferruccio Sansa è stato molto deludente, poiché ha perso di quasi 20 punti percentuali rispetto al Presidente uscente di centrodestra Giovanni Toti.

 

Il referendum costituzionale

Se da un lato, come era prevedibile, i risultati del Movimento 5 Stelle alle regionali sono stati molto negativi, dall’altro il 20 e il 21 settembre si è votato anche per il referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari, un tema che è da sempre un cavallo di battaglia del partito: il Sì ha ottenuto poco meno del 70% dei voti e ha sancito così una grande vittoria del Movimento che, anche sui propri canali social, ha mostrato tutta la propria soddisfazione. Al contrario, gli altri partiti si sono limitati a constatare il risultato e a sottolineare come questo referendum dovesse essere solo l’inizio di una più ampia stagione di riforme istituzionali.

 

 

Gli Stati generali

L’11 dicembre si sono conclusi gli Stati generali del Movimento con l’approvazione del documento finale, composto da 23 quesiti a cui hanno partecipato oltre 15 mila iscritti. I quesiti vertevano su diverse tematiche che spaziavano da principi e valori fino alla governance nazionale e alle alleanze con altri partiti. Inoltre, c’era da sciogliere il nodo di chi sarebbe diventato il nuovo capo politico, ma è stata presa la decisione di dare il potere ad un organo collegiale piuttosto che ad un singolo.

 

 

Verso il 2021

Alla fine del 2020 ci sono alcune crisi interne alla stessa maggioranza, relative soprattutto al MES e ai fondi provenienti dal Recovery Fund, che minano la stabilità del Governo e che dovranno essere risolte. Sarà proprio a partire da queste sfide che il Movimento potrà crescere o calare nei consensi, anche se le grandi differenze di vedute tra i pentastellati e i renziani di Italia Viva, che sono sempre più insoddisfatti dell’operato del Governo e di Giuseppe Conte in particolare, rendono tutto più difficile.




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