lunedì 17 gennaio 2022 - Maddalena Celano

I rischi per la pace in Colombia

Il Congresso aveva come obiettivo il sostegno al processo di pace in Colombia, tra governo e FARC-EP. Il motto dell’incontro fu “Donne Unite per la pace e contro l’imperialismo”

di Maddalena Celano

(Immagine senza copyright e di libera diffusione)

Erano presenti le delegate delle associazioni affiliate dei cinque continenti, tra cui AWMR Italia – Donne del Mediterraneo, insieme alle invitate di altre organizzazioni internazionali. Il congresso, curato dalla FDIM Colombia e dalla segreteria internazionale della Federazione, discusse le seguenti tematiche: guerre imperialiste e sfide per la pace (con particolare attenzione alla regione mediorientale); crisi del capitalismo e impatto sulle donne; cambiamenti climatici e sicurezza alimentare; parità di genere nel mondo del lavoro; donne e diversità etniche e culturali. Un’ulteriore discussione sulle conquiste delle donne africane fu proposta dall’Organizzazione delle Donne Angolane. Il congresso si tenne a Bogotá, quindi il dibattito non poté prescindere dalla realtà politica e sociale colombiana e dalla condizione femminile nel paese. La Colombia fu al centro delle cronache internazionali, alla fine del 2016, per via del referendum tenutosi il 2 ottobre 2016, con il quale il 50,24% dei votanti ha respinto l’accordo di pace, firmato dopo quattro anni di complicate trattative, tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC-EP). Prima del voto, tutte le partecipanti al congresso sostennero che un eventuale accordo avrebbe migliorato sensibilmente la condizione femminile nel paese.

Le donne e gli indigeni colombiani nel conflitto

Durante il dibattito sul tema Donne e diversità etniche e culturali, le rappresentanti di diverse comunità indigene hanno evidenziato come l’enorme diversità etnica e culturale della Colombia sia tutelata dalla Costituzione, che non solo riconosce a tutti i cittadini pari opportunità, ma anche l’obbligo dello stato di promuovere le condizioni per garantire tale uguaglianza. Tuttavia, nonostante il riconoscimento legale, i gruppi etnici in Colombia sono continuo bersaglio di violenze: il conflitto armato rappresenta la maggiore minaccia alla loro autonomia, ai loro diritti territoriali e culturali. Il censimento del 2005 indica che la popolazione indigena ammonta a circa 1.393.000 individui che vivono in 87 diverse località. Si tratta di 102 gruppi indigeni differenti cha parlano 64 lingue raggruppate in 13 famiglie linguistiche. Il 78% di loro vive in zone rurali, ovunque sul territorio nazionale, e si differenziano per cultura, storia, organizzazione sociale e politica, struttura economica e produttiva, visione del mondo, spiritualità e la relazione con l’ambiente. La violenza e i trasferimenti forzati che hanno accompagnato gli ultimi cinquant’anni di conflitto hanno progressivamente peggiorato la situazione dei diritti umani delle popolazioni indigene colombiane. Diverse organizzazioni hanno denunciato il rischio della loro estinzione fisica e culturale, come è già successo ad altri popoli nativi del continente: discriminazione razziale, povertà, privatizzazione dei servizi basici, espropriazione delle terre e delle risorse naturali da parte dei paramilitari o delle multinazionali straniere. Nel disperato tentativo di arginare questo fenomeno, nel 2010 l’Organizzazione Nazionale Indigena della Colombia (ONIC) lanciò una campagna internazionale per la sopravvivenza dei gruppi a rischio di estinzione.

La situazione delle donne non si discosta molto da questo scenario. La Colombia continua a essere un paese dove le donne subiscono la violenza di un sistema patriarcale e, come in molti altri, si trovano in una posizione di netto svantaggio sotto diversi punti di vista. Un esempio è la marcata tendenza a una definizione idiosincratica dei ruoli maschili e femminili. Ma anche la situazione socio-economica si contraddistingue per elevati livelli di discriminazione (molestie e abusi sul posto di lavoro) che aumentano le possibilità di esclusione sociale delle donne e maggiore povertà. Questa condizione di disuguaglianza, poi, si intreccia al conflitto armato ed è strettamente vincolata alla persistenza della violenza di genere. Per le donne indigene e afro-colombiane che vivono nelle aree rurali, quelle principalmente interessate dal conflitto, la situazione è particolarmente grave: aborti forzati, femminicidi, tratta e riduzione in schiavitù sono solo alcune delle forme in cui si esprime la violenza in quei territori. Per non parlare della persecuzione e delle minacce che subiscono le donne affiliate a collettivi o associazioni non governative che lottano per l’uguaglianza di genere.

Il corpo femminile come campo di battaglia

Fin dalla nascita delle FARC, nel 1964, lo stato colombiano ha autorizzato la costituzione di cosiddetti “gruppi di auto-difesa” che avrebbero dovuto «contribuire alla restaurazione della normalità». Questi gruppi paramilitari emersero tra la fine degli anni sessanta e i primi anni ottanta, diventando protagonisti di gravi azioni di violenza e rafforzando considerevolmente i loro legami con i settori economici e politici reazionari, in varie parti del paese, incluso trafficanti di droga e membri delle forze armate. In questo contesto si è sviluppato un sistema di controllo sociale nei confronti della popolazione civile che è particolarmente forte nei casi in cui i membri delle comunità sono percepiti come simpatizzanti di gruppi avversari. La Colombia è un paese fragile, tormentato da para-militari, esercito, narcotrafficanti e gruppi di insorti. A causa di questa situazione storica, la violenza di genere si presenta con delle caratteristiche proprie. Da una parte abbiamo le FARC e le comunità contadine che reclutano le donne nei loro ranghi, istruendole e addestrandole militarmente. Dall’altra parte abbiamo i gruppi paramilitari che torturano, stuprano e uccidono le donne accusate di appartenere allo schieramento opposto. Per questo motivo si è creata una polarizzazione ideologica per quanto riguarda i ruoli di genere, che vede le FARC protagoniste di una visione moderna ed “emancipazionista” della donna, mentre i paramilitari ne promuovono una visione retriva, sostenuta peraltro da gruppi cattolici integralisti-oscurantisti e dai gruppi “evangelical”: per loro la donna è prevaentemente fattrice, moglie devota e sottomessa o, al contrario, una prostituta da rinchiudere nei postriboli legali (non peraltro i paramilitari, infatti, controllano anche la tratta di donne da avviare alla prostituzione, nei famigerati postriboli di stato). Infine, ma non per ordine di importanza, una delle più gravi conseguenze del conflitto è stato lo spostamento forzato di migliaia di donne dalle aree rurali alle città. Questi trasferimenti forzati, le ha obbligate ad assumersi la responsabilità di assicurare la sopravvivenza a se stesse e alle loro famiglie, in nuovi ambienti sociali e culturali, senza sostegno statale e senza le competenze necessarie per accedere al mercato del lavoro. La violenza che pensavano di essersi lasciata alle spalle continua a esercitare un ruolo importante nelle loro vite. Ancora oggi sono oggetto di ricatti, molestie, stupri o prostituzione forzata.

Pace e sicurezza in Colombia

Il Segretario generale dell’Onu, questo novembre 2021, ha avvertito dei rischi che esistono da quando, in alcune regioni, sono riemerse violenze e si sono verificati omicidi di ex combattenti, leader sociali e difensori dei diritti umani, oltre alle violenze sessuali e al reclutamento di bambini.

Nel quinquennio della firma dell’Accordo di Pace in Colombia, il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha visitato il tribunale della Giustizia Speciale per la Pace (PEC), questo 24 novembre 2021, tribunale creato con lo scopo di offrire giustizia alle vittime del conflitto che da 50 anni divide il paese.

“Mentre oggi facciamo il punto della situazione, possiamo affermare con fiducia che il processo di pace sta mettendo radici profonde”, ha affermato António Guterres, ricordando che il quinto anniversario “è una testimonianza dell’impegno delle parti, ma anche dello Stato e della vibrante società colombiana”. Per Guterres, “i risultati sono innegabili” e “la Colombia dovrebbe esserne orgogliosa”. Tra questi successi ha citato il fatto che una guerriglia che, per mezzo secolo, è stata in armi, oggi è un partito politico e che la maggioranza degli ex combattenti, circa 13.000, si sta adoperando “ammirevolmente” per costruire nuove vite in pace. Infatti, ha evidenziato che la Colombia è un esempio ispiratore: “In un mondo segnato da conflitti, molti dei quali senza la vista di una fine. Un accordo di pace negoziato per porre fine a un conflitto che molti credevano irrisolvibile è qualcosa di estremamente unico e prezioso”.

I rischi per la Pace

Tuttavia, nonostante i progressi, il Segretario Generale ha analizzato i rischi che attualmente si presentano per il raggiungimento dell’Accordo di Pace. “La violenza è riemersa nelle regioni colpite dal conflitto. Le comunità etniche, le donne e le ragazze sono particolarmente colpite. Le minacce e le uccisioni di ex combattenti, leader sociali e difensori dei diritti umani, spesso donne e popolazioni indigene; spostamento e confinamento; violenza contro le donne e violenza sessuale; il reclutamento dei bambini: tutto questo contravviene alla pace. Ogni morte è essa stessa una tragedia. Ogni morte invia un messaggio devastante a queste comunità che stanno ancora aspettando le promesse dell’Accordo, ha affermato. Infatti, la notte prima della sua visita al giudice speciale per la pace, António Guterres ha condannato in un tweet l’uso della violenza e l’omicidio di difensori dei diritti umani ed ex combattenti delle FARC, in Colombia. Dalla firma dell’Accordo di pace, sono stati assassinati più di 300 ex combattenti e 477 difensori dei diritti umani e leader sociali, secondo i dati della Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia. Nonostante queste minace alla pace, Guterres ha affermato che “non è troppo tardi per invertire questa tendenza”, per cui ha indicato che le disposizioni di sicurezza dell’Accordo e dei capitoli sulla riforma rurale e la soluzione alle aree rurali devono essere pienamente rispettate. Ha ricordato che lo stesso accordo di pace riflette la realtà del fatto che trasformazioni di questa portata richiederanno tempo. “Mancano ancora dieci anni di quanto inizialmente previsto” e ” le sfide fanno parte dei processi di pace“. “Ci sono molte questioni su cui puoi essere in disaccordo in una democrazia, ma la pace non può più essere una di queste”, ha affermato prima di invitare la Colombia “a rimanere su questa strada di costruzione della pace e persistere nel superare le sfide”. Per fare ciò, ha incoraggiato il proseguimento della road map tracciata nell’Accordo di Pace, che stabilisce la trasformazione delle cause profonde del conflitto che consentirà alle ferite di iniziare a rimarginarsi e prevenire le atrocità commesse da tutte le parti. Con questi obiettivi in ​​mente, Guterres ha notato “la creazione di un sistema giudiziario di transizione che miri a ottenere giustizia per le vittime e i sopravvissuti, oltre a garantire una pace duratura”. In questo senso, il capo delle Nazioni Unite è stato incoraggiato dal fatto che la Colombia si sta muovendo per affrontare il suo doloroso passato e ha riconosciuto i progressi che sta facendo la giustizia di transizione: “abbiamo visto accuse storiche per crimini di guerra e riconoscimento di responsabilità senza precedenti. Abbiamo visto incontri emotivi che uniscono vittime e responsabili. E abbiamo visto come le famiglie finalmente escono dall’incertezza sulla sorte dei loro cari scomparsi”. Infine, ha assicurato che “dopo più di cinque decenni di conflitto, e consapevoli delle sofferenze che ha causato, abbiamo l’obbligo morale di garantire il successo di questo processo di pace”.

La Testimonianza delle vittime

Prima del suo intervento, il Segretario Generale ha potuto ascoltare le testimonianze delle vittime, tra cui quella di Ana Sofía Martínez, il cui padre è scomparso vent’anni fa dopo essere stato detenuto dal 13° fronte delle FARC-EP. Dopo aver chiesto a tutte le parti, al governo e alle FARC-EP, di mettere da parte i loro vari disaccordi e di adempiere ai loro obblighi, Ana Sofía Martínez ha detto di sentirsi: stanca, triste e infelice . “Stanca della burocrazia e dei protocolli; triste perché i fatti di sparizione continuano a verificarsi e le garanzie che lo Stato dovrebbe dare, per fare un passo verso il post-conflitto, in realtà non vengono date e sono sempre più lontane”.

Un altro partecipante è stato padre Francisco de Roux, presidente della “Commissione per il chiarimento della verità”, che ha elencato i passi positivi che sono stati fatti finora da una parte e dall’altra, ma ha sottolineato che purtroppo non sono ancora stati compiuti, nel paese, i passi necessari per quella che ha descritto come “la grande pace”, una pace che è prima di tutto interesse delle varie parti.

All’evento hanno partecipato anche l’ex presidente Juan Manuel Santos e l’ex comandante delle FARC Rodrigo Londoño, i firmatari dell’accordo di pace, e l’attuale presidente Iván Duque, nonché l’attuale giudice speciale per la pace, Eduardo Cifuentes Muños, e altri attori che hanno promosso le trattative che hanno portato all’Accordo. Tutti hanno riconosciuto che ci sono ancora molte sfide, ma hanno sottolineato che il processo di pace continua ad andare avanti.

Guterres, incontrando le vittime del conflitto, ha affermato: “Voi rappresentate la ragione più importante della presenza dell’ONU in Colombia. Quando parliamo di pace e quando parliamo di guerra, non parliamo di concetti astratti, parliamo di persone che soffrono, di coloro che sono morti, delle loro famiglie e dei loro amici. È molto difficile per me esprimere ciò che sento, una profonda solidarietà. Niente può ripristinare ciò che avete perso e mi scuso umilmente per non essere stato in grado di fare di più. Sono qui per ascoltarvi e per sentire ciò di cui hanno bisogno le Nazioni Unite”. Successivamente, per circa un’ora, Guterres ha ascoltato le testimonianze agghiaccianti delle vittime del conflitto che hanno ringraziato il Segretario Generale dell’ONU, chiedendo all’Organizzazione di non lasciarle sole.




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