mercoledì 8 gennaio 2020 - Phastidio

I centri per l’impiego? Una bolgia, anzi una bolgetta

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

sulla capacità di gestire informaticamente e telematicamente le comunicazioni con i beneficiari del Reddito di cittadinanza Ella ha già poco tempo fa ospitato questi pixel

C’è da osservare che la legislazione vigente fa tutto quel che è possibile per non consentire ai centri per l’impiego di concentrarsi su quello che dovrebbe essere il loro compito principale: attivare le persone lontane dal mondo del lavoro, aiutandole concretamente a cercare un lavoro, e al contempo andare verso le imprese per provare a far sì che manifestino i loro fabbisogni lavorativi, per incrociare le opportunità.

Il meccanismo della “condizionalità”, cioè l’applicazione di sanzioni crescenti sull’ammontare percepito, relativamente al Reddito si è attivato. E i centri per l’impiego, più che cercare lavoro ai beneficiari, ora sono dei convocatorifici, preminentemente impegnati a convocare i beneficiari e a segnalare all’Inps se per caso non si presentino alle varie convocazioni, in modo che scattino le decurtazioni. Immaginare che l’Inps si collegasse direttamente alle banche dati dei centri per l’impiego per verificare le agende e gli esiti degli appuntamenti, saltando il passaggio della selezione non era possibile, a causa della nota frammentazione dei sistemi informativi, tale da non permettere dialoghi semplici ed efficaci tra i vari applicativi.

Pur zoppicando, la condizionalità sta prendendo piede anche nei confronti dei percettori della Naspi. Si prevedono decurtazioni crescenti (una mensilità, poi due mensilità, poi la decadenza dal beneficio) anche nei confronti dei percettori di Naspi che non si presentino alle convocazioni concordate, oppure non seguano secondo i canoni fissati i programmi di ricerca di lavoro o rifiutino le famose offerte congrue di lavoro.

Ora, Titolare, per il Reddito di Cittadinanza, è operante, pur tra le difficoltà operative segnalate, un metodo per le convocazioni piuttosto logico e semplice: il molto opportuno articolo 4, comma 15-quinquies del d.l. 4/2019, convertito in legge 26/2019, dispone che

“La convocazione dei beneficiari da parte dei centri per l’impiego e dei comuni, singoli o associati, può essere effettuata anche con mezzi informali, quali messaggistica telefonica o posta elettronica, secondo modalità definite con accordo in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”

Quindi, per il Reddito di cittadinanza i centri per l’impiego possono convocare i beneficiari con sms o mediante mail ordinaria, non essendo necessaria la posta certificata.

Come dice, Titolare? La stessa idea, quindi, sarà utilizzata anche per convocare i percettori della Naspi? Magari…

Sarebbe stato logico e utile. Ma, ovviamente, non è così. Perché la normativa riguardante la “condizionalità” dei percettori di Naspi non dispone di una regola esplicita analoga a quella vista prima per i percettori del Reddito.

Dunque, la convocazione come avviene? Lo spiega la recente deliberazione 54/2019 dell’Anpal. Ai fini della regolarità delle chiamate dei lavoratori da parte dei centri per l’impiego si considerano valide:

  1. le convocazioni tramite posta elettronica certificata; ed è ben noto che solo una strettissima minoranza dei disoccupati in cerca di lavoro (ma, si potrebbe dire, dei cittadini italiani in generale) possiede un indirizzo di Pec;
  2. le convocazioni concordate tra operatore del centro per l’impiego e utente, in presenza dell’utente stesso che deve sottoscrivere l’accordo sulla data di convocazione: insomma, per fare una convocazione, occorre convocare l’utente da convocare successivamente…;
  3. le convocazioni mediante raccomandata con ricevuta di ritorno.

La delibera citata non ammette alcun’altra forma: niente sms e niente mail ordinaria, quindi. Ora, per quale misteriosa ragione la percezione del Reddito possa essere soggetta alla condizionalità sulla base di convocazioni telematiche semplici ed ordinarie, mentre la percezione della Naspi no, sfugge ai più.

Ma, Titolare, non è tanto questo il problema. Come Ella avrà intuito, prevedere che le convocazioni si effettuino in gran parte – per ovvie ragioni – mediante raccomandate con avviso di ricevimento implica inchiodare i centri per l’impiego allo svolgimento di attività solo amministrative, che con l’attivazione dei disoccupati hanno poco a che fare.

Chiunque sa quali forche caudine occorra superare per inviare le raccomandate, anche se sono poche. Ma, su 3 milioni circa di disoccupati, quasi la metà sono percettori di Naspi. Dunque, il sistema dei centri per l’impiego dovrebbe teoricamente inviare almeno 1,5 milioni di raccomandate l’anno per sollecitare la condizionalità. Al costo medio di 5 euro, si tratterebbe intanto di avviare una spesa pubblica di 7,5 milioni circa.

Ma, oltre ai costi finanziari, ovviamente vi sono anche quelli gestionali. Le già citate forche caudine per spedire le raccomandate col piano “business” tramite la “bolgetta” (e accostare il “business” alla “bolgetta” è già di per sé arte d’avanguardia) non è impresa da poco. Basti dare una veloce occhiata al semplice e leggibilissimo manuale dell’utente allestito dalle Poste Italiane: solo 100 pagine, per illustrare il processo di creazione, gestione e spedizione delle raccomandate.

Alcune centinaia di dipendenti dei centri per l’impiego in tutta Italia, dunque, viste le rigorose indicazioni dell’Anpal, indotte dall’assenza di una norma come quella prevista per il Reddito, debbono dedicarsi a compilare distinte, riempire bolgette e recarsi agli uffici postali, oppure concordare con essi l’acquisizione della bolgetta col sistema “pick up”. La ricerca di supporti ai disoccupati, nel frattempo, tra l’aggiornamento dei “conti di credito” e la compilazione delle raccomandate, può attendere.

Per quale misteriosa ragione invii massivi di comunicazioni tra i centri per l’impiego e milioni di persone in cerca di lavoro debbano fluire con sistemi obbligatori 25 anni fa in assenza di strumenti telematici, ma oggi assolutamente obsoleti è un mistero irrisolvibile.

Il bello è che il disoccupato, caro Titolare, ai sensi del Jobs Act (d.lgs 150/2015) non è semplicemente la persona priva di lavoro, ma chi, privo appunto di lavoro, si obblighi a cercarlo attivamente, sottoscrivendo con i centri per l’impiego un “patto di servizio” contenente le modalità vincolanti per cercare e rendersi reperibile alle sollecitazioni dei mediatori.

Se, quindi, la disoccupazione sul piano amministrativo è subordinata alla sottoscrizione di una sorta di contratto tra persona e centro per l’impiego, non si capisce per quale ragione tra le obbligazioni a carico della persona non possa esservi quella del conferimento di un numero di cellulare e di una mail anche ordinaria, indicati espressamente come canali di comunicazione ai quali il disoccupato è obbligato a riferirsi, restando a suo esclusivo rischio la mancata ricezione delle comunicazioni delle quali i centri per l’impiego possano fornire prova dell’effettivo invio.

Si risparmierebbero moltissimi soldi e, soprattutto, adempimenti operativi di utilità oggettivamente di molto inferiore allo zero.

Il massimo sarebbe se i sistemi informativi permettessero che al momento della registrazione della persona come disoccupato si generasse un domicilio digitale, una sorta di centro per l’impiego on line, personale per il disoccupato, nel quale collocare tutte le comunicazioni tra centro per l’impiego e destinatario, con piena prova di trasmissione e ricezione.

In attesa di queste “rivoluzionarie” azioni di semplificazione, già in uso da tantissimo tempo nelle negoziazioni tra privati, caro Titolare, godiamoci le bolgette e le “bolgiette” nelle quali è immersa la PA.




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