martedì 1 ottobre 2024 - Giovanni Greto

I Leoni della Biennale Danza – d’Oro e d’Argento – ma non solo

Grande successo per il 18-esimo Festival Internazionale di Danza Contemporanea : un incremento di spettatori (17659 le presenze registrate) del 47% rispetto alla scorsa edizione

 

We Humans, questo il titolo del Festival, scelto dal Direttore artistico, il coreografo britannico Wayne McGregor (Stockport, 1970) – che poco prima dell’inizio si è visto prorogare il mandato per il biennio 2025 - 2026 – è stato un festival epico, che ha esplorato la natura stessa di ciò che significa essere umani… Tutti gli artisti e le compagnie di quest’anno hanno adottato il mezzo della danza come atto filosofico di comunicazione, mettendo alla prova i fondamenti della nostra conoscenza, sfidando le nostre nozioni di realtà ed estendendo la comprensione della nostra esistenza. Attraverso il loro lavoro ci sollecitano a chiederci da dove NOI veniamo e dove siamo diretti, sondando il fulcro dell’essenziale, il cosa e il perché della sensibilità.

In una soleggiata mattinata, nella sala delle Colonne di Ca’Giustinian sono stati consegnati i Leoni.

Ad una davvero emozionata Cristina Caprioli (Brescia, 22 ottobre 1953) il Presidente della Biennale ha conferito la statuetta dorata, Leone d’oro alla Carriera, mentre il Direttore del settore Danza ha letto la lunga motivazione : Danzatrice, coreografa, teorica sperimentale, accademica e curatrice, Cristina Caprioli si fa portatrice di un’idea di coreografia come “discorso critico in continuo movimento”, in cui l’atto creativo non è mai disgiunto dalla riflessione ed è, anzi, un pensiero che si interroga sul fare danza nel momento stesso in cui la danza si genera. Figura di primo piano della scena scandinava, la portata internazionale del pensiero di Cristina Caprioli e della sua opera, ha silenziosamente e sostanzialmente influenzato più generazioni di coreografi durante i suoi tre decenni di ricerca critica sul corpo. A metà degli anni Novanta Caprioli ha fondato l’organizzazione indipendente ccap (Cristina Caprioli artificial projects) con la quale ha prodotto un’ampia gamma di performance, installazioni, film, oggetti, pubblicazioni e altre coreografie, oltre a progetti di ricerca interdisciplinari a lungo termine. La coreografia di Caprioli è caratterizzata da precisione, complessità e forme nuove di virtuosismo fisico. Tutte le sue produzioni sfidano le regole e le economie di scambio del settore; le basi filosofiche del suo canone hanno bilanciato ricerca concettuale rigorosa ed esperienza concreta coinvolgente e altamente praticabile. L’impegno di Caprioli per l’avanzamento e lo sviluppo della nostra forma d’arte è stato fonte di ispirazione per il settore e il suo approccio sotto traccia a tutto ciò che intraprende non fa che evidenziare la qualità eccezionale e l’integrità di un processo creativo a 360 gradi.

Ed ecco il discorso dell’artista, letto in inglese, che così si definisce : “io non sono una coreografa. Io lavoro con la coreografia”.

Quattro giorni dopo l’annuncio, camminando per strada, un fervore in tutto il mio corpo. Non ho bisogno di difendere il mio lavoro. L’adrenalina è durata un millisecondo, ma è stata bellissima e profondamente rassicurante. Così insolito che non riuscivo a dargli un senso. Poi ho fatto altri due passi e ho capito che tale comodità è incompatibile con il lavoro. Il lavoro è quello che deve essere, un ottovolante in dubbio senza un piano di riserva. Di conseguenza, il mio compito è quello di sostenere l’incertezza e mantenere viva una situazione di stallo. Urgenza, cura, incoscienza e meno ego appiccicoso possibile. Se non altro, questo premio mi ha ricordato il mio privilegio.

Chiaramente questo Leone conferma il mio privilegio, gli fa osare un nuovo ‘salto di fiducia nel vuoto’. Ma nessun “salto” garantisce in alcun modo un atterraggio. Né può rivendicare nulla che il passo non abbia già guadagnato. Così, LEONE e tutto il resto, continuerò a lavorare sapendo che ogni mossa deve portare avanti le proprie prove, testimoniare e provare, spiegare, argomentare ed essere costantemente difesa. In modo che qualcosa (una danza?) possa mettersi in mostra senza dover indicare la propria giustificazione.

Oggi è una giornata straordinaria. Una giornata che condivido con tantissimi collaboratori. Ballerini, amministratori, tecnici, designer, compositori e tutto il resto. Ogni giorno sono benedetta dalla vostra fiducia, ogni giorno il lavoro prende vita grazie al vostro inestimabile contributo. E tutti i pensatori, poeti e scrittori, vivi e morti, colleghi ballerini per procura le cui parole continuano ad alimentare e sfidare ogni mia mossa. Grazie a tutti per avermi tenuto al sicuro. Un ringraziamento speciale va a te, Anna, per il tuo interesse per tutta la vita, il tuo sostegno eterno e il tuo lavoro instancabile. E a tutti i colleghi e il pubblico che investe il proprio tempo e la propria attenzione nella nostra danza. Sono stati decenni di unione. Sono qui oggi grazie a voi. Oggi vengo celebrata ma questo Leone appartiene a tutti noi.

E a una manciata di grandi registi che nel corso degli anni hanno avuto fiducia nei miei enigmi e portato avanti le mie misere ossa. Grazie, Jan, Ismael, Hannes, Efva e Virve! Tre volte mi hai portato in prima linea, tre volte mi sono inerpicata al tuo fianco. E ora Wayne! Come hai potuto? Capisci cosa hai fatto? Eminenza, Direttore Artistico Sir Wayne McGregor (è stato nominato baronetto da Re Carlo III lo scorso giugno, ndr.), che magnifico esemplare umano sei. Premuroso, attento, ben vestito, eloquente, veramente curioso, veramente premuroso. E audace. Ti sono grata oltre misura. E non dimentichiamo lo staff, il team, l’equipaggio DMT (il settore danza, musica, teatro della Biennale, ndr.): tutti voi che garantite che la danza venga servita e protetta con gentilezza e efficacia. Lavorare con voi è un piacere, e un altro privilegio.

Sono onorata di questo premio. E davvero sorpresa. Mai in vita mia avrei immaginato di ricevere un simile riconoscimento. Io, così intrinsecamente marginale, assolutamente precaria. Deliberatamente estranea al valore di mercato, in nome della perseveranza sotto copertura, tutto il mio tempo lo dedicavo ad un oggetto difficile, coltivando un rapporto diretto con l’inafferrabile.

Mi inchino al Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco e al Consiglio di Amministrazione della Biennale, il cui sostegno alla mia candidatura segna un salto radicale in un presente critico. Sono impressionata dal vostro rigore, per aver osato darmi fiducia. E prometto: avrò la massima cura di questo Leone e onorerò la vostra fiducia con la mia danza migliore.

Oggi è una giornata straordinaria.
Sono immensamente grata e profondamente commossa.

Poco prima era stato consegnato il Leone d’Argento a Trajal Harrell (1973, Douglas, Georgia), il quale era già stato invitato due anni fa alla Biennale Danza con Maggie the Cat lavoro che prendeva spunto dal testo di Tennessee Williams per interrogarsi su potere, gender, intolleranza, inclusione.

Ecco come recita la motivazione del premio : Laureato alla Yale University, al Centre national de la danse (Yvonne Rainer) e alla Martha Graham School of Contemporary dance, la ricerca fondamentale di Trajal Harrell si basa su una ricca conversazione tra la danza postmoderna, la scena del voguing newyorkese (disciplina nata nei locali gay frequentati da latinoamericani e da afroamericani già dai primi anni sessanta, il Voguing consiste, in origine, nell’imitare con gesti angolari e fluidi le pose plastiche dei modelli che appaiono nelle sfilate, simboleggiate dalle copertine del noto magazine americano di moda Vogue, da cui la danza prende il nome, ndr.) e la danza giapponese Butoh. Il suo lavoro re-immagina il nostro passato incurante della distanza cronologica, geografica e culturale, portando le sue performance in luoghi dedicati tanto alle arti visive quanto allo spettacolo dal vivo. Harrell utilizza gli strumenti del pensiero critico, in particolare la ricerca sul genere, il femminismo e il post-colonialismo, per esplorare le sue approfondite acquisizioni di storia dell’arte e della danza. Frutto di una vasta ricerca, le sue performance sono come tanti oggetti sensibili, ibridi e gioiosi che attingono in egual misura alla moda, alla cultura pop e agli artisti d’avanguardia. È in questo mix unico di generi, nella sorprendente giustapposizione di forme e nella vastissima gamma di emozioni che il lavoro di Harrell coinvolge e appassiona. Ridiamo con la stessa rapidità con la quale piangiamo, in un ottovolante di emozioni.

Nel programma, di Harrell si sono viste due opere di grande impatto emotivo per ambienti diversi : Sister or He Buried the Body, cui non ho assistito. E’ un assolo ferocemente personale, eseguito dallo stesso Harrell in un contesto intimo e ravvicinato ;

Tambourines, alle Tese dei Soppalchi, dura 70 minuti ed è diviso in tre sezioni : Fornication, Education, Celebration, in un continuo, abbastanza rapido, di cambiarsi d’abito. Interpretato assieme a sei danzatori dello Schauspielhaus Zurich Dance Ensemble, ispirato al romanzo La lettera scarlatta (1850) di Nathaniel Hawthorne, Tambourines è la dedica che Trajal Harrell fa a tutte quelle donne che in passato non hanno potuto decidere del proprio corpo. Riscrive la storia di Hester Prynne, condannata nel romanzo a indossare la lettera scarlatta (la A di adulterio), per aver avuto una bambina fuori dal vincolo matrimoniale, immaginando un finale alternativo. E se i concittadini avessero sostenuto Hester anziché giudicarla? E se la bambina fosse stata accolta con gioia?

Trajal Harrell è ottimista e immagina una danza celebrativa . E’ uno spettacolo femminista, a lungo immaginato dal coreografo statunitense, e una riflessione sul genere, la storia e le costrizioni sociali.

Della Caprioli sono stati presentati tre dei suoi lavori più recenti e stimolanti : Deadlock, Silver e Flat Haze. Ho assistito alla prima parte di quest’ultimo - una maratona di nove ore alla Sala d’Armi dell’Arsenale - danzato dalla Caprioli in uno spazio-installazione, che consiste di due parti, in cui esprimersi, delimitate da una serie di filamenti (nylon?) semitrasparenti, che si illuminano in rapporto alla luce che proviene dall’esterno.

Vestita di nero, a piedi nudi, i capelli raccolti che a un certo punto si scioglieranno, lentamente percorre i due spazi, con movimenti verticali che sembrano una ginnastica artistica e orizzontali con lunghi e rapidi scuotimenti di testa. In sottofondo, musica elettronica. Contemporaneamente, in fondo alla sala, una collega legge un testo sul significato della danza. Dopo molto tempo si alzerà dal tavolo in cui sedeva e inizierà anche lei a fare dei movimenti. La Caprioli esce dal “palcoscenico”, raggiunge il tavolo dove la collega era impegnata nella lettura. Dopo un po’ si dirige verso un ventilatore, che simula un rumore di vento e che gli fa svolazzre i capelli e lo sposta. La performance dura poco più di 40 minuti e ad ogni ora va in scena una coreografia diversa.

Ho visto altri due spettacoli, che mi sono piaciuti di più.

Behind the South : Dances for Manuel, accolto da ovazioni al teatro Piccolo Arsenale, ha visto protagonista la compagnia afrocolombiana Sankofa Danzafro, diretta e fondata nel 1997 dal coreografo Rafael Palacios, che si prefigge di esplorare, preservare e promuovere il patrimonio culturale afrocolombiano, a rischio sparizione, poiché espressione di una minoranza etnica.

Lo spettacolo, in prima europea, è un omaggio allo scrittore colombiano Manuel Zapata Olivella e alla sua opera più famosa, Changò, el gran putas. Riprende la struttura del romanzo in cinque atti e racconta in un susseguirsi di nascite miracolose, ribellioni e presagi, il tentativo di mantenere vivo il legame con la propria terra durante la dolorosa diaspora africana.

La cosa più bella è stata la presenza di tre esperti percussionisti - Juan José Luna Coha, Gregg Anderson Hudson Mitchell, Feliciano Blandón Salas - che hanno dato vitalità alla narrazione e, presumo, abbiano stimolato i 13 danzatori che, ad un primo ascolto, sembra abbiano proposto alcune ritualità della religione Yorubà, anche perché rimanga in vita assieme alle molte tradizioni delle numerose culture latinoamericane. Lo spettacolo ha fatto altresì riferimento a presagi avventati, nascite miracolose e ribellione libertaria, mettendo in mostra il dolore per la perdita del legame con la madrepatria e la nostalgia del non ritorno. Concordo con il motto della compagnia : la nostra è una danza per essere ascoltata e non per essere vista.

C’è teatro, musica e danza in Ruination : The true Story of Medea, ossia una rivisitazione romanzata, in chiave musical – qualcuno ricorda il quartetto Cetra della TV italiana in bianco e nero ? - della tragedia di Euripide, a cura del coreografo Ben Duke, regista della compagnia di danza del Regno Unito Lost Dog. In sintesi la trama :
È una giornata di lavoro come un'altra per Ade e Persefone. Nella sala d’attesa dell’aldilà sono tante le questioni da risolvere: moduli da compilare, carte da firmare, decisioni da prendere. I due stanno litigando, come sempre, quando Giasone arriva chiedendo la piena custodia dei figli, che ritiene essere stati uccisi dall’ ex moglie Medea. Subito si convoca una corte di giustizia: ci sono prove, testimoni e due versioni molto differenti della storia da ascoltare, quella di Giasone e quella di Medea. Dark comedy esilarante, lo spettacolo, una coproduzione con il Royal Ballet di Londra, mescola movimento, musica dal vivo e testo per raccontare una storia familiare di vendetta, noia, sesso, tradimenti e assassini in cui gli eroi possono essere anche malvagi .

Bravissimi i sei danzatori e sorprendente la qualità di tre musicisti, tra cui una pianista e una cantante, per una storia irriverente, in cui la verità non viene mai a capo.

Conclusione con la prima coreografia firmata da Wayne McGregor per il festival, We Humans are Movement, commissionatagli dalla Biennale stessa. L’autore lo ha concepito come un lavoro per uno spazio specifico, la Sala Grande del Palazzo del Cinema del Lido. Protagonisti 16 allievi della Biennale College in interazione con nove professionisti della Company Wayne McGregor.

Un progetto di forte impatto emotivo e ad alta tecnologia – video proiezioni di Ben Cullen Williams ; musica elettronica di Benji B ; luci, anche stroboscopiche, di Theresa Baumgartner – che si è proposto di celebrare il movimento nel cuore stesso del cinema, dell’architettura e della nostra esperienza umana.

Un pubblico in prevalenza giovanile, ha stipato la storica sala , partecipando con applausi, grida ad un lavoro che ha messo in mostra soprattutto una capacità di muovere il proprio corpo, mentre è mancata la componente emotiva, legata al movimento.

Felicità nei volti degli allievi, per un debutto in un luogo che ha visto nei secoli la presenza di “divi” cinematografici indimenticabili.




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