mercoledì 24 luglio 2024 - Giovanni Greto

I Leoni – d’argento e d’oro – della Biennale Teatro 2024

Stefano Ricci e Gianni Forte si sono congedati dal loro mandato con un cartellone di 16 spettacoli in 15 giorni.

Come sempre, anche la 52esima edizione del Festival internazionale del Teatro della Biennale di Venezia, intitolata Niger et Albus, è stata molto seguita, in particolare da un pubblico giovane, che si è gettato a capofitto nello studio dell’arte teatrale, con la speranza di diventare, il più in fretta possibile, un attore/attrice affermato/-a e di continuare, a Dio piacendo, fino al crepuscolo della vita, a fare il proprio mestiere.

Nella Sala delle Colonne di Ca’Giustinian, i due direttori del settore Teatro hanno letto, metà ciascuno, la lunga motivazione del premio al Collettivo artistico Gob Squad, nato a Nottingham nel 1994 e incoronato a Documenta X di Kassel solo tre anni dopo.

Ogni spettacolo è assolutamente un unicum. Tutto può succedere, e di solito succede di tutto. Ballati, suonati, cantati, i loro lavori sono un’occasione irripetibile per condividere passioni e desideri. Le loro personali esplorazioni, definite Life Art, sono permeate da un’acuta visione della società, in relazione all’esistenza urbana contemporanea, dove autenticità e illusione, utopia e banalità, immediatezza e macchine teatrali, vita reale e media, entrano continuamente in rotta di collisione. Così, improvvisando, servendosi sia in teatro che in ambiti site – specific delle quattro R, ovvero i quattro passe – partout (Rischio, Regole, Ritmo, Realtà) per sviluppare strategie inaspettate, sorprendersi, sfidare loro stessi e saper reagire agli eventi casuali all’interno di una drammaturgia, giocando con la percezione di ciò che è familiare e trasformando la vita quotidiana in un’epopea, i Gob Squad offrono al pubblico la possibilità di brillare come testimone diretto e attore principale di questo rito.

Hanno tenuto a precisare che Noi siamo un collettivo. Non comanda nessuno. Siamo tutti capi. Quando abbiamo incominciato, 30 anni fa, fin dal primo giorno il nostro sogno era il collettivo… Il premio non va soltanto a noi, ma si allunga agli artisti ospiti e ai tecnici : a chi era per strada e ha cambiato quello che stava facendo perché in noi c’è la speranza che cambiare il mondo in meglio sia ancora possibile.

Quanto alla presenza e al ruolo della telecamera, è come un filtro, una cornice, che ci ha aiutato a uscire per strada, a parlare ai passanti ed è utile per l’inquadratura.

I sette membri principali – Johanna Freiburg, Sean Patten, Sharon Smith, Berit Stumpf, Sarah Thom, Bastian Trost e Simon Will – condividono ogni responsabilità lavorando congiuntamente a ideazione, regia e performance delle loro opere. Altri artisti vengono chiamati a collaborare per progetti particolari. I Gob Squad cercano di esplorare il punto in cui il teatro incontra l’arte, i media e la vita reale. Il risultato, imprevedibile, è catturato dal video. Oltre ai teatri e alle gallerie, i Gob Squad presentano il loro lavoro nel cuore della vita urbana : case, negozi, stazioni della metropolitana, parcheggi, hotel, o direttamente per strada. Spinti da un desiderio di esperienza collettiva e di un rapporto autentico, i Gob Squad cercano un incontro con gli spettatori e i passanti che vada oltre il tradizionale ruolo passivo del pubblico.

A Venezia hanno inaugurato il festival con una delle loro più intriganti video installazioni (video multischermo) Elephants in Rooms, ovvero 14 finestre sul mondo, esposta lungo tutta la durata del festival al padiglione 30 di Forte Marghera.

Nei popolari sceneggiati storici, televisivi e cinematografici, c’è quasi sempre un momento in cui il protagonista o la protagonista va alla finestra e guarda il mondo esterno. Questo momento si verifica spesso quando il personaggio è colto dalla necessità di contemplare il proprio posto nel mondo. Elephants in Rooms prende questo momento e lo espande giocosamente in diversi cicli estesi di una struttura coreografata dalle configurazioni apparentemente infinite. L’opera è eseguita da una sorta di coro di 14 performer, al confino dietro le loro case. I video sono stati filmati con i loro telefoni a Bangalore, Bayrischzell, Berlino, Mumbai, Brandeburgo, Devon, Fuerteventura, New York, Shanghai, Sheffield e Shenzhen. Il tramonto è stato ripreso a Plymouth Sound, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, porto da cui le navi salpano, fin dal XVII° secolo, per esplorare e conquistare il mondo.

Lo spettacolo Creation (Pictures of Dorian), è stato presentato al teatro Piccolo Arsenale in due repliche. Si tratta di una originale riflessione sulla gioventù e lo scorrere del tempo, tra l’arte , la vita e il culto della bellezza. Quattro interpreti del collettivo vengono affiancati sul palco da un gruppo eterogeneo di performer locali, più giovani o più anziani di loro di una generazione : Alessandro Bressanello, Guido Laurjni, Manuel Nakhil, Margherita Piantini, Pierandrea Rosato, Yoko Yamada. L’obiettivo è guardare oltre lo specchio della vanità e cercare risposte alle domande sulla bellezza, la moralità, l’invecchiamento e il potere, chiedendosi perché desideriamo tanto esssere guardati : forse per un innato istinto esibizionistico?

Il progetto si ispira a Dorian Gray, il personaggio wildiano che si intromette in quello che è il dominio degli dei con l’aiuto di un quadro magico : arresta il processo di invecchiamento e rimane giovane e bello per sempre, ma a un costo altissimo. Ma cosa succede quando le luci della ribalta ci vengono negate per sempre?

Non c’è stata noia nei 110 minuti tracorsi ad ascoltare i bilanci (degli attori anziani) e le aspettative (di quelli giovani). Tutti i personaggi selezionati, istruiti in soli due giorni, hanno mostrato una sincera disponibilità a raccontare le proprie storie, con una componente improvvisativa emersa ad ogni serata.

Uno spettacolo difficile da vedere nella programmazione dei teatri stabili, Food Court ha mostrato come lavora – e lo fa dal 1987 – la compagnia Back to Back Theatre, che si è aggiudicata il Leone d’oro.

In poco più di un’ora i cinque interpreti scelgono di rappresentare l’umiliazione di una donna attraverso un episodio di bullismo, che fortunatamente è sconfitto da una ribellione meditata che porterà alla sua rinascita.

La sintetica fraseologia delle due attrici cattive verso una silenziosa e passiva buona è sottolineata dalla musica improvvisata – diversa per ogni rappresentazione – del trio The Necks : Chris Abrahams, piano ; Lloyd Swanton, contrabbasso ; Tony Buck, batteria e piccole percussioni, che esegue una specie di colonna sonora, quasi a commentare un silent Movie.

Applausi convinti da parte del pubblico e sorrisi nel volto degli interpreti, ripetuti due giorni dopo nella mattutina cerimonia di premiazione a Ca’Giustinian, dove il regista Bruce Gladwin ha detto che vincere il Leone d’oro è come vincere una medaglia alle Olimpiadi. Come sempre, il critico e drammaturgo Andrea Porcheddu ha stimolato con domande semplici ma dirette la sensibilità della compagnia, che ha sede a Geelong, centro dello stato australiano di Victoria. L’ensemble attoriale, affetto da disabilità cognitiva e neuro divergenze, è considerato fra i maggiori rappresentanti del teatro australiano. Secondo la coppia Ricci-Forte, che ha letto con emozione la lunga motivazione, i Back to Back Theatre espongono la vulnerabilità degli organismi per amplificare il senso di una comunicazione che limita, che impedisce… Una parabola visionaria di comunicazione che disintegra con ferocia poetica ogni pregiudizio, ogni stigma di compassione : se il corpo ha limiti espressivi, tali demarcazioni in scena diventano a loro volta grammatica differente. Le nostre paure, le puritane tolleranze, la cecità morale vengono soffiate via dalle fiabe crudeli dei mondi perigliosi dei Back to Back Theatre, dove la diversità è portatrice di amplificazione di conoscenza, di inclusione, per curare le deformità di consapevolezza di noi apparentemente abili… Perchè qualunque limitazione una persona possa sentire, spetta a noi in quanto consorzio umano il doverla rimuovere ; questo fa la cultura, questo è il teatro da meritare, questo e molto altro è il Back to Back Theatre.

Interessante, Medea’s Children, alle Tese, l’ultimo lavoro, rappresentato per la prima volta in Italia, prodotto da NTGent e coprodotto, tra gli altri, anche da La Biennale di Venezia, del regista, critico televisivo, docente e scrittore estremamente prolifico Milo Rau (Berna, 25 gennaio 1977).

All’incrocio tra analisi accademica e prassi artistica, Milo Rau è esponente del cosiddetto teatro postdrammatico - secondo una fortunata formula nata in Germania - che sovverte le regole del fare teatro. Della storia, soppiantata dalla realtà, si portano in scena interi pezzi e i suoi reali protagonisti, per arrivare all’utilizzo di indagini e documenti autentici che fanno dello spettacolo, una sorta di docu-drama che prende spunto da problemi reali, fatti concreti che accadono in luoghi specifici nelle diverse parti del mondo, ma che alla fine ci riguardano tutti, creando situazioni al limite tra spettacolo e indagine sociale, arte, politica e cronaca giornalistica.

Medea’s Children è uno spettacolo che completa la trilogia dedicata alla tragedia greca, intrecciando cronaca (il caso Lhermitte) e mito attraverso lo sguardo delle giovani vittime.

Il 28 febbraio 2007 a Nivelles, un piccolo centro 50 chilometri a sud di Bruxelles, Geneviève Lhermitte uccise a coltellate, uno dopo l’altro i suoi cinque figli, di 15, 12, 10, 7 e 3 anni, nelle rispettive stanze, approfittando dell’assenza del marito, che era in viaggio all’estero. Cercò poi, senza successo, di suicidarsi, lasciando un biglietto per la richiesta di soccorsi. Condannata all’ergastolo nel 2008, le fu accordata la morte per eutanasia il 28 febbraio 2023.

Questa tragedia moderna si intreccia con quella classica di Medea, il più famoso caso di conflitto relazionale e infanticidio della letteratura occidentale.

Con Medea’s Children, Milo Rau presenta un nuovo e approfondito sguardo sul ruolo dei bambini nel teatro. Il regista chiede a sei bambini, tutti d’età compresa tra i 10 e i 14 anni, di raccontare il proprio punto di vista sui grandi temi che la storia di Medea contiene: i rapporti familiari, il primo amore, il primo incontro con la morte, i desideri, la paura della fine del mondo.

Medea’s Children è un piccolo saggio di storia del teatro e al contempo una lezione di vita: Tutte le belle storie finiscono in orrore e morte. Che importa allora, se un’opera è appena stata recitata o se dobbiamo ancora imparare le nostre battute?

I bambini, in maniera naturale e spigliata, prendono il caso di cronaca nera, assieme alla storia di Medea, come un’occasione per riflettere su loro stessi : sulla storia della famiglia, sul primo amore ; sui primi incontri con la morte ; sui desideri per il futuro e sulle paure legate alla fine del mondo, che condividiamo tutti.

Come un bambino affronta il divorzio dei genitori? Come affronta l’ingiustizia, la rottura di un’amicizia, che magari sembrava indistruttibile, lo stress della scuola? Come affronta la forza radicale di Medea e, in generale, la tragedia? Finalmente i figli, condannati nelle tragedie classiche a rimanere in silenzio, questa volta possono dire la loro opinione : una piccola lezione di storia del teatro e una scuola di vita, tanto crudele, quanto poetica.

Bravissimi, quasi attori consumati, vivaci e incontenibili nell’eloquio e nella gestualità, stimolati dall’unico attore adulto Peter Seynaeve, che li aveva istruiti nella preparazione e che domanda ad ognuno di loro di raccontare le esperienze personali durante la lavorazione della pièce, che si sviluppa in diversi episodi video proiettati alle loro spalle.

Lunghi applausi di un folto pubblico , divertito e affascinato.

Una settimana dopo la conclusione del festival l’ufficio stampa del settore dmt (danza, musica e teatro) ha inviato un comunicato nel quale si annuncia che Willem Dafoe (Appleton, USA, 22 luglio 1955) è il nuovo direttore artistico del settore Teatro per il biennio 2025-2026.

Di seguito, le dichiarazioni del presidente della Biennale e del famoso attore cinematografico.

È un onore poter annunciare la nomina di Willem Dafoe a Direttore della Biennale Teatro – ha dichiarato Pietrangelo Buttafuoco. Il teatro è di fatto la casa originale della sua luminosa carriera. Tra i fondatori del leggendario Wooster Group nel 1977, nel perfetto controllo del suo corpo scenico ci sono sempre state la disciplina, la conoscenza, la passione e la profonda consapevolezza del teatro. Non vedo l’ora, come tutti, di poter essere spettatore del Festival che costruirà da Direttore Artistico e - dalla sua cattedra di assoluto maestro - vedere crescere nell’arte, le ragazze e i ragazzi del College di teatro”.

“Sono stato prima sorpreso e poi felice di ricevere l’invito di Pietrangelo Buttafuoco come Direttore del Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia 2025-2026” – ha risposto Willem Dafoe. Sono consapevole di essere noto come attore di cinema ma io sono nato in teatro, il teatro mi ha formato e mi ha scosso. Sono un animale da palcoscenico. Sono un attore. Il teatro mi ha educato all’arte e alla vita. Ho lavorato con il Wooster Group per ventisette anni, ho collaborato con grandi registi da Richard Foreman a Bob Wilson. La direzione del mio programma Teatro sarà tracciata dalla mia formazione personale. Una sorta di esplorazione dell’essenza del corpo.

Dafoe sarà presente a Venezia anche nel cast del film di apertura della prossima Mostra del Cinema, Beetlejuice Beetlejuice, di Tim Burton.

Intanto, è da poco iniziata We Humans, la 18esima edizione del festival internazionale di danza contemporanea (conclusione il 3 agosto), firmata da Wayne McGregor (Stockpot, Gran Bretagna, 1970), che è stato da poco confermato anche per il biennio 2025-2026.

Riporto le dichiarazioni del presidente e del coreografo.

Wayne McGregor – afferma il Presidente Pietrangelo Buttafuoco - è riuscito a costruire per la Biennale Danza un progetto di grande respiro, mettendo in campo una sensibilità straordinaria che guarda con attenzione alle generazioni più giovani nella scena del mondo. Vederlo all’opera in queste ultime settimane, studiarne la stupefacente immaginazione e la fatica sua di Maestro nella esclusiva scuola qual è il College di Biennale Danza, mi ha permesso di capire che il suo lavoro merita altro tempo per consolidare pratiche e visioni importanti per la nostra istituzione. Con Wayne Mc Gregor, nel segno di un nuovo fatto d’arte, e ancora una volta qui a Venezia, ci siamo dunque dati appuntamento e sono perciò felice di annunciare la sua riconferma per il biennio 2025-2026.

Secondo Wayne McGregor è stato un grande onore e un piacere sotto il profilo creativo curare gli ultimi quattro anni della Biennale Danza. Un periodo in cui siamo riusciti a far crescere il Festival fino a farlo diventare un evento internazionale della durata di tre settimane, commissionando e invitando artisti straordinari provenienti da sei continenti che hanno entusiasmato e ispirato un pubblico sempre più numeroso. Nei prossimi due anni continueremo la nostra missione di investimento nei nuovi talenti della danza contemporanea, dando spazio alle loro voci attraverso Biennale College e i nostri programmi di formazione pensati ad hoc. Non vedo l’ora di lavorare con la brillante squadra della Biennale per portare avanti una visione potente e in continua trasformazione della danza oggi.

 

 




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