martedì 14 gennaio 2020 - angelo umana

Hammamet: gli ultimi giorni di Craxi

Un ragazzino impertinente ben vestito e pettinato tira con la fionda ai vetri della scuola (cattolica), è "la mano esperta di un ingenuo gradasso" della canzone di Lucio Battisti, ma è divertito, mostra determinazione nel suo viso, e scagli la prima pietra chi non si sia mai compiaciuto di un simile trastullo.

Subito dopo vediamo quel ragazzo fatto grande e famoso, declamare il pil che cresce nella nazione (1987) e onorare Pertini, che fà sempre chic e chiama il plauso, del resto tutte le "convenscion" - anche di partito - sono celebrative, riti e recite che si compiono, parole ben assestate e battiti entusiasti di mani, boati e ovazioni, di solito da gente interessata che si compiace di un capo così e che, ineludibilmente, gli dà ragione. E i garofani in una “convescion”, quale idea, che colore, che pensiero gentile! Dopo c'è una cena anch'essa celebrativa, chissà a spese di chi, tutti i salmi finiscono...a tavola.

Ma non è un film politico questo che ha girto Gianni Amelio, è sull'uomo, il suo destino e il suo declino, l'essere umano che inevitabilmente decrepisce (parola inventata). Riflette e scrive e parla, la dialettica non gli mancava e nemmeno il carisma, è il solito lottatore indomito ma coloro contro cui lotta sono fantasmi lontani, sono rimasti a Milano, Italia, quelli che lo accusarono e condannarono. Ed egli s'era preparata la via di "uscita", non si dica di "fuga" a un uomo di cotanta passata grandezza, un quasi statista: la sua dimora ad Hammamet, Tunisia, lo attendeva, guardie del corpo e autorità compiacenti “benvenivano” l'augusto ospite. Non tutti se lo possono permettere ma un grande sì che può, anche questo agio...chissà con che soldi. Sono i "costi della democrazia", di cui qualcosa restava tra le dita, gli dice un pari-merito democristiano che lo incontra in visita (Renato Carpentieri), ma gli apparati faraonici dei partiti non li capisce nessuno. I denari per la politica sono come le armi per la guerra, sentenziò il condottiero accorto che tutto aveva compreso.

Non realizzava ancora che qualcosa incombeva su di lui e la sua gente, inchieste di cui vi era già sentore, ma perché preoccuparsi, così facevano tutti, cosi fan tutti. Lontane le paranoie ed angosce per un uomo di successo, pur intento a scolpire il suo monumento mentre i topi ne mangiavano già il piedistallo, gli dice un collega di partito che si suiciderà, pare l'unico che gli volesse bene. Ma il nostro fu grande anche in questo, non volle suicidarsi e quelle colpe, sostiene il personaggio, le pago' da vivo tutti i giorni, in un esilio dorato. "100 giorni 100 ore 100 minuti" canta Caterina Caselli nel film, ma in realtà fu una vita abbastanza serena lungo 10 anni, solo disturbata da qualche turista italiano in gita che lo riconosce, da notizie dall'Italia che comunque segue (c'è perfino un'intervista di Vespa a Berlusconi in tv, il noto programma era già in onda allora) e che forse lo contrariano, perché non può ribattere, nessuno contro cui inveire, non ha più piedistalli né fotografi o salamelecchi, un uomo che definirono vittima del suo stesso orgoglio e della sua arroganza. Qualcuno nel film lo classifica come "ingordo di tutto, scostumato, superbo, cafone. Non rispetta le donne, le usa" (vizi privati diffusi, pubbliche virtù).

Gianni Amelio non dà giudizi schierati, non sappiamo quanto di ciò che riporta è documentato o immaginato, ma in fondo è verosimile ed equilibrato il film: giudizi composti, forse, ne daranno i politici in un'imminente celebrazione ad Hammamet nel ventennale dalla dipartita. Ci conduce bene lungo il suo film, osserviamo l'uomo quasi nudo, senza più cravatte rosse e doppiopetti (altri se ne ammanteranno): l'affluenza di pubblico nelle sale è fatta di teste bianche, vogliamo ri-vederlo quest'uomo - e Favino è diventato per il film un Craxi perfetto, una somiglianza inquietante - vederlo da vicino, quasi toccarlo lui che sembrava sempre inarrivabile sopra un pulpito. Eppure ... avrebbe potuto rimanere in Italia, farsi curare nel "suo Paese che ama" (lo disse un suo discepolo e successore) dove nonostante i preparativi della figlia - una Anita nel film, colei che, a dire del padre, il male che mi fanno arriva prima a lei - si rifiuta di andare, avrebbe potuto scontare i suoi 10 anni di prigione come un qualsiasi Sergio Cusani, e magari come costui uscirne mondato riqualificato e convertito a ben operare, forse ancora utile alla comunità. Ciò sarebbe stato più onorevole, non scappare come un topo, e soffrire la nostalgia del suo Paese in un esilio ricco ma ozioso e malinconicoo, una prigione anch'essa.

E' romantica e fantasiosa la chiusura: In un varietà satirico immaginario accostano “leader” a “lader”. Già trapassato il nostro (malgrado noi) protagonista passeggia sul tetto del Duomo di Milano, quella "da bere", e incontra suo padre (Omero Antonutti) che lo stava aspettando. Che hai fatto? gli chiede, e sembra dire bonariamente "ne hai combinato un'altra delle tue?: era accaduto che altri vetri della scuola aveva rotto il ragazzo con la fionda e presolo per un orecchio il prete inclemente lo aveva accusato in chiesa, davanti all'altare: maleducato manigoldo malfattore maligno maledetto, qualità nessuna.

 

 




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