venerdì 8 giugno 2018 - paolo

Governo Conte | La sindrome da rosiconi. PD gonfio di rancore e povero di idee

A sentire i rappresentanti del PD nelle loro giornaliere comparsate in tutti i talk show, corroborati dalla tradizionale stampa "amica", fanno quasi tenerezza. L'astio e la voglia di vendetta fanno certamente perdere lucidità, ma adesso si sta superando ogni limite del buon gusto. Siamo ben oltre la critica sacrosanta che costituisce il sale della politica e si sta sconfinando in una caccia all'untore.

 

L'untore , tanto per capirci, viene individuato nel premier neo eletto Giuseppe Conte, fatto oggetto nel suo discorso di insediamento alla Camera dei Deputati, degli strali rabbiosi da parte di Graziano Del Rio (PD).

Ricostruiamo in breve il passaggio del discorso di Conte, riferendosi al Presidente Sergio Mattarella, con le sue parole testuali "Quello che più mi ha addolarato nei giorni scorsi è stato quando c'è stato un attacco alla memoria di un suo congiunto sui social, adesso non ricordo esattamente ...".

E' apparso del tutto evidente che quel "non ricordo esattamente " fosse riferito al tipo vergognoso ed ignobile di attacco portato su taluni social alla memoria del fratello del Presidente, vittima di mafia nel 1980, e non certo ad una voluta omissione del nome del fratello del Presidente, che comunque correttamente è un "congiunto" nella sua accezione terminologica.

E su questo passaggio del discorso di Conte che è partito l'attacco frontale di un Graziano Del Rio completamento uscito dal suo tradizionale aplomb da buon democristiano di lungo corso, mite e quasi sacerdotale. Con una inusuale veemenza, del tutto sconosciuta al personaggio almeno fino ad oggi, si è scagliato su Conte al grido "si chiamava Piersanti, si chiamava", ripetuto quasi a voler stigmatizzare un scortesia premeditata da parte del premier, sotto uno scroscio di applausi molto prolungato da parte dei parlamentari del PD, dal sapore chiaramente strumentale. Un Del Rio che ha definito Conte un premier "prestanome ", invitandolo a non essere il burattino dei due dioscuri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Evidentemente, secondo l'etica democristiana, definire un primo ministro incaricato "un prestanome" non è offensivo ma è un vezzeggiativo, un suggerimento quasi amorevole. Si perché ogni giorno si assite alla ridicola carrellata di piddini che invocano la pace e la correttezza nei rapporti dialettici tra parti politiche avverse, lamentando il diverso trattamento che loro, povere gioie, hanno subito nel corso dei cinque anni di governo. Cancellato con un colpo di spugna tutto il frasario denigrante che da Renzi e compagnucci è piovuto quotidianamente, sempre in concerto con la stampa "amica" ovvero quai tutta, sia sul M5S che sulla Lega. Il termine "incompetenti" quando non "ignoranti " è stato il più pacato, quasi affabile.

La verità è che, a torto o ha ragione, su questa maggioranza di governo, certamente non proprio canonica da un punto di vista politico, ma sicuramente certificata dal risultato elettorale, stanno sparando a palle incatenate tutti i media nazionali, sia televisivi che cartacei. Non si capisce ancora bene se è una sorta di processo preventivo su quello che saranno gli eventuali fallimenti di questo governo o il tentativo preventivo di far fallire le azioni che verranno poste in essere dal governo medesimo.

E in questo momento quello che appare più vulnerabile è certamente il premier Conte, dal momento che sia Salvini che Di Maio hanno una memoria storica che li pone in condizione di ribattere colpo su colpo. Perché, siamo sinceri, è del tutto evidente che se questi mettessero in campo un decimo di quello che hanno promesso, molti che fino ad oggi hanno sguazzato in quel magma fatto di privilegi, ingiustizie e favoritismi vari, finirebbero in braghe di tela, magari costretti a cercarsi, forse per la prima volta nella loro vita, un lavoro vero.

Staremo a vedere.

 

 

 




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