sabato 31 luglio 2010 - Giorgio Bargna

Gli oneri e gli onori

Casta è un termine che in questi ultimi anni ha preso un ben radicato e sicuro significato: è il sinonimo di quel mix che si è consolidato tra politica e affarismo.

 

Non vi è dubbio che un simile fenomeno, se porta all’illegalità, vada combattuto tramite l’azione legale, ma questo è un compito che tocca ai magistrati; a me piace pensare, ne sono convinto in realtà, che il fenomeno vada arginato anche e soprattutto in forma politica, restituendo ai cittadini la consapevolezza che sono loro i veri politici, coloro che devono pensare e progettare il futuro della collettività e del territorio.

A chi “fa politica”, al posto e per conto del cittadino, spesso viene a mancare un bagaglio di sani ideali e valori, che gli si proponga come faro illuminante, come un navigatore che lo porti al centro delle necessità comuni.

Chi “fa politica” di professione si vota ai programmi e questi cozzano fortemente con i valori, i quali non sono gli obiettivi concreti a lungo, medio o breve termine, bensì l’idea di cittadinanza, di convivenza, di senso di appartenenza, di integrazione, di relazione, di cammino condiviso nel presente e verso il futuro su cui tali obiettivi poggiano.

Eppure il concetto di comunità, sebbene qualcuno cerchi di alienarlo, esiste sia essa piccola, media o rilevante a livello nazionale, quindi il parere dei cittadini è essenziale, anzi imperante e nessun amministratore può (vista l’attualità, dovrebbe) decidere il futuro del proprio territorio senza chiederne conto, né fare scelte sopra la loro testa senza ascoltarli e senza "andare" là dove essi abitano, confrontarsi e fare tesoro del loro parere e del loro vissuto.

Se vogliamo ribaltare la situazione, impedire certi vezzi alla “classe dirigente” e portare il discorso verso il bene comune dobbiamo sforzarci e tentare di stravolgere quel dato di fatto a cui ci siamo lentamente assuefatti: la “classe dirigente” muove i fili e le marionette si muovono a loro piacimento. Io sono convinto che ogni cittadino, suonata la sveglia che lo desti dal torpore e dal menefreghismo a cui è stato addestrato, sia un politico di fatto, che abbia si dei diritti, ma anche dei doveri, che debba della politica vivere sia gli oneri che gli onori, che debba “scendere in campo”, parafrasando, tramite liste civiche, movimenti di pensiero politico e partecipazione diretta alla vita politica in genere…Che debba pretendere di avere gli strumenti che gli consentano di intervenire direttamente sulle scelte dei politici e degli amministratori, a qualsiasi latitudine essi governino.

Questi strumenti partecipativi, che la “classe dirigente” non ci concederà certo con gioia e gaudio, farebbero sentire il cittadino partecipe affatto inferiore ai politici ma, quantomeno, alla pari, anzi secondo me, superiore.

Questi strumenti, allo steso modo, obbligherebbero il politico a confrontarsi con la parte di se stesso che è cittadino, a percorre a piedi le strade della città, a frequentare, magari, scuole e luoghi di aggregazione ed ascoltare.

Lessi, in una lettera aperta di una lettrice di quotidiano, un giorno: <<Delle Caste siamo tutti stanchi, anche dei piccoli "potentati" locali, così lontani dall’idea che la politica sia servizio e il ministro colui che "è a disposizione">>.

Il cittadino deve dire basta, disintossicarsi dagli atti reverenziali e di dipendenza dal "favore del politico di turno", chiedendo e pretendendo trasparenza sui costi della politica stessa e sulle motivazioni delle scelte amministrative, suggerirne di sue e controllare direttamente l’azione di chi ci amministra.

Ho un sogno nel cassetto (speriamo di aprirlo), sono convinto che la “classe dirigente” possa essere ridotta alle minime dimensioni di potere attraverso una rivoluzione pacifica, della mente e dello stile partecipativo; una pacifica rivoluzione culturale fomentata dalla voglia di essere artefici e costruttori del territorio in cui viviamo.




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