venerdì 31 luglio 2009 - Damiano Mazzotti

Gli intrecci di storia, economia e sociologia di Schumpeter

“Sociologia degli imperialismi e teoria delle classi sociali” è la nuova traduzione di due preziosi saggi di un grande economista polivalente: il boemo Joseph A. Schumpeter (www.ombrecorte.it).

Il primo saggio è stato concepito dal 1910 al 1918 e prende in esame la politica imperialista del Regno Unito e quella di altri regni del passato. “Il nazionalismo aggressivo… e gli istinti di dominazione e di lotta, che da un passato remoto si prolungano fin nel presente, sono duri a morire. Di tempo in tempo, cercano di farsi valere con tanto maggior vigoria quanto meno trovano soddisfazione nell’ambito della comunità sociale” (p. 20).

Non sempre c’è una relazione diretta tra la guerra e alcuni specifici interessi e vantaggi economici. Spesso è un semplice ed irrazionale sviluppo di aggressività latente. “Scacciato da tutti i campi, l’irrazionale cerca rifugio nel nazionalismo, portandosi dietro la passione della lotta, la sete di odio, una buona dose di idealismo ingenuo, un egoismo sfrenato: e appunto in ciò risiede la sua forza persuasiva, nella sua capacità di soddisfare l’ansia di dedizione a qualcosa di sovrapersonale, familiare e concreto, e il bisogno di autoglorificazione e dell’asserzione violenta di se stessi” (p. 10).

Le condizioni di libero scambio riducono i rischi di conflitti tra nazioni: “il libero scambio non è altro che un elemento di un sistema generale di politica economica… condiziona ed è condizionato da qualcosa di ancor più generale, politico e morale, che si afferma in tutti i settori della vita nazionale e internazionale e può invero collegarsi all’utilitarismo” (Schumpeter, Storia dell’analisi economica). A riguardo del libero mercato occorre però dire che se si esaminano le relazioni tra i guadagni imprenditoriali si può verificare che la concorrenza non è mai completamente libera e c’è sempre qualcuno che parte molto avvantaggiato (Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia).

Dunque gli attuali imperialismi burocratici e finanziari sono i nipoti del vecchio imperialismo dei re, dove il monarca assoluto poteva fare quanto gli pareva e piaceva, in guerra, a caccia, o con le donne, così da soddisfare tutti i suoi istinti predatori (p. 54). E così accadeva negli stati principeschi. “Poiché il principe guerriero doveva aspettarsi da un momento all’altro l’attacco di vicini non meno bellicisti, il borghese moderno attribuisce ai popoli confinanti mire segrete e intenzioni aggressive. Tutti questi modi di pensare sono per essenza non capitalistici. Essi scompaiono tanto più rapidamente quanto più il capitalismo energicamente prevale… Il nazionalismo è coscienza orgogliosa delle particolarità nazionali unita a un aggressivo complesso di superiorità. È creatura dello stato principesco” (p. 85).

Comunque “la stessa cosa vale per il rapporto tra borghesia e capitalismo. Non si ha già militarismo quando una nazione mantiene un grosso esercito, ma solo quando gli strati dirigenti dell’esercito costituiscono una forza politica” (p. 86) o trovano la maniera di coordinare delle grosse pressioni sull’attività politica. Inoltre, "poiché il principe aveva bisogno di soldati, anche il borghese moderno è un sostenitore dell’incremento demografico" (p. 84), anche perché servono molti consumatori e molti lavoratori. E il grande esercito dei disoccupati è necessario per mantenere bassi i costi dei salari e lasciare il coltello dalla parte del manico agli imprenditori.

Oggigiorno però il nazionalismo estremista è semplicemente il figlio viziato della formazione scolastica nazionalista e filogovernativa di molti paesi: è ora di rivelare e di ammettere che tutte le culture e tutte le nazioni più stronze del pianeta si sono sentite al centro del mondo e protette da Dio. Dio che ogni tanto invia qualche piaga biblica e può arrivare a programmare un diluvio universale per ricordare alla coscienza egoista e distruttrice dell’uomo il suo giusto posto in questo mondo. Dopotutto la soluzione di tutti i mali esistenziali e gerarchici ci è stata suggerita più di duemila anni fa ma ancora non riusciamo a comprenderla e ad applicarla: bisogna considerare e amare gli altri come fratelli.

Comunque è giusto chiarire che “è fondamentalmente errato definire l’imperialismo come una fase necessaria del capitalismo, o parlare di sviluppo del capitalismo in imperialismo” (p. 80). Però lo stato di “guerra significa domanda accresciuta a prezzi di panico, quindi, alti profitti e perfino alti salari in molti settori dell’economia nazionali” (pag.66), sia in termini monetari che in termini di beni.

"La forza può servire ad abbattere le barriere doganali straniere e fornire una via d’uscita dal circolo vizioso rappresentato dall’aggressione economica” (p.74). E l’arretratezza culturale di molti paesi li condanna ad un nuovo tipo di colonizzazione economica e finanziaria, oltre che simbolica ad opera dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Inoltre “ogni guerra suscita interessi bellici. Gli armamenti generano mentalità guerrafondaie. E ogni guerra è madre di una nuova guerra” (p. 16). Anche se nel 2009 in tutte le dichiarazioni ufficiali, i governi interessati e tutti i partiti politici, giustificano “ogni guerra come pura guerra di difesa, consapevoli che una guerra di diversa natura sarebbe stata politicamente insostenibile” (p. 62).

E veniamo al secondo saggio, pubblicato nel 1927. Per formalizzare una teoria delle classi sociali vanno esaminati quattro problemi principali: la natura (il fenomeno e la sua funzione), il legame (perché ogni classe rimane unita come un organismo e non si scompone), la formazione (perché e come è nata) e le condizioni concrete (la singola struttura storicamente data). Bisogna precisare che “fra i rapporti all’interno della stessa classe e quelli fra membri di classi diverse c’è la stessa differenza che esiste fra il nuotare con la corrente e il nuotar contro corrente. E il sintomo più impressionante di questo stato di fatto è la facilità o difficoltà di contrarre matrimoni giuridicamente e socialmente riconosciuti fuori dalla propria classe. Infine bisogna sottolineare “la circostanza che le classi, una volta sorte, si consolidano, agiscono e si perpetuano anche quando le condizioni che hanno dato loro la vita sono scomparse” (p. 100). Invece per quanto riguarda le caratteristiche degli “individui dominanti” che finiscono per fare gli imprenditori, si possono elencare le seguenti: forte resistenza nervosa, capacità di lavoro superiore alla media, pronte capacità decisionali in condizioni di forte rischio, grandi capacità di intuizione (o di colpo d’occhio) e una mente lucida e fredda. E a tutto questo è unita la passione e la concentrazione negli affari per non farsi distrarre da altri obiettivi.

Forse il secondo saggio rivela alcuni limiti legati alla rapida evoluzione della società e della famiglia occidentale, ma può rivelare risvolti interessanti per le culture in genere più statiche come quelle orientali. Infatti secondo Schumpeter per l’individuo l’appartenenza di classe è data, mentre le famiglie sono invece organismi mobili, capaci di evolversi e di adattarsi sfruttando la differenza di attitudini socialmente riconosciute. È però “la famiglia, non la persona fisica, è la vera unità individuale della teoria delle classi” (p. 102). Del resto i morti della prima guerra mondiale hanno pagato col sangue l’idiozia di una tale visione classista, antiquata e autoritaria della società. I morti delle classi inferiori non avevano nessun valore per gli aristocratici e gli alto borghesi: il disprezzo delle classi privilegiate nei confronti di quelle più povere spiega la lunghezza e l’apparente irrazionalità della prima grande guerra di massa e spiegherà anche molte delle prossime guerre.

Devo ammettere che è molto rilassante rileggere gli autori classici: nei saggi di molti eminenti autori contemporanei si usano troppo spesso parole astruse e frasi architettoniche che stanno diventando sempre più difficili da digerire. Se è vero che la cultura dei morti non cessa di dominare la cultura dei vivi, è anche vero che i vivi cercano di dominare gli intellettuali morti con dei film mentali che hanno come colonna sonora lo strombazzante suono ipnotico della lingua accademica.

P. S. La formazione è il passaparola della civiltà: ogni sviluppo individuale è un fatto sociale.




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