martedì 27 dicembre 2022 - Mario Barbato

Gli affari oscuri di Silvio Berlusconi

Tra i personaggi che hanno segnato la storia italiana, Silvio Berlusconi è sicuramente uno di quelli più controversi. Molti lo hanno descritto come un grande uomo d'affari, facendone un'apologia fuori luogo, perché la vita e carriera di Berlusconi sono costellate di tanti buchi neri e di innumerevoli scheletri nell'armadio.

Per capire chi sia Silvio Berlusconi è necessario raccontare il lato oscuro della sua biografia, senza farsi condizionare da simpatie politiche o da campagne mediatiche pilotate ad arte.

Quello che sarà il futuro ago della bilancia della politica italiana nasce a Milano il 29 settembre 1936. in una famiglia piccolo borghese. Da piccolo frequenta le scuole salesiane, poi, dopo la maturità, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi con una tesi sugli aspetti giuridici della pubblicità. Quasi una profezia per il futuro padrone dei canali televisivi privati. Terminati gli studi, nel 1961, fonda la Cantieri Riuniti Milanesi con il compito di costruire case in una Milano sottoposta, in quegli anni, a una colossale espansione edilizia. 

Gli inizi, però, non sono facili. L'impresa stenta a decollare. Così come i guadagni. E così, nel 1963, il giovane Silvio fonda una seconda società, la Edilnord, e il volume d'affari aumenta improvvisamente. Con la nuova impresa, Berlusconi si avventura in una mega operazione edilizia: la costruzione a Brugherio di un complesso residenziale per quattro mila abitanti. Come abbia fatto il salto di qualità resta un mistero. Si sa solo che nell'affare entrano in gioco la Banca Rasini e di alcune misteriose fiduciarie svizzere, di cui nessuno conoscerà mai i reali proprietari.

Doveva trattarsi comunque di gente molto ottimista per affidare ingenti capitali a un giovanotto di 27 anni che, fino a quel momento, non aveva maturato alcuna esperienza degna di nota nel campo delle costruzioni. Aveva solo un fiuto per gli affari, un passato da animatore turistico e un'avidità di denaro che lo accompagnerà per il resto della sua carriera. Grazie alla nuova società, Berlusconi mette in piedi un intero quartiere con la collaborazione di due costruttori esperti, i fratelli Botta, che si incaricano della edificazione del mega-complesso.

L'uomo nuovo dell'imprenditoria italiana è ormai lanciato nel mondo degli affari, ma con quali soldi riesce a portare avanti le sue iniziative? Le indagini accerteranno solo che i soldi venivano dalla Svizzera, da finanziarie i cui proprietari resteranno coperti dal segreto bancario svizzero. Chi si celava dietro a quelle società resterà un mistero mai chiarito. Gli inquirenti proveranno a scoprirlo, ma ogni volta che si avventurano nelle indagini sbattono contro un muro di silenzi, di reticenze, di omertà ma, soprattutto, di scatole cinesi. 

Il palazzinaro milanese, in ogni caso, non si limita a costruire case,, punta a edificare intere città. Nel 1968 fonda la Edilnord Centri Residenziali, con il compito di costruire la città-satellite di Milano2. I capitali arrivano da un'altra finanziaria svizzera dal nome impronunciabile: l’Aktiengesellschaft fur Immobilienanlagen in Residenzzentren Ag di Lugano. Per realizzare la sua città ideale, Berlusconi acquista un terreno di settecentomila metri quadrati dalle mani del conte Leonardo Bonzi, pagandolo tre miliardi di lire. Anche lì sorgono dubbi sulla provenienza di capitali che difficilmente il giovane Silvio poteva disporre. Un sospetto alimentato ancor di più dal fatto che la società svizzera viene aperta solo dieci giorni prima che Berlusconi inaugurasse la sua impresa. 

Milano2, per Silvio Berlusconi, si rivela un successo clamoroso. I prezzi delle case lievitano, gli acquisti salgono, gli introiti si moltiplicano. Ancora oggi Berlusconi è conosciuto in tutto il Paese per essere stato il costruttore di un quartiere che, oltre a essere un affare redditizio, rappresentava il sogno abitativo di quegli anni: una piccola città fuori dalla città, completamente autosufficiente, con spazi verdi, piste ciclabili, aeree pedonali, scuole, negozi, ristoranti, luoghi per lo svago. Una zona costosa ma confortevole, ritagliata su misura per la ricca borghesia milanese.

Ancora una volta, però, nessuno risponde a una domanda cruciale: chi gli ha dato i soldi per costruire una città che, solo a metterla in piedi, gli veniva a costare cinquecento milioni di lire al giorno? La risposta arriverà da Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso Vito: “Parte del denaro di mio padre, negli anni Settanta, fu investito in una operazione edilizia chiamata Milano 2”.

Una confessione che fa il paio con quella del losco banchiere Michele Sindona, legato a Cosa Nostra, che, nel 1985, rivelò a un giornalista americano che la Banca Rasini, finanziatrice delle prime iniziative immobiliari di Berlusconi, annoverava tra i suoi clienti noti mafiosi siciliani che usavano quel piccolo istituto di credito come “lavatrice” per ripulire il denaro sporco. Insomma, tali testimonianze ipotizzerebbero che il Berlusca avrebbe potuto investire denaro di persone legate alla mafia, stringendo affari con personaggi dalle relazioni non certo cristalline.

Gli anni Settanta sono gli anni del successo imprenditoriale di Silvio Berlusconi, ma sono anche gli anni in cui sul Cavaliere cala sempre di più l'ombra della mafia. Uno spettro incarnato nella figura di Vittorio Mangano, mafioso palermitano, assunto nel 1973 nella villa di Arcore, ufficialmente come stalliere, ma, secondo il giudice Paolo Borsellino, con il compito di curare i rapporti tra l'imprenditore milanese e la mafia siciliana, soprattutto in un periodo in cui a Milano fioccavano i sequestri di persona. 

Per tutelare sé stesso e la propria famiglia dai rapitori, Berlusconi si era rivolto alla mafia per chiedere protezione. Singolare che a Milano, in quegli anni, erano proprio i mafiosi siciliani ad aver avviato la fiorente industria dei sequestri di persone. E fu ancora più singolare che Berlusconi pagasse la mafia per essere protetto dalla mafia stessa. Secondo la Cassazione, i pagamenti passavano dalle mani di Marcello Dell'Utri, amico e braccio destro di Berlusconi, e finivano a Palermo, prima nelle mani del boss Stefano Bontate, poi in quelle di Salvatore Riina. 

Mangano lascerà la villa solo due anni più tardi, quando verrà sospettato di aver organizzato il sequestro di Luigi d’Angerio, principe di Sant’Agata, che aveva appena lasciato la villa di Arcore dopo una cena con Berlusconi, Dell’Utri e lo stesso Mangano. Arrestato e rilasciato più volte, Mangano verrà alla fine condannato all'ergastolo per traffico internazionale di stupefacente, associazione mafiosa e omicidio.

Il salto di qualità nel mondo degli affari di Berlusconi arriva però nel 1975, quando, in un anonimo ufficio di Roma, viene fondata la Fininvest, con il compito di mettere ordine nel puzzle delle società berlusconiane. Le quote della Fininvest vengono suddivise in trentotto holding, chiamate tutte allo stesso modo e contrassegnate solo da un numero progressivo: Holding Italiana prima, seconda, terza e così via, fino all’ultima della serie.

Le prime ventidue, però, diventano singolari, perché a ciascuna di queste viene attribuita una piccola quota del capitale della Fininvest. Una suddivisione puntigliosa che serviva, probabilmente, a mimetizzare operazioni di grande rilievo monetario, così da attirare meno sospetti e meno controlli. Il capitale delle holding passa nelle mani di due fiduciarie: la Saf del gruppo bancario Bnl e la Parmafid. Il padrone vero, Berlusconi, resta nascosto nelle retrovie, emergerà solo nel 1978, quando, sui documenti della Fininvest, trasferita nel frattempo a Milano, appare per la prima volta il nome di Silvio Berlusconi come presidente della neonata società finanziaria.

Gli anni che vanno dal 1975 al 1978 sono un vero buco nero nella carriera di Berlusconi, con flussi finanziari mai ricostruiti dalla Banca d'Italia in anni di indagini. In quel periodo, intorno a Berlusconi, cominciano a figliare una miriade di società intestate a insospettabili prestanome, come parenti, casalinghe, pensionati. Berlusconi cambia e ricambia denominazioni sociali in continuazione, ma non cambia mai la provenienza del denaro: la Svizzera.

Altri finanziamenti arrivano dalla Immobiliare S. Martino di Roma della Banca Nazionale del Lavoro. Un istituto di credito diretto da personaggi iscritti alla Loggia massonica P2 di Licio Gelli. Un'associazione segreta che arruolerà ben presto anche l'imprenditore di Arcore. L'affiliazione avviene nel 1978 e il pio sodalizio procurerà a Berlusconi finanziamenti oltre ogni merito: dai finanziamenti della Servizio Italia ai crediti facili del Monte dei Paschi di Siena.

Grazie a questi agganci oscuri, la Fininvest diventa un colosso finanziario. Una cassaforte dentro cui cade una pioggia di denaro che viaggia da una holding all'altra alla velocità della luce. Almeno duecento miliardi di lire transitano sui conti delle ventidue holding che detengono l'impero Fininvest dal 1978 al 1985, seguendo giri talmente tortuosi che nemmeno gli ispettori di Bankitalia riescono a ricostruire l'esatta provenienza dei soldi. La Procura di Palermo sostiene che sono capitali mafiosi investiti nella Fininvest. La difesa parla di autofinanziamenti, ma non riesce a spiegare l'origine di tutta quella liquidità.Gli ispettori di Bankitalia notano anche uno strano giro di aumenti di capitali di provenienza ignota. Circa quaranta miliardi piovono dalla casse delle holding svizzere nel solo anno 1978, passando per otto conti correnti di cui gli ispettori non riescono a individuare la provenienza.

Un crocevia di interessi finanziari e di affari mai chiariti che piloteranno la Fininvest dal settore immobiliare a quello televisivo. Una storia cominciata nel 1976, quando un ometto basso di statura si presenta negli uffici di una piccola emittente televisiva, Telemilanocavo, e la rileva al prezzo simbolico di una lira, accollandosi però i suoi debiti, che ammontano a venti milioni. Quella piccola emittente viene comprata per intrattenere gli inquilini di Milano2, ma ben presto si trasformerà nell'affare del secolo. La Fininvest battezza la Tv con il nome di Telemilano58, trasmettendo in tutta Milano, poi, nel 1978, la converte in Canale 5 e le trasmissioni entrano nelle case di tutti gli italiani.

Berlusconi è ancora un costruttore, ma ha capito che la televisione sarà il business del futuro. Il suo impegno come editore aumenta giorno dopo giorno e, con esso, aumentano anche i capitali di dubbia provenienza. Tra il 1978 e il 1980 i sovvenzionamenti per il nuovo business ammontano già a ottantadue miliardi di lire. L'ennesima montagna di denaro occulta che permettono al nuovo “Genio” della finanza italiana di spiccare il volo nel mondo dell'etere.

Sono gli anni ruggenti dell'amico Bettino Craxi che, nel 1983, diventa capo del governo e guida la nazione con piglio deciso. Il leader del Partito Socialista farà molte leggi per Berlusconi, permettendogli di estendersi all'infinito in un Paese dove le televisioni commerciali erano una realtà non ancora regolamentata. Craxi salverà Berlusconi soprattutto nel 1984 quando i pretori di Roma, Torino e Pescara oscurano le reti Fininvest con l'accusa di trasmettere i programmi su tutto il territorio nazionale violando il monopolio della Rai. Per lo Stato non è accettabile che un privato faccia concorrenza alla Tv pubblica. La legge permette di trasmettere solo in ambito locale. 

Ma il Berlusca se ne era fregato e proiettava i programmi da Milano a Palermo attraverso il metodo del "pizzone": registrava i programmi e poi spediva il nastro alle emittenti locali dislocate in tutte le Regioni che mandavano in onda lo stesso programma alla stessa ora. Si chiama "interconnessione funzionale". Una pratica vietata. Berlusconi protesta, ma è costretto a ubbidire ai pretori e a oscurare le reti, con tutte le conseguenze economiche del caso, perché gli sponsor potrebbe annullare i contratti pubblicitari e la Fininvest, che si è dissanguata per acquisire anche Rete4 e Italia1, rischierebbe il tracollo finanziario e la sparizione dalla scena nazionale.

Il giorno dopo la censura, Berlusconi vola a Palazzo Chigi e chiede l'intervento di Craxi. Il "Cinghialone" convoca un Consiglio dei Ministri in fretta e furia e fa approvare un decreto per legittimare le reti private su scala nazionale. Minaccia perfino di far cadere il governo se la sua legge non passerà in Parlamento. La legge passa e Berlusconi può riaccendere i suoi canali. Tutto gratis? No. Craxi non era un membro dell'opera pia, questo Berlusconi lo sapeva e, qualche tempo dopo la Legge Mammì che sanciva il monopolio televisivo della Fininvest, ricambia Craxi con una una maxi-tangente di ventitré miliardi di lire.

La tangente a Bettino Craxi viene versata attraverso il Conto All Iberian, una delle tante società off-shore costitute dall'avvocato della Fininvest David Mills, dove, in soli sei anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire. Soldi che Berlusconi usa per operazioni riservate e non certo cristalline. Il Cavaliere versa i ventitré miliardi a Craxi; eroga fondi neri ai suoi avvocati affinché corrompano giudici come Rosario Squillate e Vittorio Metta che decidono delle sue cause civili; scala di nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori; acquista illegalmente film americani facendone lievitare i costi per abbattere gli utili e permettere alla società di pagare meno tasse.

Gli anni Ottanta, per Berlusconi, sono un pacchia infinita, una giostra che dura un decennio, prima di interrompersi bruscamente nel 1992, quando il pool di Mani Pulite comincia a presentare il conto ai lestofanti della Prima Repubblica. Tra questi c'è pure lui, l'imprenditore milanese. Dalla villa di Arcore il Cavaliere pallido vede il fuoco di Tangentopoli divorare uomini, aziende e partiti; osserva il pool di Mani Pulite fare a pezzi un sistema che lo aveva coccolato nella bambagia e restituirglielo indietro a pezzi. Sapeva che prima o poi sarebbero arrivati anche da lui. Lo aveva avvisato pure Bettino Craxi dall'esilio tunisino: “Non ti illudere, la macchina giudiziaria arriverà anche da te”.

Quale sarebbe stato il suo destino? Scappare all'estero o finire in galera? Aveva pensato anche di costituirsi, come avevano fatto centinaia di imprenditori che si erano presentati spontaneamente fuori dal Palazzo di Giustizia di Milano, ma per farlo avrebbe dovuto rivelare ai giudici troppi segreti scottanti, cominciando con il raccontare gli inizi della sua carriera imprenditoriale, i suoi rapporti con gli ambienti mafiosi, la provenienza dei soldi che finanziavano le sue aziende, i soci occulti che si nascondevano dietro a quelle misteriose ventidue holding svizzere che controllavano il capitale della Fininvest e che gli inquirenti sospettavano avere una matrice illecita. 

Le indagini avevano già cominciato a lambire le sue aziende. Il gruppo Fininvest era finito nel mirino per gli appalti della Coge di Parma; per alcuni palazzi venduti dalla famiglia Berlusconi al fondo pensioni Cariplo e ad altri enti pubblici; per l'apertura di un centro commerciale a Torino; per il budget su alcune campagne pubblicitarie televisive; per il piano delle frequenze televisive assegnate alle reti di Berlusconi; per finanziamenti irregolari concessi dalla Fininvest ai partiti; per false fatture e fondi neri di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest.

Berlusconi sente il fiato della magistratura sul collo. I suoi uomini e le sue aziende erano sotto la lente di ingrandimenti delle procure di Milano, Roma, Torino. Era solo questione di tempo e, prima o poi, in manette sarebbe finito pure lui. È in questo clima da caccia alle streghe che Berlusconi matura la più clamorosa delle decisioni: entrare in politica per salvare sé stesso e le sue aziende dalla spada della giustizia.

Il resto è storia nota, ma è sufficiente questa breve biografia per capire come è nata la Fininvest e su quali deformità ha potuto contare per diventare un impero economico. Se solo la memoria non avesse delle sincopi e parte dei media non fossero nelle mani di quest'uomo, cadrebbe ogni mito di Berlusconi, ogni agiografia epica di chi, pagato dallo stesso Berlusconi, ha voluto dare del Cavaliere un'immagine da salvatore della patria.

Nessun salvatore della patria. Berlusconi è stato un imprenditore senza scrupoli e se non avesse usato la politica come àncora di salvataggio, elaborando una miriade di leggi fatte su misura, sarebbe finito in galera o sarebbe stato esiliato all'estero come un delinquente abituale. Di sicuro non sarebbe diventato quattro volte capo del governo imbonendo quella parte dei cittadini che lo hanno premiato solo perché all'oscuro dei suoi tracorsi discutibili. 




Lasciare un commento