lunedì 6 luglio 2015 - Giovanni Graziano Manca

Gli Ossi di seppia di Montale tra scetticismo, riflessioni nostalgiche e male di vivere

Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) è il più grande poeta italiano della contemporaneità. Nato in una famiglia benestante dedita al commercio di prodotti chimici che di lui avrebbe desiderato fare un contabile (egli, infatti, si diplomò ragioniere) Montale inizia molto giovane a interessarsi di letteratura studiando da autodidatta e approfittando delle lezioni che la sorella Marianna, studentessa di lettere, impartiva privatamente. Fondamentale fu per il poeta genovese lo studio della musica, circostanza che ebbe un influsso notevole sulla sua opera letteraria e sulla sua attività di critico musicale intrapresa presso il Corriere della sera a partire dalla fine degli anni Quaranta.

La prima raccolta di versi del poeta, Ossi di seppia, è annoverata tra i più grandi classici della poesia italiana di sempre. L’edizione definitiva dell’opera comprende versi composti tra il 1920 e il 1927; unica eccezione, una delle poesie più note di Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto, risalente all’anno 1916. Le liriche che compongono Ossi di seppia (cinquantotto in tutto, nella edizione definitiva dell’opera) sono riunite per gruppi più o meno omogenei che portano titoli diversi (In limine, Movimenti, Poesie per Camillo Sbarbaro, Sarcofaghi, Altri versi, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre) all’interno dei quali quello intitolato Ossi di seppia costituisce la raccolta originaria di poesie e la più ampia (i veri Ossi di seppia, come li definisce lo stesso Montale) risalente agli anni 1921 – 1925. La raccolta Ossi di seppia venne in origine pubblicata sotto questo titolo per i tipi di Piero Gobetti nel 1925.

Arduo riassumere in poche righe i caratteri di quest’opera. Gli Ossi di seppia costituiscono un insieme di componimenti poetici tutto sommato classicamente strutturati. All’interno di tale insieme Montale compie, linguisticamente e lessicalmente parlando, sforzi talmente intensi da imprimere alla raccolta quei caratteri di originalità che fecero del poeta ligure un caposcuola. Se la metrica, come si è detto, appare piuttosto tradizionalmente ordinata, la ritmica dei versi presenta invece caratteri di straordinaria musicalità e colloquialità. Le felici scelte terminologiche, inoltre, portano il poeta ad adottare, pur discostandosi dal verseggiare ‘accademico’ dannunziano, termini ora desueti, ora arcaici, ora ‘difficili’ e criptici, oltre che un rimeggiare originalissimo.

La lirica forse più rappresentativa dell’intero libro, I Limoni, costituisce un rifulgente esempio dell’ibridismo poetico montaliano:

«Ascoltami, i poeti laureati/si muovono soltanto fra le piante/dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti./lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi/fossi dove in pozzanghere/mezzo seccate agguantano i ragazzi/qualche sparuta anguilla:/le viuzze che seguono i ciglioni,/discendono tra i ciuffi delle canne/e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.//Meglio se le gazzarre degli uccelli/si spengono inghiottite dall'azzurro:/più chiaro si ascolta il susurro/dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,/e i sensi di quest'odore/che non sa staccarsi da terra/e piove in petto una dolcezza inquieta./Qui delle divertite passioni/per miracolo tace la guerra,/qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza/ed è l'odore dei limoni.//Vedi, in questi silenzi in cui le cose/s'abbandonano e sembrano vicine/a tradire il loro ultimo segreto,/talora ci si aspetta/di scoprire uno sbaglio di Natura,/il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,/il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/nel mezzo di una verità./Lo sguardo fruga d'intorno,/la mente indaga accorda disunisce/nel profumo che dilaga/quando il giorno più languisce./Sono i silenzi in cui si vede/in ogni ombra umana che si allontana/qualche disturbata Divinità.//Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo/nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra/soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase./La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta/il tedio dell'inverno sulle case,/la luce si fa avara - amara l'anima./Quando un giorno da un malchiuso portone/tra gli alberi di una corte/ci si mostrano i gialli dei limoni;/e il gelo del cuore si sfa,/e in petto ci scrosciano/le loro canzoni/le trombe d'oro della solarità.// »

Questo stile unico permettono al poeta ligure di stendere impressionisticamente i colori della propria tavolozza di parole che gli consentono di ottenere un risultato poetico che va al di là del semplice significato delle parole. L’intreccio delle parole, appunto, suscita spesso emozioni tali che il ribollio dell’acque che si ingorgano ci pare di udirlo realmente, che la barca di salvezza che sciaborda tra le secche ci sembra di vederla davvero così come abbiamo la quasi certezza di avvertire il rabido ventare di scirocco che l’arsiccio terreno brucia. Appare filosoficamente esistenzialista Montale (codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo…), e amaro (Mia vita è questo secco pendio, mezzo non fine, strada aperta a sbocchi di rigagnoli, lento franamento. E’ dessa, ancora, questa pianta che nasce dalla devastazione e in faccia ha i colpi del mare ed è sospesa fra errate forze di venti…) oppure impegnato in angosciose riflessioni (spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato…). Ci sono i luoghi dell’infanzia del poeta, in Ossi di seppia, la costiera ligure, essenzialmente, e le Cinque terre (Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d’oro della solarità… ; Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi…), mentre è in rilievo il disagio naturalmente connesso al vivere dell’uomo che in Ossi di seppia pare più un sofferente, per quanto acuto, osservatore della realtà circostante piuttosto che protagonista attivo del contesto osservato. Si è sostenuto (A. Bocelli sull’Enciclopedia italiana Treccani, ed. 1974) che ‘La poesia di Montale nasce dalla coscienza del “male di vivere”, dell’ “inadattamento” alla realtà, della quale tuttavia egli si sente partecipe e testimone’. Alcuni (N.Gazich, 1989), poi, nell’evidenziare l’orientamento antifascista di Montale rilevano che ‘a questa scelta di campo politico e di rigore morale il poeta non verrà mai meno. Alcuni versi delle sue prime poesie, poi, […] e l’intera raccolta [si riferisce a Ossi di Seppia, n.d.r.] con il suo programmatico rifiuto di ogni eloquenza, di ogni fede o mitologia positiva e di ogni facile consolazione diventano un emblema di una scelta etica e politica chiara e precisa e, in quegli anni, difficile’. Gli Ossi di seppia, però, non contengono riferimenti diretti alla contingenza politica degli anni in cui furono scritti, non sono, sotto questo aspetto, espliciti. I contenuti del libro, anzi, a distanza di tanti anni e anche alla luce di alcune delle risultanze del pensiero filosofico sviluppatosi nei primi decenni del XX secolo (successive, in parte, rispetto all’opera di Montale) appaiono più come il frutto del duplice atteggiamento: un atteggiamento ‘ideologico’ del poeta, ‘protoesistenzialistici’, da un lato e quasi, potremmo dire, fenomenologicamente orientati, a considerare la posizione che il poeta (l’uomo, il filosofo) assume rispetto agli oggetti della propria riflessione, dall’altro lato.




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