sabato 7 dicembre 2019 - Persio Flacco

Giurisprudenza e illusionismo: la riforma Bonafede

Eccoci di nuovo nel pieno di una bufera di polemiche e scontri sul tema della riforma della Giustizia italiana. Nessun esperto di qualche rilevanza mediatica si salva dall'inseguimento di qualche giornalista desideroso di riempire di competenza i suoi articoli da riversare poi sulla massa degli assetati consumatori di notizie.

Le squadre dei Garantisti e dei Giustizialisti si fronteggiano scambiandosi colpi polemici in un clima da stadio, per la gioia degli editori che vedono lievitare gli incassi per copie vendute e inserzioni pubblicitarie.

La questione è sempre la stessa d decenni: la Giustizia italiana è di una lentezza esasperante: i tempi per produrre una sentenza sono insostenibili, e questo nuoce gravemente alla salute del Paese. In più, la macchina giudiziaria, a fronte di una evidente inefficienza, assorbe notevoli risorse umane e finanziarie dallo Stato. Su questo Garantisti e Giustizialisti sono d'accordo: occorre velocizzare i procedimenti. A dividerli è il come raggiungere questo fine.

A scatenare l'ennesima diatriba è l'ennesima proposta di riforma, questa volta presentata dall'attuale Ministro della Giustizia in quota Cinquestelle: Alfonso Bonafede.
Cosa propone il Ministro? Sostanzialmente due cose: abolizione dell'istituto della Prescrizione dopo la sentenza di Primo Grado e accorciamento della durata dei processi. Accorciamento da ottenersi con maggiori risorse a disposizione dell'apparato giudiziario, con scadenze predefinite imposte alle varie fasi del procedimento, con sanzioni da irrogare ai magistrati "pelandroni".

A questa proposta di riforma "Giustizialista" hanno risposto da par loro i Garantisti. 

In particolare sono scesi sul piede di guerra i penalisti dell'Unione delle Camere Penali con un programma di scioperi ad oltranza e una maratona oratoria pubblica proprio di fronte all'edificio della Suprema Corte di Cassazione, senza con ciò escludere altre eclatanti iniziative.
Al loro fianco sono schierati i Radicali: surfisti abili a cavalcare ogni onda che possa dar loro visibilità, e il consueto fronte politico e mediatico che si estende da Centrodestra a Centrosinistra, così che il M5S appare praticamente il solo a sostenere senza tentennamenti la riforma Bonafede.
Per questo più d'uno paventa la crisi di Governo, tanto appaiono irriducibili le divergenze in seno alla Maggioranza che lo sostiene.

Ebbene, possiamo affermare con sicurezza che tutto questo è un gigantesco spettacolo di illusionismo.

Come l'illusionista fa "magicamente" scomparire la sua collaboratrice chiusa nella scatola distraendo gli spettatori con abili artifici, così i protagonisti della polemica sulla riforma fanno scomparire la vera causa della lentezza dei processi.

Prima di svelare il trucco è bene fare un breve riepilogo degli attrezzi di scena.
L'istituto della Prescrizione ha la sua ragion d'essere nella esigenza di tutelare i diritti dell'imputato. Nei Paesi civili a chi è accusato di aver commesso un reato sono riconosciuti due diritti fondamentali.
1. Il primo diritto dell'imputato è quello di essere ritenuto innocente fino a quando l'accusa non sia provata di fronte ad un Giudice imparziale. Corollario è il suo diritto di ottenere la sentenza entro un tempo congruo, così da non rimanere troppo a lungo nella condizione socialmente invalidante di imputato.

Dunque la prescrizione è un dispositivo di civiltà giuridica, necessario quando le procedure giudiziarie siano troppo lunghe. I penalisti hanno pertanto qualche solido appiglio giuridico per protestare, se non fosse che nella realtà, esistendo l'istituto della Prescrizione, la loro scienza giuridica si riduce spesso nella abilità du allungare la durata del processo in modo da usufruire della Prescrizione.
La legge consente loro di farlo, beninteso, e loro dovere di patrocinanti è favorire gli interessi del loro cliente in ogni modo consentito. 

Questo però rende la loro protesta abbastanza ipocrita. Ma l'ipocrisia non è reato.
In ogni caso, è evidente che interrompere la prescrizione dopo il Primo Grado, violerebbe il diritto dell'imputato.

2. Il secondo diritto dell'imputato è quello di potersi difendere esibendo davanti al Giudice tutte le sue ragioni e tutte le prove a discarico di cui dispone. Diritto che sarebbe ovviamente conculcato se al dibattimento venisse posto un limite temporale.


L'impossibilità di esercitare il diritto di difesa in modo pieno e completo per raggiunti limiti di tempo inveliderebbe senz'altro la sentenza. E questo offre ai suoi detrattori un motivo giuridicamente valido per dichiarare illegittima la riforma Bonafede.

Per questi motivi la riforma rischia di rivelarsi una bolla di sapone che, lungi dal raggiungere il fine di risolvere i mali della Giustizia italiana, rischia di metterci sopra una pietra tombale per chissà quanto tempo a venire.

E ora vediamo cosa ha fatto scomparire agli occhi dell'opinione pubblica questo corale spettacolo di illusionismo.

A scomparire è la vera causa della insopportabile lentezza dei processi, sia penali che civili: il diritto che la legge riconosce al condannato nel processo di Primo Grado di impugnare la sentenza e ricorrere in Appello e poi in Cassazione. Senza alcuna motivazione.

Sembra incredibile in mezzo a tanto clamoroso sfoggio di scienza giuridica, ma è davvero tutto qui.

Tale diritto consente al condannato (ma anche alla Pubblica Accusa) di annullare di fatto il processo e di chiederne la ripetizione davanti alla Corte di Appello, e dopo la seconda sentenza, di chiederne la verifica alla Corte di Cassazione.

E' del tutto ovvio che una sentenza di condanna non fa piacere a nessuno e, visto che ne ha il diritto, per il condannato impugnare la sentenza ha degli oggettivi vantaggi:
1. l'esecutività della sentenza è sospesa, dunque anche la pena è sospesa;
2. il condannato riacquista lo status di imputato in attesa di giudizio, dunque è formalmente innocente fino a prova contraria;
3. visto che dal rinvio a giudizio alla sentenza di Secondo Grado i tempi del procedimento inevitabilmente si allungano, l'imputato può appellarsi alla Prescrizione, il cui effetto è il proscioglimento dalle accuse. La riforma Bonafede, da questo punto di vista, appare non solo illegittima per i motivi esposti sopra, concede anche al condannato di sfuggire alla pena per un tempo indefinito e incoraggia i suoi legali a maggiori sforzi per procrastinare al massimo la sentenza definitiva.

Ora, perché la legge riconosce al condannato il diritto incondizionato di ricorrere in Appello e in Cassazione?
Se il processo di Primo Grado si è svolto con tutte le garanzie di Difesa e Accusa, se è stato imparziale, corretto dal punto di vista procedurale, completo, se non ha posto limiti di alcun genere alle parti, per quale motivo, con una semplice istanza e senza alcun motivo, tutto il lavoro svolto può essere cestinato?
Questo è il punto che sia i sostenitori della riforma Bonafede sia i suoi detrattori fingono di non vedere.

Intendiamoci, negli ordinamenti di tutti i Paesi civili è previsto il diritto di ricorrere in Appello e in Cassazione: è una garanzia per Difesa e Accusa di poter rimediare a sempre possibili errori giudiziari, a vizi di forma, all'operato di giudici non imparziali, al presentarsi di nuove prove non conosciute prima e dunque non prodotte nel dibattimento.
Ma la garanzia del ricorso ha senso solo se esiste una motivazione valida per la richiesta di revisione della sentenza e per la ripetizione del processo. Altrimenti no, non ha alcun senso.
Il processo di Primo Grado soddisfa tutti i diritti delle parti, e la sentenza che ne scaturisce dovrebbe essere definitiva.
Non in Italia però: il Paese del dottor Azzeccagarbugli ha voluto che il processo sia normalmente svolto su tre gradi di giudizio, che solo i più facoltosi possono permettersi, visto che mantenere per anni un collegio difensivo ha un costo notevole. 

E nessuno degli agguerriti contendenti in questo spettacolo di illusionismo che va in scena con la riforma Bonafede mostra la minima intenzione di chedersi il motivo di fatto e di diritto della sua esistenza.

La vera riforma sarebbe quella che modifica gli articoli 593 c.p.p e 348-bis c.p.c in modo da condizionare l'impugnazione della sentenza alla effettiva e comprovabile esibizione di elementi validi per l'accoglimento dell'istanza.

In questo modo il processo durerebbe un paio di anni, la macchina della Giustizia sarebbe alleggerita della metà del suo carico, liberando quindi risorse per recuperare l'enorme arretrato che ha; i procedimenti, con le risorse liberate, sarebbero più veloci e accurati; e finalmente i cittadini tornerebbero ad avere fiducia nella Giustizia.




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