venerdì 29 novembre 2024 - Phastidio

Garanzie pubbliche alle imprese, bomba da disinnescare

C'è una grande spada di Damocle, sul nostro debito: le garanzie pubbliche a favore soprattutto delle piccole e medie imprese. Giorgetti è giustamente preoccupato ma troppe voci vogliono proseguire su questa strada

Intervenendo alla edizione numero 100 della Giornata Mondiale del risparmio, il ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgettiha evidenziato il rischio che un eccesso di garanzie pubbliche possa creare gravi problemi ai conti pubblici. Viene alla mente lo stock di garanzie erogate durante il Covid, ma non c’è solo questo. Per il momento, pare che quei crediti abbiano un tasso di deterioramento e sofferenze del tutto fisiologico e speriamo continui così, ma il problema e il rischio restano.

Un enorme debito potenziale

Ad oggi, sono in essere ben 292 miliardi di euro di garanzie pubbliche (il 13,3 per cento del Pil), a valere sui debiti delle imprese, soprattutto piccole e medie. Giorgetti ha invocato l’esigenza di una “logica selettiva” nella concessione di tali garanzie, soprattutto tale da non determinare un rilassamento delle banche nella valutazione dell’effettivo merito di credito. Ricordiamo che, con le garanzie Covid, i nostri istituti di credito hanno drasticamente ridotto gli accantonamenti a perdite su crediti, e questo è stato il secondo motore della loro eccezionale crescita di redditività degli ultimi due-tre esercizi, essendo il primo il forte rialzo dei tassi d’interesse, che ha ingrassato l’omonimo margine.

Questo il nucleo centrale del pensiero di Giorgetti sul tema:

Con particolare riferimento al mondo delle PMI, l’accesso al credito – specie negli ultimi anni – è stato accompagnato da una notevole presenza di garanzie pubbliche, con gradi di copertura assai elevati.

In assenza di una inversione di tendenza, ciò potrebbe comportare il rischio di un indebolimento nel ruolo di valutazione del merito creditizio da parte degli intermediari finanziari.

È indispensabile, pertanto, preservare una stabile complementarità tra la misura della garanzia pubblica, — seppur più contenuta rispetto ai più elevati livelli di copertura media del periodo emergenziale — ed una costante e mirata opera di valutazione del merito creditizio nei confronti del mondo delle imprese.

Mi pare molto chiaro, così come è chiaro il rischio che queste passività contingenti, soprattutto in caso di deterioramento congiunturale, possano diventare effettive e trasformarsi nel remake dell’emorragia di debito causata dal Superbonus.

 

La strada non è il revisore di Stato

Poiché il compito di un cittadino consapevole è quello di unire i puntini, cercando di non farlo su basi fantasiose, questo condivisibile timore di Giorgetti mi pare si raccordi alla perfezione con la singolare disposizione, contenuta nella bozza della legge di Bilancio, di introdurre un revisore o membro del collegio dei sindaci di nomina Mef nelle aziende che hanno ricevuto sostegni pubblici, diretti e indiretti, per almeno 100.000 euro annui.

La misura ha suscitato levate di scudi dentro la maggioranza, e probabilmente verrà emendata. Come ho osservato, mi pare scritta per ricomprendere sia prestiti e garanzie pubbliche alle imprese che a enti e fondazioni formalmente privati ma che spesso sono parte della vasta categoria dei costi della politica. Quest’ultimo tipo di intervento è molto condivisibile, mentre quello sulle aziende oscilla tra dirigismo di matrice ungherese e -intuisco- sincera ed elevata preoccupazione per prestiti e garanzie che lo Stato ha sin qui prestato. Ma è uno strumento inadeguato e inadatto, sotto questo aspetto, perché difficilmente in grado di prevenire dissesti: al massimo, solo un uso “sportivo” di quelle erogazioni, e neppure in tempo reale.

Quindi sì, il problema esiste e si pone eccome, e bene fa Giorgetti a sollevarlo, con senso di responsabilità. Non so quanto possano essere efficaci gli strumenti scelti, o quanto si possa effettivamente agire a contrasto di una eventuale comparsa di deterioramento massivo di tali crediti, ad esempio in caso di recessione. Abbiamo sulla testa una grande spada di Damocle, in altri termini.

Dissesto garantito

Ma il problema persiste, anche a livello “culturale”, vista la pressione a mobilitare i saldi di conto corrente delle famiglie, e la continua retorica sul loro presunto inutilizzo, che tale non è, visto che le banche possono usarli, anche se con il classico rischio di trasformazione delle scadenze, tra depositi a vista e impieghi a termine. Ma i saldi di conto corrente non sono soldi nel materasso.

Se passa l’idea priva di fondamento e senso economico secondo cui potremmo crescere a passo robusto “se solo i soldi dei conti correnti arrivassero alle imprese, soprattutto piccole e medie”, a tassi calmierati e rappresentativi del famigerato padulo noto come “capitale paziente”, e se passassero idee di puro analfabetismo economico-finanziario come quelle tipicamente gabanellesche sulla rassicurante garanzia pubblica, il problema denunciato da Giorgetti diverrebbe un rischio enorme, peraltro fatalmente catturato dalle agenzie di rating, accusate in questi tempi di “sbagliare candeggio” e non capire l’eccezionalismo del nostro paese. O forse lo capiscono benissimo.

Non esistono scorciatoie per la crescita ma ne esistono moltissime per mettersi nei guai e fare esplodere il debito pubblico. Quindi, bravo Giorgetti ma ora faccia qualcosa di tangibile, grazie. Proteggiamo il risparmio evitando di distruggerlo.

 




Lasciare un commento