domenica 11 gennaio 2009 - Antonio Mazzeo

Flotta internazionale a guida USA per combattere i pirati in Somalia

Una forza navale multinazionale sotto comando degli Stati Uniti d’America è pronta ad operare nelle acque della Somalia nella lotta contro la pirateria. Lo ha reso noto il Comando della 5^ Flotta della US Navy ospitato in Bahrain, che ha pure aggiunto che il contributo USA sarà rappresentato dalla nave anfibia “San Antonio”, capace di trasportare centinaia di marines, e da fregate e cacciatorpediniere dotate di sofisticati sistemi missilistici e di elicotteri multiruolo SH-60 “Lamps”. La flotta prevede la partecipazione di “più di 20 nazioni, molte delle quali provenienti dalla regione”, e sarà diretta dal contrammiraglio Terence McKnight.

Secondo quanto dichiarato all’agenzia Associated Press dal portavoce del Pentagono, colonnello Patrick Ryder, l’invio di questa task force navale nel Golfo di Aden “è un primo passo per creare una struttura internazionale specifica che combini forza militare, condividi intelligence e coordini il pattugliamento per combattere la pirateria in un paese senza legge come la Somalia”. “Gli attacchi pirati – ha aggiunto il portavoce USA – richiedono un impegno prioritario in cui le missioni antiterrorismo nella regione si combinino con la protezione delle navi mercantili”.
 
L’istituzione della flotta multinazionale è l’ultimo atto dell’escalation militare in Corno d’Africa e lascia presagire che il conflitto contro la “pirateria” sarà presto esteso dalle acque limitrofe sin dentro il territorio nazionale somalo. Il 16 dicembre 2008, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione (la n. 1851) che autorizza le forze militari dei paesi membri a “prendere tutte le misure necessarie a contrastare la pirateria all’interno del territorio della Somalia”. La risoluzione, presentata in prima persona dalla Segretaria di Stato uscente Condoleezza Rice, è stata approvata in tempi record anche grazie al sostegno degli ambasciatori ONU di Belgio, Francia, Grecia e Liberia. Per la cronaca, si è trattato della quarta risoluzione anti-pirati sottoscritta nel 2008 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
 
Nelle acque del Corno d’Africa sono già presenti sei navi da guerra degli Stati Uniti, più un imprecisato numero di fregate britanniche, canadesi, russe, indiane, malesi, tedesche, pachistane, keniane, turche e di alcuni emirati arabi. A fine dicembre la marina militare cinese ha inviato in Somalia una nave appoggio e due cacciatorpediniere armate con missili ed elicotteri pesanti, mentre l’Unione Europea ha attivato una speciale task force (nome in codice, “Eunavfor – Task Force 465”), con 6 unità navali, 3 aeri-spia e 1.000 marines di nove paesi membri. La fotta UE ha sostituito il “Gruppo Permanente Marittimo 2 (Snmg2) della NATO con comando italiano, che aveva raggiunto le acque somale nel mese di ottobre dopo la risoluzione ONU che aveva “invitato” i paesi membri a schierare unità militari a protezione delle navi cargo del Fondo Mondiale per l’Alimentazione (World Food Program).
 
Il Comando della 5^ Flotta dell’US Navy ha mantenuto il più stretto riserbo sui paesi che parteciperanno direttamente alle operazioni anti-pirati, ma è assai improbabile che potenze in competizione economica e militare con gli Stati Uniti, come Cina e Russia, possano accettare la leadership USA della flotta multinazionale. Senza dimenticare che le acque somale sono pure pattugliate da unità dell’Iran, “stato canaglia” per l’establishment statunitense, elemento di aperto conflitto che impedisce qualsivoglia ipotesi di collaborazione operativa tra la costituenda forza navale e la marina militare dello stato mediorientale.
 
Congiuntamente all’attivazione della task force anti-pirateria gli Stati Uniti hanno stanziato 5 milioni di dollari per avviare la costituzione di una non meglio specificata “forza di sicurezza” in Somalia. Il finanziamento è stato autorizzato dall’amministrazione Bush il 29 dicembre scorso, esattamente lo stesso giorno in cui il presidente somalo Abdullahi Yusuf ha annunciato le sue dimissioni, sancendo il fallimento del “processo di pace” avviato con l’insediamento del parlamento di Baidoa nel 2004.

“Gli Stati Uniti sostengono e rispettano la decisione di Yusuf dopo quattro anni alla presidenza del Governo Federale di Transizione”, si legge nella nota emessa dal Dipartimento di Stato USA. “Gli Stato Uniti condividono l’invito di Yusuf a continuare a sostenere il processo di pace avviato a Gibuti nel giugno 2008, quando i membri del Governo di Transizione e l’Alleanza per la Liberazione della Somalia si sono accordati per ridurre le ostilità e stabilire incluso una forza di sicurezza comune. Esortiamo il presidente del Parlamento Madoobe, il primo ministro Nur Adde ed i leader dell’Alleanza per la Liberazione della Somalia ad intensificare gli sforzi per un governo di unità nazionale ed accrescere la sicurezza attraverso la formazione di una forza di sicurezza comune”.
 
Oltre a definire le finalità e i mezzi del “processo di riconciliazione” nel martoriato paese africano - da cui sono debitamente escluse le organizzazioni islamiche fondamentaliste, maggioritarie - Washington auspica infine la “rapida autorizzazione e dislocazione in Somalia di una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite”.
 
Nel solo triennio 2006-08, gli Stati Uniti hanno stanziato più di 230 milioni di dollari a favore di programmi di “assistenza umanitaria” in Somalia. Ad essi si aggiungono 11,2 milioni di dollari per l’acquisto e la distribuzione di alimenti alla popolazione, amministrati direttamente da USAID, l’Agenzia per gli aiuti allo sviluppo USA.



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