martedì 8 maggio 2018 - Aldo Giannuli

Flat tax, perché è una truffa ed un errore geopolitico

Come è noto, la bandiera di battaglia del centrodestra è stata la flat tax, che consiste nel fissare un’unica aliquota fiscale (nel nostro caso al 15%) sui redditi. Questo, affermano i suoi sostenitori, dovrebbe far crollare la pressione fiscale, attirare nuovi grandi contribuenti da altri paesi e vengono citate le esperienze di altri paesi che hanno adottato con successo questa formula fiscale. In effetti la Bolivia, insieme ad alcuni stati minori latino americani, il Madagascar, l’Arabia Saudita e quasi tutto il blocco dell’est europeo hanno adottato questo sistema ed, in alcuni casi (in particolare Estonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) la cosa ha dato risultati positivi attirando capitali erratici, ma siamo sicuri che sarebbe la cosa giusta da fare in Italia?

In primo luogo c’è un problema di ordine costituzionale perché l’articolo 53 prescrive che il sistema fiscale sia informato a criteri di progressività, per cui i redditi più alti siano sottoposti a percentuali via via crescenti.

Danilo Toninelli (M5s) ha recentemente affermato che la flat tax va bene purché progressiva. Ignoro cosa sappia Toninelli in materia, e quali siano le sue conoscenze dell’inglese, ma flat in inglese significa “piatto”, quindi flat tax è la “tassa piatta”: come ha una cosa piatta, cioè uguale per tutti, ad essere progressiva? E’ un po’ come dire che il terremoto non sarebbe male se fosse desismizzato o che il nero va bene purché sia bianco. Neppure giocando sulle esenzioni per i non abbienti si ottiene di rendere progressiva la tassa perché il suo scopo è proprio quello di abbattere la pressione fiscale sui redditi più alti.

Quindi, è ovvio che l’effetto inevitabile è quello di aumentare le diseguaglianze sociali consentendo ai più ricchi di economizzare sul proprio versamento fiscale. Sembra del tutto ovvio e non si capisce come non sia immediatamente compreso: a volte è davvero difficile capire cosa e come pensi la gente.

Ma giochi verbali a parte, entriamo nel merito della proposta che i suoi sostenitori ritengono una riforma a “costo zero” che si ripagherebbe da sola perché:
a. abbatterebbe l’evasione fiscale per effetto della minore pressione, così assicurando un gettito fiscale aggiuntivo che compenserebbe le perdite per l’abbassamento delle aliquote
b. sottraendo soldi alla fiscalità produrrebbe nuovi investimenti, con nuova occupazione, che produrrebbero ulteriore crescita e quindi maggiore gettito fiscale
c. attirerebbe grandi contribuenti da tutto il mondo, con ulteriore aggiunta di entrate per lo Stato.

Premesso che è certamente auspicabile un sensibile abbattimento della pressione fiscale, non si vede perché questo debba avere la forma dell’appiattimento, andando a favore solo dei più abbienti e non debba essere realizzata su tutta la scala o addirittura in modo premiale per i redditi più bassi, vediamo quanti di questi argomenti siano credibili.

In primo luogo, è certamente vero che un inasprimento della pressione spinge verso una maggiore evasione fiscale, ma, purtroppo, non è affatto sicuro il contrario, cioè che abbassando le tasse diminuisca la propensione ad evaderle. Può darsi che chi evade le tasse lo faccia in stato di necessità, magari per evitare il fallimento dell’impresa commerciale, ma non è affatto detto che, una volta scoperto il modo di evadere il fisco, poi sia disposto a tornare indietro. Quanto agli altri, quelli che già evadono non per necessità, ma per dare il meno possibile allo Stato, va da sé che qualsiasi abbassamento non ne modificherebbe il comportamento. In altri termini, se l’evasione è parzialmente funzione della pressione fiscale, il suo calo non è funzione dell’entità della tassazione, quanto dell’efficacia dei controlli. E non è scritto da nessuna parte che per attuare controlli efficaci si debba adottare una tassazione piatta, sono cose indipendenti l’una dall’altra.

Secondo argomento: crescerebbero gli investimenti nell’economia reale. Dove sta scritto? In questi 10 anni, le banche centrali hanno inondato il mercato di liquidità a bassissimo costo, ma la parte piùcospicua non è andata all’economia reale ma ad impieghi finanziari che hanno fatto crescere nuove bolle finanziarie, come ha recentemente dichiarato la responsabile del Fmi, Christine Lagarde, ipotizzando entro un paio di anni una nuova recessione come quella del 2008-9. E infatti, si è prodotto un classico Minsky moment, per dirla con il linguaggio degli economisti, per il quale all’aumento della liquidità non corrisponde un aumento dell’inflazione.
Per quale motivo dovrebbe andare diversamente in questo caso?

Più complicato è il terzo punto riguardante l’ “importazione” di grandi contribuenti che richiede una diversificazione dei casi.
In Arabia Saudita, paese i cui introiti sono dipendenti più dalla rendita petrolifera che altro, la misura è stata adottata con logica più difensiva che offensiva, cioè più per evitare una emorragia di capitali verso l’estero che per attirarne. E infatti l’aliquota è la più bassa del mondo (il 2,5%) ma non pare che ci sia stato alcun particolare afflusso di capitali stranieri, perché giocano altri fattori (il sistema giudiziario e le garanzie che offre, il rischio paese, la difficoltà di operare sulle piazze finanziarie mondiali ecc.).

Secopndo caso la Russia che, dopo l’introduzione della flat tax nel 2000, registrò una esplosione delle entrate statali grazie al recupero sull’evasione. Ma, come avvertì lo stesso Fondo Monetario, non è affatto chiaro quanto questo sia stato dovuto all’adozione della tassa piatta e quanto allemisure di controllo molto più stringenti del passato… appunto. Anche qui l’afflusso di capitali stranieri è stato piuttosto limitato (anche se c’è stato qualche “caso celebre” come quello di Gerard Depardieu che ha preso la cittadinanza russa abbandonando quella francese).

Nella grande maggioranza, tuttavia, la misura è stata adottata da paesi piccoli e molto poveri, nei quali anche l’arrivo di pochi grandi contribuenti può essere una boccata d’ossigeno. E c’è da considerare anche un altro aspetto: i capitali erratici in molti casi non odorano esattamente di gelsomino e, molto spesso, hanno origine criminale.

Tutto questo spiega il perché l’afflusso di capitali in cerca di debole pressione fiscale ci sia stato ma non oltre certi limiti. Spostare la propria residenza fiscale in un piccolo paradiso fiscale (che di questo si tratta) comporta non pochi svantaggi: il rischio paese in primo luogo, ma anche il pericolo di attrarre troppo l’attenzione di qualche occhiuto servizio segreto di grande potenza (e mi pare che ci siamo già dimenticati del caso di Panama), il bisogno di alcune grandi concentrazioni di capitale di poter godere dell’appoggio di una grande potenza in casi particolari, la possibilità di dover corrispondere una doppia tassazione quando si continui ad avere impianti o anche solo uffici in un paese diverso eccetera eccetera (la questione è tutt’altro che risolta anche per la presenza di una società in più paesi anche a prescindere da questioni fiscali). Sin qui, in Europa e fra Europa ed Usa c’è stata una sorta di guerra fiscale fra stati: ad esempio l’Olanda che ha vampirizzato il Portogallo offrendo una tassazione molto più bassa e dove ha preso domicilio fiscale la Fca (ex Fiat). Tuttavia non si è andati oltre certi limiti per cui, nonostante le proposte in materia negli Usa ed in Olanda, nessun paese occidentale ha adottato sin qui la flat tax, nella consapevolezza che se qualcuno lo facesse partirebbe la guerra di tutti contro tutti. Ad esempio, se partisse la guerra al ribasso in Europa, per cui l’Italia fissa la tassa al 15%, la Francia, per ritorsione, al 14%, poi la Germania al 12% e così via, potrebbe sopravvivere la Ue?

Ma, anche immaginando che diversi miliardari stranieri siano disposti a fissare qui il loro domicilio fiscale (parte che in 160 siano già pronti a sbarcare) chi può garantire che il loro gettito sarebbe sufficiente a compensare la diminuzione prodotta dalla riforma? In effetti non è detto che l’Italia sia poi così attraente per altre ragioni: si pensi alla lentezza del sistema giudiziario che è stato uno degli argomenti ostativi più forti al trasferimento degli operatori della City londinese che stanno preferendo Parigi, Bruxelles o Francoforte.

Dunque non è probabile che siano poi davvero tanti quelli disposti a venire. Ed in quel caso, se le entrate non bastano che si fa? La spesa oltre certi limiti non può scendere, anche perché già ci sono 60 miliardi e passa di interessi sul debito (cui però andrebbero sommati gli interessi sul debito degli anti locali e quelli per i depositi presso la Cdp). Stampare denaro non si può, Fare altro debito? Dubito che i partner europei ce lo concedano, per di più per consentirci di soffiargli grandi contribuenti.

Allora il rimedio è un altro: aumentare l’Iva, le accise sulla benzina, le tariffe dei servizi pubblici, le tasse locali come la Tari, te tasse universitarie, i ticket sui medicinali eccetera. In definitiva, trasferire sui ceti popolari il peso del mancato introito per gli sconti fatti ai più abbienti. Cioè, come al solito nell’ordinamento neo liberista: fai più ricco il ricco e più miserabile il povero!

Aldo Giannuli




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