mercoledì 10 maggio 2023 - Phastidio

First Republic Bank: la banca che si dissestò prestando ai ricchi

La storia perversamente affascinante della banca finita nei guai non coi mutui subprime ma con quelli superprime, cioè ultra sicuri per il creditore

Una delle cose più perversamente affascinanti delle crisi finanziarie è il loro post mortem, la ricerca di cause e concause e delle dinamiche, di mercato e istituzionali-normative, che le hanno generate. Questi post mortem di solito producono due tipi di “lezioni”: una di valore permanente, l’altra contingente e in genere illusoria. La seconda è rappresentata dalle reazioni dei regolatori alle crisi, con nuove norme e vincoli, che i manager delle istituzioni vigilate devono rispettare in modo ritualmente maniacale, pena draconiane sanzioni. La prima, quella che conta, ci spiega che la prossima crisi nascerà dove i regolatori non l’attendono, perché i mercati finanziari sono una collezione di punti ciechi e loopholes da sfruttare. La chiamano innovazione, in senso assai lato.

Oggi parliamo della affascinante (sempre in senso perverso) analisi del dissesto di First Republic Bank, una delle banche di cosiddetta seconda fila che sono finite in dissesto o peggio a seguito della crisi di Silicon Valley Bank. La dinamica del dissesto sembra uguale: fuga dei depositi dopo che i clienti e il mercato hanno scoperto che le banche hanno attivi che si sono molto svalutati a seguito del rialzo dei tassi.

MUTUI AI RICCHI, INTEREST ONLY

Ma First Republic è una peculiare variazione sul tema, come scoperto da Bloomberg. Nel senso che l’attivo che si è pesantemente deprezzato non è tanto e solo quello dei titoli in portafoglio bensì il portafoglio prestiti. In che senso? Forse il rialzo dei tassi ha causato un boom di insolvenze, magari tra i debitori più fragili come accaduto una quindicina di anni addietro coi subprime? Per nulla. Anzi, esattamente l’opposto.

First Republic Bank negli anni ha offerto mutui a ricchi clienti, quelli con merito di credito stellare. Questi mutui avevano tassi molto bassi, in linea con quelli ufficiali (quindi spread basso o quasi nullo). Ma soprattutto, erano del tipo “interest only“. Cioè i debitori pagavano rate composte di soli interessi, fissati ai minimi del ciclo di mercato, durante la pandemia. il rimborso del capitale avveniva dopo parecchi anni, di solito cinque o dieci. In contropartita, affidavano alla banca la loro liquidità, non solo aziendale ma anche personale, da investire in prodotti di wealth management o da tenere sui conti a vista. Una macchina da soldi in moto perpetuo, una delle tante che punteggiano la storia delle umane illusioni.

Quando il panico si è diffuso e la liquidità è evaporata a tempo zero, anche gli attivi di First Republic mostravano forti perdite sul portafoglio di titoli a tasso fisso, anche governativi. Ma c’era altro, ben altro: anche il valore di eventuale cessione dei mutui era precipitato, perché moltissimi mutui erano basati sul solo pagamento di interessi a tasso fisso e niente rimborso di capitale, per molti anni a venire. Bingo alla rovescia. Per gli amanti dei termini tecnici, questi mutui avevano una duration (durata media finanziaria) molto elevata. E, come noto, quando i tassi salgono, gli investimenti a maggiore duration sanguinano, anche copiosamente.

Qualche numero estratto da Bloomberg: a fine 2022, la banca aveva stimato un deprezzamento di 19 miliardi di dollari del valore dei mutui concessi, per effetto dell’aumento dei tassi su prodotti a tasso fisso che in gran parte avrebbero visto l’ammortamento di capitale solo dopo molti anni. A fronte di “soli” 4,8 miliardi di perdite non realizzate su obbligazioni che la banca intende detenere sino a scadenza e circa 3 miliardi di dollari di svalutazioni su altri tipi di prestiti.

UNA VORAGINE SUI MUTUI

In totale, quindi, un buco di valutazione degli attivi di circa 27 miliardi di dollari, a fronte di un capitale azionario tangibile di solo la metà. Si chiama fallimento. Un aspirante compratore a zero dollari si troverebbe comunque con un buco di capitale di circa 13 miliardi di dollari, e necessiterebbe di una “dote” di pari importo, non è chiaro pagata da chi. O forse rischia di essere sin troppo chiaro.

Quindi, per First Republic, il punto non erano tanto le svalutazioni potenziali su titoli di stato quanto il portafoglio prestiti, segnatamente i mutui concessi a facoltosi clienti. La reazione di sistema, organizzata dalla Segretaria al Tesoro, Janet Yellen, e dai maggiori banchieri statunitensi, primo fra tutti il boss di JPM, Jamie Dimon, è stata quella di trasfondere in First Republic 30 miliardi di dollari di depositi, per almeno tre mesi. Ma, date le condizioni, nel momento in cui quei depositi dovessero uscire, il fallimento sarebbe istantaneo.

First Republic può prendere tempo cercando di rafforzare il conto economico, cioè guadagnare di più sui prestiti. Ma è dura farlo quando circa il 60% dei mutui concessi è a tasso fisso su minimi storici e non prevede rimborso di capitale (da reimpiegare a migliori condizioni) ancora per molti anni: in media, sino al 2028. La banca si sta indebitando presso il creditore di settore, Federal Home Loan Bank, a un tasso stimato in circa il 5%, mentre il rendimento del suo portafoglio prestiti e titoli è stimato intorno al 3,5%. Altro che utili, qui si sta incenerendo capitale.

First Republic era la banca dei ricchi. Il punteggio medio di credito dei mutuatari era di 780, ben superiore alla soglia di 720 punti che identifica i cosiddetti debitori “super prime”. Cioè, come detto, l’opposto dei subprime. I mutuatari di First Republic che hanno scelto mutui “interest only” guadagnano in media un milione di dollari l’anno, contro il mezzo milione medio portato a casa dai clienti della banca che hanno scelto mutui tradizionali, con quota capitale in ammortamento immediato. A fine 2022, circa due terzi dei depositi presso First Republic eccedevano la soglia di 250 mila dollari di assicurazione federale sui depositi.

I mutui interest only ebbero un momento di grande successo a inizio anni Duemila, quando il primo forte taglio dei tassi da parte della Fed, per contrastare le ricadute dello scoppio della bolla tecnologica, spinsero le banche ad aumentare i crediti anche a debitori di minore merito di credito. La cosiddetta innovazione finanziaria, con lo sviluppo delle cartolarizzazioni e la dispersione nel sistema dei debiti subprime agevolò la successiva infezione.

RISCHI SU RISCHI

Secondo una analisi di Bloomberg, nel biennio 2020-21, cioè ai minimi dei tassi, First Republic ha concesso mutui interest only per oltre 19 miliardi di dollari in tre aree metropolitane: New York, San Francisco e Los Angeles. Sommando rischi a rischi. Che oggi si materializzano nei licenziamenti massivi del settore tech, nello scoppio della bolla delle valutazioni del venture capital e nel pesante sottoutilizzo degli spazi negli immobili destinati a uffici, che sta coltivando la prossima crisi. Quindi, anche se oggi i debitori sono altamente affidabili, tra qualche anno la loro condizione personale potrebbe essere mutata anche drasticamente, e la garanzia sottostante (l’immobile) potrebbe essersi pesantemente deprezzata.

Come puntellare First Republic e prendere tempo in attesa di sbrogliare la matassa, quindi, tenendo presente il risvolto morale del salvataggio di una banca che ha prestato a condizioni stracciate a clienti ricchi? C’è chi suggerisce di estendere ai mutui la linea di credito creata a marzo dalla Fed (Bank Term Funding Program), che oggi prevede di fornire liquidità dietro pegno di soli titoli di stato e mutui con garanzia federale, al loro valore nominale e non di mercato. Ma si tratterebbe dell’ennesimo strappo alle regole.

Questa è la storia di un mondo alla rovescia: di una banca che si è dissestata non coi subprime ma coi superprime, cioè prestando ai ricchi. E che non vide arrivare il rialzo dei tassi, dopo aver preso rischi abnormi ai minimi di rendimento da un secolo a questa parte. Non è un cigno nero, è cecità. C’è un denominatore comune, in queste crisi in apparenza differenti? Certo che sì: le conseguenze del rialzo dei tassi, cioè il rientro dal mondo a tassi zero o negativi. C’è molto di sistemico, in queste presunte crisi idiosincratiche.

  • Aggiornamento 1 maggio 2023: depositi e attivi di First Republic sono rilevati da JPM, dopo asta competitiva sollecitata da FDIC. Per l’occasione, la banca guidata da Jamie Dimon ottiene una deroga al tetto del 10% dei depositi nazionali, che avrebbe impedito l’acquisizione. Sempre più too big to fail. FDIC si carica di una perdita di risoluzione stimata in 13 miliardi, che si sommano ai 20 miliardi che è costata la risoluzione di Silicon Valley Bank. Il caso è chiuso, si attende il prossimo.

 




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