venerdì 4 agosto 2017 - Essere Sinistra

Fine vita: l’impegno delle comunità cristiane minori per il diritto a morire con dignità

Alcune comunità cristiane minori, come quella valdese e quella protestante francese, sono impegnate da anni nella promozione della cultura laica. In particolare, sono le questioni bioetiche di fine vita ad aver destato grande interesse tra queste comunità che hanno assunto posizioni spesso contrastanti con quelle della Chiesa cattolica in difesa della cultura laica.
 

di Valentina ERASMO (MicroMega online 23.3.2017)

Il gruppo di lavoro per le questioni poste dalla scienza della Tavola Valdese si è pronunciato già nel 1998 sulle questioni di fine vita per sostenere il diritto del paziente a poter morire con dignità. Come i cattolici, i valdesi ritengono che la vita umana sia sacra, in quanto conferita da Dio ma, al contempo, il paziente ha il diritto di poter morire liberamente qualora ritenga che le sue sofferenze abbiano compromesso la sua dignità.

A differenza delle piante e degli animali, l’esistenza umana non ha una dimensione esclusivamente biologica: questa si caratterizza anche come biografica, data da quella trama di relazioni sociali che un individuo può stabilire e dai progetti che può pianificare. E’ l’esistenza biografica, non quella biologica, a conferire dignità ad una vita ed è quella che rischia di venir meno in malati terminali o pazienti affetti da morbo di Alzheimer o che potrebbe non appartenere più a pazienti in stato comatoso. Come tra i valdesi, la dignità è centrale nella difesa del diritto a poter morire liberamente nella riflessione dell’ÉPUdF (Église Protestante Unite de France) nella sua duplice accezione universale e particolare. Si vedranno meglio questi aspetti connessi alla dignità dell’esistenza umana di seguito.

L’obiettivo di questo articolo è quello di mostrare le principali argomentazioni con le quali alcune comunità cristiane minori difendono il diritto del paziente a poter morire dignitosamente, in nome di quel valore superiore alle argomentazioni pastorali che si può definire come ‘umana laicità’.

Metodologicamente, si è scelta una prospettiva cristiana ‘eterodossa’, perché la difesa della laicità nelle questioni di fine vita non vede impegnati i soli atei ed agnostici: il diritto di poter morire dignitosamente è laico, quindi si colloca al di sopra delle questioni confessionali.
In maniera distinta e complementare a questa preminenza della laicità, si vuole sottolineare come il diritto a poter morire liberamente non sia incompatibile con una prospettiva di fede cristiana, contrariamente a quanto si crede.

Difatti, se i cattolici vedono nel dolore un modo per accostarsi alle sofferenze patite dal Cristo, non tutti i cristiani si riconoscono in questo assunto.

232 è il numero delle richieste rivolte all’Associazione Luca Coscioni per ottenere l’eutanasia all’estero nel 2015: nello specifico, sono in media 50 gli italiani che richiedono e molti di essi riescono ad ottenere il suicidio assistito in Svizzera. Dalla somministrazione del Pento Barbital di Sodio, sono sufficienti solo dieci-minuti per porre fine alle sofferenze del malato, con un costo complessivo per l’assistenza medico-sanitaria di 10mila euro nelle cliniche svizzere [i].

L’auspicio è quello di una celere quanto necessaria riforma per la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito in tutte le nazioni europee, seguendo gli esempi di Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo: i pazienti hanno diritto a morire dignitosamente nella propria nazione e uno Stato laico, attento al benessere dei propri cittadini, dovrebbe fornire tali servizi medico-assistenziali con la piena collaborazione del personale sanitario per adempiere all’ultima volontà del paziente.

2. L’eutanasia e il suicidio assistito, il documento del gruppo di lavoro per le questioni poste dalle scienza per il diritto del paziente a poter morire con dignità

L’innovativo documento L’eutanasia e il suicidio assistito voluto dalla Tavola Valdese vede la sua pubblicazione nel 1998: documento non è approvato, ma diventa un punto di partenza per l’apertura del dibattito all’interno delle comunità valdesi e metodiste. Si riportano i suoi principali contenuti al fine di mostrare la portata di questo documento.

Nella premessa si evidenzia il crescente interesse, sia dell’opinione pubblica che degli specialisti che operano nel settore, rispetto alla cura e all’assistenza di malati inguaribili, nonché alle prospettive dell’eutanasia e del suicidio assistito. Le due argomentazioni principali del gruppo di lavoro a sostegno di queste pratiche sono il rispetto per l’autonomia del paziente (definita nei punti 2.8 e 5.6 del Documento) e la necessità di prestare aiuto a chi rivendica il diritto a morire con dignità ( presente nei punti 4.3 e 5.4).

Sin da queste due argomentazioni è chiara l’apertura della comunità valdese rispetto ad eutanasia e suicidio assistito, appellandosi ad un diritto e ad un dovere: il diritto del paziente a potersi avvalere del principio di autodeterminazione- che ha sostituito l’approccio medico di stampo paternalistico-, e il dovere del personale medico-sanitario di assistere terapeuticamente e psicologicamente il paziente nella sua volontà di poter morire liberamente.

Il primo numero del Documento è dedicato alle Definizioni fondamentali del lavoro, tra cui spicca quella dell’eutanasia che consiste nel:

“porre termine a una situazione di sofferenza tanto fisica quanto psichica che il malato, o coloro ai quali viene riconosciuto il diritto di rappresentarne gli interessi, ritengono non più tollerabile, senza possibilità che un atto medico possa, anche temporaneamente, offrire sollievo”[ii].

Dunque, questa è una forma di sollievo dalle sofferenze subìte dal paziente, che può essere richiesta dallo stesso o dai suoi cari, laddove egli non sia più in grado di farne richiesta. Leggendo attentamente la definizione fornita, l’eutanasia è anche constatazione dei limiti della scienza di fronte a determinati quadri clinici nel fornire un rimedio, quantomeno temporaneo, alle sofferenze del paziente.

Occorre precisare che i valdesi si riferiscono all’eutanasia passiva nei termini di ‘astensione terapeutica’, cioè quella praticata con la sospensione di mezzi terapeutici ordinari e straordinari, lasciando il termine ‘eutanasia’ a quella attiva che viene praticata con la somministrazione di farmaci letali, il più diffuso, il cloruro di potassio.

Quanto alla medicina palliativa, questa non comporta responsabilità penali o etiche da parte del personale medico coinvolto nella somministrazione di questi farmaci: difatti, la morfina non causa la morte immediata del paziente, poiché il decesso sopravviene come effetto collaterale dell’uso prolungato del farmaco.

Nel numero 2 del Documento, l’attenzione è rivolta al crescente interesse rivolto al suicidio assistito, testimoniato dalle 296 citazioni in materia in riviste oncologiche specializzate dal 1991 al 1996, contro le sole 21 del decennio precedente. Questi dati esprimono il maggior interesse rivolto alla qualità della fase terminale della vita.

Rispetto al suicidio assistito, i valdesi hanno posto attenzione sulla liceità o meno che il medico assista il paziente nel suicidio, ponendo così la questione più sul ruolo del personale medico-sanitario che su quella malato. Il Documento riconosce due ostacoli alla depenalizzazione del suicidio assistito: da un lato, la giurisprudenza di molte nazioni europee che inquadrano questa pratica nei reati di omicidio; dall’altro lato, i paradigmi etici che difendono la sacralità del vita, sia cattolici che a-confessionali.

Anche su questo punto, la Commissione valdese ha individuato un’argomentazione forte favorevole a quei medici che aiutano i pazienti nel suicidio assistito: se la medicina non ha più strumenti per guarire o alleviare le sofferenze del paziente, il dovere del medico diventa quello di assistere il paziente per aiutarlo a morire con la minore sofferenza possibile.

Nel punto 3 del Documento è contenuta un’analisi dettagliata delle situazioni cliniche in cui vengono maggiormente richieste l’eutanasia e il suicidio assistito: questi corrispondono ai malati terminali affetti da cancro, ai malati di Aids o ai pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Il fatto che la richiesta di porre fine alla propria esistenza sia maggiormente diffusa tra questi malati è dovuta al fatto che sono patologie degenerative rispetto alle quali non ci sono speranze di guarigione.

Quanto al punto 4 del Documento, questo è dedicato alla necessità di individuare nuovi orientamenti nel tentativo di trovare una risposta univoca e condivisibile sulle questioni di fine vita. Indubbiamente, l’eutanasia e il suicidio assistito risultano essere le tematiche più scottanti: per i valdesi, i medici devono limitarsi a rispettare la libera decisione presa dal paziente ma, se questo è incosciente, si potrebbe non essere a conoscenza della volontà del paziente. Nel punto 4 è presente la significativa distinzione tra vita biologica e vita biografica:

“quando la vita biografica cessa, come nel caso di uno stato vegetativo permanente, oppure divenga intollerabile, come nelle malattie terminali, deve essere presa in considerazione l’eventualità di porre termine alla vita biologica.” [iii]

Per interrompere trattamenti in un paziente in stato comatoso, al quale è rimasta la sola vita biologica permessa dai trattamenti medico-sanitari, è necessario conoscere la sua volontà in merito. Dunque, il testamento biologico è strumento indispensabile per conoscere le disposizioni anticipate di trattamento, sollevando così i congiunti dall’assumere una decisione così importante in materia di fine vita.

Il gruppo di lavoro valdese si è misurato con una delle argomentazioni classiche contro l’eutanasia e il suicidio, quale il cosiddetto ‘pendìo scivoloso’, ossia il rischio dell’attuazione generalizzata ed indiscriminata di queste pratiche, conducendo persino alla legittimità dell’uccisione di anziani, diversamente abili o disadattati. Rispetto a questo argomento, la Commissione vuole precisare che le questioni di fine vita non vanno associate alle pratiche ‘eugenetiche’ compiute negli anni del nazismo, pertanto risulta inopportuno un accostamento simile.

Certamente, i valdesi ritengono che il riconoscimento del diritto a poter morire con dignità debba procedere di pari passo con la reale volontà del paziente e all’interno di regole specifiche e controlli validi per evitare il verificarsi di casi di eutanasia non richiesta, come accade di frequente nei Paesi Bassi.

Per evitare questi episodi, il punto 4.14 del Documento ritiene necessaria una completa ed adeguata informazione del paziente rispetto alle sue prospettive di vita e di morte da parte del medico, ad eccezione che il malato non desideri esserne informato.

Passando al punto 5 del Documento, in questo sono contenuti ulteriori chiarimenti al fine di distinguere la ‘sospensione terapeutica’ dall’eutanasia. La prima è come se lasciasse che la morte sopraggiunga senza cercarla di ritardarla con terapie e strumenti medici, mentre l’eutanasia causa immediatamente e direttamente la morte del paziente.

A questo punto, occorre interrogarsi sul perché una comunità cristiana, come quella valdese, si stia battendo a difesa del diritto del paziente a poter morire dignitosamente. Si presentano due risposte: una di carattere ideologico, l’altra teologico. Quella ideologica consiste nella difesa della laicità, la quale può essere ragionevolmente sostenuta da un cristiano; quella teologica riguarda l’insensatezza della sofferenza ai fini dell’autoredenzione, diversamente dai cattolici.

Le comunità valdesi differiscono con le loro argomentazioni dal paradigma cattolico (e non) che difende la sacralità, quindi l’indisponibilità, della vita umana proprio per aver anteposte la sofferenza e la dignità del malato alle normative della pastorale o a presunti codici etico – morali. Il dolore sofferto dal malato deve diventare misura per accogliere la sua richiesta di poter morire.

Presso i valdesi è forte l’elemento relazionale ed è proprio in virtù di quest’ultimo che è avvertito il dovere morale da parte di una comunità di assistere un proprio membro nei momenti più difficili della sua esistenza, anziché opporsi alla sua richiesta d’aiuto.

3. Gli sviluppi più recenti della battaglia delle comunità cristiane minori per la depenalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito

La breve analisi condotta sul Documento voluto dalla Tavola valdese ha mostrato come l’impegno di questa comunità per la depenalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito sia presente sin dagli anni Novanta. Secondo i valdesi, queste pratiche non vanno impedite né giuridicamente, perché non si trattano né di forme di omicidio, né con motivazioni legate alla pastorale, in quanto non sono né atti contrari a Dio, né il dolore può essere considerato una forma di autoredenzione.

Al 2007 risale il Sinodo delle comunità valdesi e metodiste in cui si sollecita l’approvazione di una legge per le dichiarazioni anticipate di trattamento da parte del Parlamento italiano, al fine di colmare almeno parzialmente il vuoto normativo in materia di fine vita della legge italiana.

Quando nel 2011 si approva in Parlamento una versione più restrittiva del disegno originario di legge del decreto Calabrò, la Commissione bioetica della Tavola valdese ha presto manifestato il suo dissenso a riguardo. Il coordinatore della Commissione bioetica, Luca Savarino, è contrario a questa approvazione parziale del decreto Calabrò, vedendolo così trasformato in un decreto legge contro l’eutanasia, piuttosto che sulle dichiarazioni anticipate di trattamento.

Il decreto approvato in Parlamento viene criticato da Savarino per le seguenti ragioni: il restringimento della libertà individuale e l’anticostituzionalità del decreto stesso, individuabile nel ricorso a principi confessionali, come quello dell’indisponibilità della vita umana (art.1), chiaramente contrari alla laicità dello Stato. Inoltre, sempre nel decreto Calabrò, si approva la non vincolabilità della volontà del paziente per il personale medico-sanitario e l’inaccettabilità della classificazione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale come mezzi ordinari di trattamento.

Questo cosa implica? Seppur il testo approvato è basato sul decreto Calabrò, riconoscendo la possibilità del paziente a stilare le sue dichiarazioni anticipate di trattamento, il medico non è vincolato ad osservarle e l’eutanasia è ancora considerata una forma di omicidio in Italia. Quanto alla classificazione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale come mezzi ordinari di trattamento fa sì che non si possa richiedere la loro sospensione nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.

A fronte dei contenuti del testo approvato, nel quale si riconosce la possibilità di disporre solo di parziali dichiarazioni anticipate di trattamento, Savarino ritiene che il vuoto normativo sia preferibile ad un decreto anticostituzionale e limitante la libertà del paziente nel decidere sulla sua fine.

Nonostante il deludente testo approvato in Parlamento in materia di fine vita, i valdesi proseguono nella loro difesa del diritto del paziente a poter morire con dignità e porre fine alle proprie sofferenze: sono oltre seicento i testamenti biologici raccolti presso gli sportelli predisposti nella Chiesa valdese di Milano, come espressione di convivenza tra laicità e libertà con la fede cristiana, senza che queste si ostacolino vicendevolmente.

La Chiesa valdese si è distinta tra le comunità cristiane minori per l’impegno profuso in materia di fine vita, ma non è l’unica. Un altro caso estremamente interessante è quello dell’ ÉPUdF (Église Protestante Unie de France) che, in occasione del primo Sinodo tenutosi a Lione nell’aprile 2012, hanno scelto di discutere sulle questioni di fine vita come ordine del giorno. Altrettanto si è discusso tra le chiese evangeliche battiste e delle chiese evangeliche libere, entrambe di Francia.

La comune volontà di queste comunità cristiane minori è quella di partecipare attivamente e costruttivamente al dibattito pubblico sul fine vita.

Sin dal primo Sinodo comune della Chiesa luterana e riformata, si è avvertita l’esigenza di discutere su due tematiche fondamentali, quali la natura della dignità e della libertà dell’individuo.

Per affrontare queste tematiche, il Sinodo della chiesa protestante di Francia è ricorsa al paradigma universale – particolare: le questioni bioetiche sono universali poiché riguardano tutto il genere umano indiscriminatamente, mentre i casi dei singoli pazienti sono particolari poiché ogni caso è diverso dall’altro.

Attraverso questo paradigma universale – particolare, la chiesa protestante di Francia tenta di rispondere alla questione sulla natura della dignità umana: essa è universale, poiché è intrinseca nell’uomo, quindi nessun evento o persona può lederla; la dignità è particolare nella misura in cui è espressione delle scelte compiute liberamente da un individuo (ad esempio, la scelta del paziente di voler morire per porre fine alle proprie sofferenze, come affermazione della propria dignità in senso particolare). Ed è in questa seconda accezione della dignità che si colloca la libertà individuale nella sua accezione decisionale.

Il Sinodo dell’ÉPUdF sostiene che la dignità universalmente intesa non può essere privata dalla malattia, quella particolare sì. Conformemente a questa distinzione, il paziente può ritenere opportuno morire come affermazione della sua dignità particolare, seppur quella universale non possa essere mai lesa perché è quella conferita da Dio: su questo aspetto, l’argomentazione adottata dall’ÉPUdF assume una chiara connotazione cristiana.

Analogamente alla comunità valdese, la chiesa protestante francese si è dichiarata favorevole alla medicina palliativa per alleviare le sofferenze del paziente, insieme ad una formazione specifica del personale medico-sanitario per consentire di assistere i malati psicologicamente ed emotivamente. In Francia, la legge che ha legittimato l’impiego della medicina palliativa è la ‘Legge Léonetti’ entrata in vigore nel 2005. Questa legge prevede il ricorso alla terapia del dolore, seppur questa possa accelerare il decorso di alcune patologie degenerative, sebbene l’eutanasia attiva resta vietata.

Tuttavia, la medicina palliativa spesso non è in grado di eliminare il dolore fisico o la sofferenza psichica patiti dal paziente, ragion per cui l’ ÉPUdF vede come necessaria l’introduzione di una legge che autorizzi ad accelerare il processo di morte nei casi più estremi.

Una legge simile dovrebbe, da un lato, non essere troppo rigida, in modo da comprendere un’ampia casistica a cui potrebbe essere applicata; dall’altro lato, non dovrebbe essere fin troppo permissiva per evitare casi di eutanasia non richiesta dal paziente, come è già accaduto nei Paesi Bassi.

L’appello conclusivo del primo Sinodo dell’ ÉPUdF è rivolto a tutte le comunità cristiane, esortandole non a proibire pratiche come l’eutanasia e il suicidio, bensì a limitarsi ad assistere spiritualmente i pazienti ed accompagnarli verso l’ultima ora non con il dissenso della pastorale, ma con il conforto della fede.

4. Conclusioni

Ciò che emerge dall’analisi delle argomentazioni proposte da alcune comunità cristiane minori in materia di fine vita è un’umana laicità che è troppo spesso assente nelle riflessioni di filosofi, medici o giuristi che difendono la sacralità della vita umana, cattolici e non.

La mancanza di questa genuina compassione fanno perdere di vista il paziente e la sua sofferenza, mentre il ricorso a principi come la sacralità/ indisponibilità della vita umana, impediscono di vedere nell’eutanasia e nel suicidio assistito una mano tesa verso il malato, stanco di soffrire.

A partire da questa umana laicità presente nelle riflessioni delle comunità valdesi e protestanti unite di Francia che il principio bioetico fondamentale diventa quello della dignità della vita umana. La dignità si presenta come un principio alternativo rispetto a quelli della sacralità dell’esistenza umana (di matrice cattolica e non) e della qualità della vita umana di matrice laica, permettendo così di collocare le riflessioni qui analizzate nel paradigma della ‘terza via’ che vanta esponenti come i filosofi Engelhardt Jr., Küng e Jonas.

La dignità è conferita dall’esistenza biografica, come nella riflessione valdese, quindi il venir meno di questa dovuta dalla malattia, potrebbe far ritenere al paziente che quella non è più un’esistenza degna di essere vissuta. Con argomentazioni diverse, i protestanti uniti di Francia sostengono che è vero che la dignità universalmente intesa è intrinseca nell’uomo e nulla può lederla, invece la sua dignità particolare può subire delle privazioni a causa della malattia.

Pertanto, se la malattia toglie dignità all’esistenza umana, solo la morte può restituirgliela, è quanto si può affermare sulla scia del teologo contemporaneo Hans Küng [iv]. Il compito delle istituzioni deve essere quello di colmare il vuoto normativo in materia di eutanasia e suicidio assistito in tutta Europa, affinché il paziente possa esercitare legittimamente nella propria nazione di appartenenza il diritto a poter morire dignitosamente e gli Stati confermino la loro laicità.

Quanto al personale medico-sanitario, il suo dovere dovrebbe essere quello di assistere il paziente per alleviare le sue sofferenze fisiche e psichiche per accompagnarlo verso la sua ultima ora, senza effettuare pratiche contrarie alla volontà del paziente. Per queste ragioni, il testamento biologico risulta uno strumento prezioso per conoscere le volontà anticipate di trattamento del paziente, evitando così di sostituirsi a lui in questa decisione così delicata.

L’eutanasia e il suicidio non sono forme di omicidio, né dei reati nei confronti di Dio, ma degli atti di umana laicità volti a restituire al paziente la sua dignità nel morire liberamente e porre fine alle sue sofferenze.

 

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NOTE

[i] Cfr. Articolo di Redazione, “Eutanasia, sono 232 le richieste di dolce morte. Come funziona e dove “è applicata” nel mondo”, L’Huffington Post, 27 febbraio 2017.

[ii] Cfr. Gruppo di lavoro della Tavola Valdese sui problemi posti dalla scienza, L’eutanasia e il suicidio assistito, §1.1, 1998.

[iii] Cfr. Gruppo di lavoro della Tavola Valdese sui problemi posti dalla scienza, L’eutanasia e il suicidio assistito,§4.4, 1998.

[iv] Cfr. H. Kṻng, Della dignità del morire. Una difesa della libera scelta ,trad.it A. Corsi, V. Rossi, BUR Rizzoli, Milano, 2010.

 

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Fonte: APOCALISSE LAICA




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