lunedì 14 gennaio 2019 - Antonello Laiso

Fine vita: in attesa di normative

"L’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti"

Questa la decisione della Corte Costituzionale dopo interminabili battaglie su un delicatissimo e più che mai urgente a doverose soluzioni definitive, il tema della eutanasia, ovvero il porre fine alle sofferenze di una pseudovita, a quella non più vita. 

Il nostro codice penale punisce chi assiste o istiga all'eutanasia o suicidio assisistito, tali situazioni hanno modo di essere desiderate quando quel fine vita resta l'unica soluzione ad una vita che deve essere necessariamente condotta tra sofferenze fische e spirituali, non solo del malato ma dei suoi cari.

Attualmente può applicarsi in Italia la sedazione profonda come nel caso di Marina Ripa di Meana che più volte prima di morire ha detto "fatelo sapere", questa consiste nel portare con farmaci il paziente da parte di strutture mediche ove questo è ricoverato ad uno stato di incoscienza prima che sopraggiunga la morte, ovvero a terapie che pur alleviando le sofferenze potrebbe accelerare quella morte.

Quelle sofferenze che non devono e non possono essere un obbligo né di legge né divino.

La decisione della Corte Costituzionale concerne infatti quelle misure chieste da sempre per la certezza di norme e per regolamentare un tale vuoto. Tutto rinviato al Parlamento quindi per legiferare su un tema quanto di più delicato, per porre fine ad un qualcosa che ha necessariamente bisogno di un fine .

Il fine vita non può aspettare, il rinviare delle norme così impellenti rinvia quel dolore. Al di là di ogni regolamentazione di legge non si dovrebbe interferire con decisioni proprie o quelle dei propri cari, una decisione sul delicato tema in oggetto rappresenta una sofferenza dovuta a porre fine a interminabili sofferenze.

Porre fine ad una sofferenza ad una vita non più vita, ad una vita condotta spesso tra quegli interminabili sforzi ed accanimenti di quella scienza non può essere dignitoso nemmeno per quella scienza. La scienza non può prolungare un'agonia.

La dignità della persona in oggetto deve essere quella di non sofferenza quando una vita non può più considerarsi tale, abbiamo il diritto di nascere di vivere e di morire senza soffrire, il porre fine ad una pseudovita forzata e condotta nel dolore fisico e spirituale non può essere vista come un delitto punibile .

Non può esistere un dolore che conduca alla morte, più forte e piu doloroso della morte stessa, le questioni di etica e di morale non possono e non devono interferire con scelte proprie o demandate a quelle di persone più care.

Quella sofferenza non può essere capita se non da chi la patisce, e dai propri cari, porre fine ad un agonia non deve essere visto come peccato nemmeno da quella Chiesa Cattolica ma come un atto d'amore.

Il peccato è proibire un qualcosa che deve essere necessariamente nelle nostre disponibilità decisionali, il peccato è imporre avverso le nostre volontà un qualcosa che ci appartiene, ovvero il non poter metter un punto a quelle sofferenze di un fine vita.

Il peccato è solo il pensar che esso sia peccato.

Antonello Laiso

 




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